La direttiva 2015/1513 del Parlamento europeo dello scorso 9 settembre 2015 prevede “il raggiungimento del 10% in quota di energia da fonti rinnovabili in tutte le forme di trasporto dell’Unione europea entro il 2020”. Una scelta apparentemente ecologica e lungimirante che comporta il potenziamento dell'uso dei biocarburanti e lo sfruttamento di superfici agricole che potrebbero essere destinate alla coltivazione di prodotti per l’alimentazione umana e animale, con conseguenze non indifferenti sull’ambiente e sugli equilibri alimentari dei paesi in via di sviluppo. Secondo il nuovo rapporto Oxfam “Terra che brucia, clima che cambia: come l’industria condiziona la politica europea sui biocarburanti”, presentato lo scorso 26 ottobre, le lobby dei grandi produttori di biocarburanti, attraverso numerose operazioni di land grabbing, stanno privando numerose comunità locali nel sud del mondo della terra necessaria alla propria sussistenza, aumentando contemporaneamente le emissioni di CO2 in atmosfera. Una politica energetica che a quanto pare “fino al 2012 ha richiesto 78.000 km quadrati di terra in più, un’area più grande di Belgio e Olanda messi insieme” ha sottolineato Oxfam.
Nel 2012, oltre il 40% della terra necessaria per la produzione europea di biocarburanti era situata in paesi extraeuropei dai quali dipendiamo per l’importazione. “In questo quadro abbiamo lanciato l’allarme sull’incremento del numero di accordi per l’acquisizione di terra su larga scala a spese delle comunità locali e degli episodi di violenza collegati con lo sfratto di intere comunità dai terreni dove vivevano, coltivavano, cacciavano e si guadagnavano da vivere da generazioni” ha spiegato Oxfam. Il report, che analizza l’impatto devastante di questa politica dell’Unione in tre continenti, riporta casi emblematici di intere comunità private dei propri diritti e rimaste vittime dell’esproprio di terre abitate per generazioni in Tanzania, Perù e Indonesia. Tutti contesti dove a causa di vuoti normativi e di un debole sistema di governance non è possibile (o non c’è la volontà) di tutelare adeguatamente i diritti alla terra dei popoli indigeni. Questo dimostra che “Le decisioni volte a diversificare le fonti energetiche e a tagliare i combustibili fossili, sono spesso prese dai paesi dell’Unione europea senza attente valutazioni sulla sostenibilità sociale e ambientale delle fonti alternative utilizzate” ha dichiarato Elisa Bacciotti, direttrice delle campagne di Oxfam.
Ignorando questa grave situazione ad oggi l’Ue si fa responsabile, direttamente o indirettamente, di espropri di terre determinando povertà, fame e migrazioni dai paesi più vulnerabili, lasciando campo libero a forze di mercato che ignorano totalmente la sostenibilità dell’intero pianeta. Come è possibile? Secondo gli ultimi dati contenuti nel Registro per la trasparenza dell’Unione europea, solo l’anno scorso i produttori europei di biocarburanti hanno speso oltre 14 milioni di euro per l’assunzione di quasi 400 lobbisti per influenzare la politica europea. “In tutto parliamo di 600 lobbisti: un numero superiore all’intero staff della Direzione Generale per l’Energia della Commissione europea” ha spiegato Oxfam. Questo significa che la lobby dei produttori europei di biocarburanti, da sola, impiega 121 lobbisti per difendere i propri interessi, 7 per ogni funzionario che lavora alla nuova politica sulla sostenibilità delle bioenergie della Commissione europea. Un’influenza che, oltre a danneggiare il clima e la vita di migliaia di persone, secondo le stime di Oxfam sta già costando ai cittadini europei tra i 5,5 e i 9,1 miliardi di euro ogni anno in termini di esenzioni fiscali e sussidi pubblici alle imprese del settore, finanziati da tutti noi attraverso tasse, bollette e rincari alla pompa dei carburanti.
Come se non bastasse un’analisi comparata dell’impronta ecologica della filiera dei biocarburanti dimostra che nella maggior parte dei casi la produzione degli “eco-carburanti” inquina quasi il 50% in più dell’energia prodotta da combustibili fossili. Così facendo, l’Unione europea sta rischiando di venire meno ai propri impegni internazionali per lo sviluppo sostenibile e di mettere a repentaglio gli impegni assunti per contrastare il cambiamento climatico in pieno contrasto con l’Accordo di Parigi sul clima. “Per questo motivo lanciamo un appello urgente affinché l’Unione europea presenti entro un mese un piano di riforma della legislazione che attualmente consente l’utilizzo di biocarburanti ottenuti da colture sottratte alla produzione di cibo nei paesi poveri” ha aggiunto la Bacciotti.
Una nuova politica che per Oxfam dovrebbe includere anche una riflessione sulle emissioni indirette di carbonio derivanti dal cambio di destinazione di uso della terra e una revisione delle esenzioni fiscali e dei sussidi pubblici alle imprese di questo settore. Addio biocarburanti quindi? Non per forza. Produrli con criteri etici e sostenibili non è impossibile e neanche anti-economico. Sempre nella direttiva Ue 2015/1513, infatti, si fa distinzione tra i diversi gruppi di colture che producono impatti differenti sul land grabbing dando già particolare rilievo a quelli cosiddetti “avanzati”. Si tratta per esempio di biocarburanti che derivano dalla produzione di alghe o rifiuti capaci di soddisfare la migliore opzione ambientale e sociale, annullando i rischi di land grabbing e di cambio di destinazione d’uso dei suoli. Sì può fare quindi, basta volerlo. Intanto fino a quando l’Ue non si doterà di criteri minimi per la sostenibilità ambientale e sociale dei biocarburanti sarà di fatto complice di un sistema profondamente ingiusto e per nulla ecologico.
Alessandro Graziadei
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