In settembre diversi leader indigeni si sono recati a Ginevra dove Tauli-Corpuz, relatrice alle Nazioni Unite per i popoli indigeni, ha presentato un'ampia ricerca sulle scioccanti condizioni in cui vivono queste popolazioni in Brasile, dove attualmente “il Governo brasiliano non sta facendo nulla per proteggere i diritti dei popoli indigeni del paese”. La Tauli-Corpuz ha posto l’accento in particolare sul “deterioramento della tutela dei loro diritti” e ha sottolineato come “Nonostante le difficoltà che [gli indigeni brasiliani] hanno sopportato, rimangono risoluti a mantenere le loro terre e a determinare autonomamente il loro futuro”. Molte tribù per questo subiscono da anni una violenza genocida da parte di sicari intenzionati a derubare le popolazioni autoctone di terre e risorse da consegnare a ricchi imprenditori senza scrupoli. “Non abbiamo acqua ne cibo adeguati. Siamo esseri umani, ma ci spruzzano addosso pesticidi come se fossimo parassiti… Nonostante l’uccisione dei nostri leader e il massacro del nostro popolo, continuiamo a combattere per la nostra tekoha [terra ancestrale]” ha dichiarato Eliseu Lopes, leader guarani, chiedendo all'Onu che le loro terre siano difese con urgenza.
L'ultimo leader indigeno brasiliano ad essere ucciso lo scorso 11 ottobre è stato João Natalício, da sempre in prima linea nella lotta del popolo Xukuru-Kariri per rivendicare la loro terra ancestrale. “La regione ha una storia di violenza legata alle lotte territoriali” ha detto alla ong brasiliana CIMI un altro leader locale e “João per questo suo impegno in difesa dei nostri diritti era un leader storico del nostro popolo”. Secondo un recente rapporto del CIMI nel 2015 sono stati uccisi 137 indiani brasiliani. Quasi quotidianamente queste popolazioni subiscono aggressioni armate e attualmente sono costrette a vivere in condizioni terribili ai margini delle strade e in campi sovraffollati perché le loro terre sono state destinate a piantagioni su larga scala. Anche per questo, mentre il Presidente brasiliano Michel Temer ha minacciato ulteriori tagli al budget alla Fondazione Nazionale dell'Indio (FUNAI) lasciando così i territori indigeni alla mercé degli invasori, assieme ad altre tribù i Guarani e gli Xukuru-Kariri stanno protestando contro il PEC215, un emendamento alla costituzione brasiliana che se approvato indebolirebbe drasticamente i loro diritti rendendo quasi impossibile il ritorno alla terra ancestrale.
Le comunità indigene assieme a Survival international e ad altre associazioni per la protezione dei popoli autoctoni stanno chiedendo anche attraverso un mail bombing (che ha superato le 13.000 adesioni) che il PEC215 venga abbandonato e che i diritti territoriali indigeni siano rispettati. Senza la loro terra, i popoli indigeni brasiliani rischiano la catastrofe. Ma non solo loro! Nel suo rapporto Tauli-Corpuz ha anche sottolineato che in tutto io mondo i popoli indigeni "sono i migliori conservazionisti e custodi del mondo naturale", anche se ancora troppo spesso sono sfrattati illegalmente dalle loro terre ancestrali nel nome di una conservazione “associata alla violazioni dei diritti umani nei loro confronti”. Sempre nel mese di settembre, per esempio, due persone sono state uccise e altre venti sono state ferite nel corso di uno sfratto violento nel Parco Nazionale di Kaziranga, in India, tristemente noto per la sua politica dello "sparare a vista”. Lo sfratto di tre villaggi, condotto nel nome della conservazione, ha coinvolto 1.000 addetti alla sicurezza e ruspe usate per distruggere centinaia di case, una scuola costruita dal governo e una moschea. “Le famiglie sfrattate appartenevano a una comunità musulmana non indigena, sorta ai margini del Parco Nazionale decine di anni fa - ha ricordato Survival - Quest’area dovrebbe essere inclusa a breve nel parco, a seguito della sua espansione e la Corte Suprema di Guwahati, che ha ordinato lo sfratto nell’ottobre del 2015, ha affermato che Qui non dovrebbero esserci più abitazioni umane”. Come spesso accade prima dello sfratto le famiglie non hanno ricevuto alcun finanziamento, né alcun alloggio alternativo. “Abbiamo vissuto in quest’area per decine di anni e all’improvviso il governo ci ha detto di andarcene… Le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco su di noi” ha dichiarato Rafiq Ali, un leader della comunità di Banderdubi.
Altri villaggi tribali hanno ricevuto ordini di sfratto dallo stesso tribunale indiano e adesso più di 600 famiglie indigene temono che questi metodi brutali saranno impiegati anche contro di loro. Tra i villaggi che rischiano lo sfratto c’è anche quello di Akash Orang, un ragazzo di sette anni a cui un guardaparco ha sparato alle gambe lo scorso luglio. Si trova tuttora in ospedale in condizioni serie, nonostante le rassicurazioni del Dipartimento alle Foreste Indiano che ha promesso di prendersi cura di lui. Molte delle persone che vivono in questi villaggi, infine, sono già state sfrattate in precedenza, alcune più di una volta, mano a mano che i confini del parco si sono allargati. Tutto questo è in netta violazione della legge indiana e di quella internazionale, che stabiliscono con chiarezza che i popoli indigeni possono essere trasferiti dalla propria terra solo con il loro consenso libero e informato.
Per Survival “Le grandi organizzazioni per la conservazione spesso sostengono questa drammatica situazione. Non denunciano mai gli sfratti. Il World Wildlife Fund (WWF) offre addirittura dei tour commerciali del parco". Survival ha da alcuni anni promosso una campagna contro gli sfratti forzati nelle riserve delle tigri indiane e contro la militarizzazione della conservazione, che ha portato alla politica dello “sparare a vista” in vigore a Kaziranga. È tempo di cambiare paradigma e ricordare al mondo, come è stato più volte dimostrato, che i popoli indigeni sono i migliori conservazionisti e custodi del mondo naturale. "A guidare il movimento ambientalista dovrebbero essere loro – collaborando nella lotta al bracconaggio. Invece vengono ancora sfrattati ed esclusi, distruggendo così le loro vite e danneggiando la conservazione" ha concluso Survival.
Alessandro Graziadei
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