“In una valle lontana, dietro le vette ghiacciate dell’Himalaya vive un re d’altri tempi. Il suo castello è di pietre e di fango, i suoi tesori sono pecore e cavalli. Il suo unico guardiano è un mastino dal pelo nerissimo. I suoi sudditi sono solo 4.500, ma il suo regno accende la fantasia di ogni viaggiatore ancora in cerca di un’ultima meta da sogno”. Così scriveva Tiziano Terzani nel 1995 in “Mustang – paradiso perduto” sostenendo che “Il Mustang è il paese della completa felicità, dove tutto ciò che è ambito o necessario è a portata di mano, dove i sudditi sfavillano come stelle e lo spirito si diletta nella contemplazione del re”, come sta scritto nei vecchi manoscritti gelosamente conservati nei gompa, i monasteri buddhisti di questo regno. “Che sia questo il paradiso terrestre?” si chiedeva Terzani. Anche se ancora oggi non sono pochi gli scorci che fanno pensare alla nostra occidentale idea di “Eden”, iI Mustang che aveva incuriosito il giornalista toscano nel 1995 era accessibile solo da tre anni ad un limitato numero di turisti occidentali ed era un posto di cui pochi conoscevano l’esistenza. Oggi è una meta proposta da molti tour operator specializzati che ne hanno fatto negli anni un affascinante ed impegnativo trekking himalayano della durata complessiva di almeno 10 giorni in uno spettacolare spaccato di Tibet, ancora al riparo dall’ingerenza cinese.
Da quando nel 1992 questa regione montuosa del Nepal ha aperto la propria valle al turismo sono stati 35.679 i privilegiati esploratori che hanno risalito la valle del fiume Kali Ghandaki e se fino al 2008 i temerari camminatori nel Mustang erano quasi sempre stati meno di 2.000 all’anno, nel 2014 i visitatori stranieri hanno toccato la cifra record di 4.146 e quella di 2.686 nel 2015 (nonostante il terremoto che ha messo in ginocchio il Nepal). I turisti però possono entrare nell’Alto Mustang solo con una guida locale, dopo aver fatto un’apposita domanda e pagato una costosa tassa di 50 dollari al giorno, che dal 2011, grazie ad un battagliero comitato di residenti, sembrerebbe restare per i tre quarti del gettito nella regione come contributo allo sviluppo (prima tutto veniva inviato e restava a Kathmandu). Ma il numero crescente di turisti che decidono di intraprendere un viaggio in Mustang, rappresentando un’entrata sempre più importante per le genti della valle che possono vivere molto più dignitosamente rispetto ad altre parti del Nepal e dell’Asia, non sembra aver cancellato totalmente quell’immagine che Terzani ci aveva raccontato più di vent’anni fa. Questo viaggio, infatti, offre ancora l’occasione di scoprire un paese autentico dove l’occidente è entrato a far parte della vita quotidiana, ma lo ha fatto senza diluire quella spiritualità e quel rapporto tra uomo e natura dove il primo sembra essere più un ospite che un padrone.
Un tempo abituati a sopravvivere in un sistema autarchico di sussistenza, oggi gli abitanti di questo antico regno, fino al XIV secolo unito al Tibet, fanno i conti con una modernità che sembra essere arrivata anche grazie alla strada sterrata che dal 2008 collega tutta la valle, fino al confine cinese, al pari delle antenne per la telefonia mobile di N-cell e Nepal Telecom che stanno offrendo una sempre più adeguata copertura anche all’Alto Mustang. La strada in questi ultimi 9 anni ha rappresentato una trasformazione importante per le abitudini di vita degli abitanti del Mustang, che come in tutto il Nepal, vedono nella strada il mezzo migliore per uscire dalla povertà. Di fatto questa strada sterrata ad una solo corsia, spesso interrotta da frane durante la stagione monsonica e in attesa di un ponte per essere definitivamente completata ha finito per facilitare il commercio e l’approvvigionamento di beni di prima necessità dei locali, ha permesso un più rapido accesso ad un ospedale e alle scuole, ed ha cominciato ad attirare nella valle anche quei turisti che non sono disposti o non sono in grado di camminare per molti giorni a piedi. Un impatto importante e positivo anche se non è raro sentirsi dire che “Il prezzo del riso è calato, ma non sempre e non quanto ci si aspettava. I ragazzi continuano a lasciare i villaggi per andare a scuola in città e se qualcuno ha un’urgenza deve comunque e preferibilmente viaggiare in aereo fino a Pokara”. Con la comparsa della strada inoltre, sostengono i monaci che custodiscono gli antichi gompa, “abbiamo cominciato a preoccuparci per le possibili razzie dei preziosi ed antichi oggetti sacri conservati nei nostri monasteri”. Come se non bastasse molti turisti hanno cambiato tragitti ed abitudini riducendo le tappe del viaggio grazie all’automobile e portando di fatto vantaggi solo ad una piccola parte della popolazione che non di rado si chiede se “anche quando il traffico aumenterà gli affezionati camminatori continueranno a scegliere il Mustang come meta per i loro trekking”.
Ma se per ora il traffico lungo la nuova strada non sembra essere un fastidio per chi sceglie di visitare il Mustang a piedi, con l’aumento dei visitatori la valle sta facendo i conti non solo con l’aumento delle entrate portate dai turisti, ma anche con l’aumento esponenziale dei rifiuti, che a queste altitudini e con un solo collegamento al fondo valle sono difficili da smaltire. “Una buona parte viene bruciata, altri sono dispersi dal vento che spazza la valle ogni pomeriggio, i vetri spesso sono interrati” ci racconta la nostra guida che ci ricorda orgoglioso che “qualcuno sta provando anche a riutilizzarli a livello industriale” come ha fatto Bishnu Hirachan, ex amministratore locale, e oggi uno dei maggiori imprenditori agricoli della valle dove vengono coltivate le migliori mele del Nepal. Accanto al magazzino di frutti Bishnu produce anche del brandy di mela che imbottiglia nei vuoti di vetro della birra, risolvendo così con il riuso delle bottiglie un grosso problema ambientale per conto del locale Annapurna Conservation Area Project (ACAP), un parco nazionale che vanta tra i suoi obiettivi oltre alla tutela ambientale anche il benessere dell’uomo e la tutela della cultura locale.
Una cultura tibetana locale che si respira in ogni paese, in ogni gompa, in ogni namasté detto e ricevuto nonostante i tentativi di assimilazione da parte del Nepal già denunciati da Terzani. “Il Mustang rischia di veder andate perdute le proprie tradizioni, la propria lingua, la propria autosufficienza” ricordava il giornalista spiegando come la a politica di Katmandu per anni “è stata di totale assimilazione” visto che oggi “Anche la medicina tradizionale, così come la figura dell’amji, il medico-erborista che veniva sempre consultato in caso di malattia, stanno lasciando il posto alla medicina straniera, più immediata, più moderna”. Ora è arrivata l’elettricità, la strada, il petrolio, i giocattoli in plastica, tutti prodotti che fanno sentire la Cina sempre più vicina. Lo Mantang, per esempio, la capitale del Mustang, può offrire ad abitanti e visitatori molte ore di elettricità al giorno grazie ad un campo solare donato al Nepal da Pechino attraverso un sistema di aiuti internazionali che ha permesso anche la costruzione della caserma della polizia di frontiera nepalese. Un’influenza che non poteva non fasi sentire anche nel commercio perché se fino all’invasione cinese del Tibet erano i commercianti del Mustang e del Tibet a gestire gli scambi, oggi le cose sono cambiate. Birra, Coca Cola, orzo, riso e molti altri beni di consumo vengono prodotti in Tibet dai cinesi che due volte all’anno “invadono commercialmente” il Mustang con una colonna di camion che permette ai negozianti e ai cittadini nepalesi di rifornirsi di tutto quello di cui hanno bisogno e come da noi, forse legittimamente anche di qualcosa in più. Oltre a creare inquinamento nel senso letterale del termine, la strada, anch’essa realizzata con il sostegno economico cinese, sembra la via migliore per favorire una sempre più forte colonizzazione commerciale da parte dell’ingombrante vicino, che oggi sembra ancora più preoccupante dell'assimilazione di stampo nepalese.
Nel complesso, tuttavia, se andiamo oltre gli effimeri desideri dello straniero in vacanza, l’impatto con la modernità sembra aver avuto più aspetti positivi che negativi per le genti del Mustang e un viaggio in questa regione offre ancora un’esperienza unica, di incontro culturale, umano e geografico che spesso mette il privilegiato turista nel bel mezzo un’esperienza che andrebbe affrontata in punta di piedi e non senza un minimo di autocritica. Sì perché se a noi turisti, in fuga temporanea dalla modernità, ci infastidiscono una strada e le sue macchine rombanti (non più di una decina in circa 8 ore di cammino) o un barattolo di Coca Cola abbandonato su un incontaminato passo a 4.300 metri tra alcuni dei più famosi 8.000 al mondo, e poi per poter camminare in questo luogo incantato abbiamo preso due macchine e tre aerei che hanno dato un contributo non irrilevante alla percentuale di gas serra mondiali, allora siamo quantomeno degli idioti. Una lezione da tenere a mente, possibilmente, anche alla prossima reincarnazione. Namasté Mustang!
Alessandro Graziadei
P.S. Per raggiungere e attraversare il Mustang, che lo si faccia con fatiscenti corriere con ben in vista la scritta Mustang Yatayat (Viaggio verso il Mustang) o con un piccolo aereo, e poi rigorosamente a piedi, serve affidarsi ad un'agenzia. Io ho scelto Viaggiaconcarlo Adventures and Expeditions e ho avuto la fortuna e l'accortezza di scegliere chi non pensa solo all´emozione della scoperta, ma anche a contribuire e sostenere progetti di sviluppo tramite le associazioni Finale for Nepal e Volontari senza Frontiere nelle zone di Kathmandu, Chitwan e a Tikapur, nella parte sud-occidentale del Nepal. A questi progetti si sono aggiunti dal 2015 quelli nati a seguito del terremoto, "per aiutare la forte e accogliente popolazione nepalese a rimettersi in piedi e a ricominciare la propria vita. Per ogni viaggiatore, infatti, doniamo una piccola quota che vada a beneficio dei nostri progetti". A loro e alla professionalità dei loro collaboratori va il mio personale grazie!
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