I circa 200 milioni di Dalit dell’India, che una volta venivano chiamati anche “intoccabili”, avevano posto grandi speranze nella vittoria elettorale del 2014 dell’attuale premier Narendra Modi. Ma le aspettative per una progressiva riduzione delle discriminazioni e un miglioramento della loro situazione sociale sono andate deluse. Per questo nelle scorse settimane centinaia di migliaia di Dalit hanno protestato a Mumbai contro il perdurare della discriminazione nei loro confronti e contro la violenza da parte dei nazionalisti hindù. In seguito a queste proteste di massa che hanno bloccato il traffico della metropoli, l’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) ha invitato il premier Narendra Modi “sia a porre fine alla perdurante discriminazione di questo gruppo di popolazione particolarmente svantaggiato, sia a prendere pubblicamente le distanze dalla violenza degli estremisti hindù contro le minoranze etniche e religiose del paese”.
Le proteste erano iniziate dopo la morte violenta del 28enne Rahul Phatangale, un giovane Dalit che è stato ucciso a Pune il 1 gennaio 2018 da un nazionalista hindù durante le commemorazioni del 200esimo anniversario della battaglia di Bhima-Koregaon, la battaglia che nel 1818 aveva segnato la vittoria dei Dalit e dei soldati britannici contro i membri di una casta alta. Ora per l’APM “Se si continua a non perseguire, a non punire e a non condannare pubblicamente le violenze e le aggressioni dei nazionalisti hindù contro Dalit, Cristiani e Musulmani, l’India rischia di dover affrontare un anno particolarmente difficile, durante il quale le prossime elezioni politiche possono fungere da pretesto per un aumento delle violenze contro le minoranze”. Al momento è evidente che la tutela delle minoranze in India è insufficiente e necessita urgentemente di interventi politici utili a difendere i diritti umani, civili, economici, sociali e culturali.
Mentre i Dalit sono sempre più spesso vittime di aggressioni, omicidi, stupri, rapimenti e saccheggi da parte degli estremisti hindù, continuano anche le discriminazioni nel sistema scolastico e nel mercato del lavoro, tanto che la disoccupazione tra i Dalit è tuttora il doppio rispetto alla media nazionale. Di conseguenza il crescente malcontento tra i Dalit sta causando sempre più proteste pubbliche, tanto che nel solo stato federale del Maharashtra negli ultimi due anni sono state quasi 100 le manifestazioni pubbliche organizzate da questa minoranza per difendere i propri diritti. Ma per l’APM la violenza degli estremisti nazionalisti hindù non colpisce solo i Dalit ed interessa in modo crescente anche chi appartiene a una delle varie minoranze religiose dell’India compresi cristiani e musulmani. “Se il governo indiano non adotta finalmente misure per porre fine alla crescente violenza estremista, la maggiore democrazia dell'Asia rischia di essere minata dall’instabilità sociale” ha spiegato l’APM.
Di fatto dalla vittoria elettorale nel 2014 del partito nazionalista hindu BJP (Bharatiya Janata Party - Partito del popolo indiano) di Narendra Modi si assiste ad un preoccupante aumento delle violenze nei confronti di tutte le minoranze religiose e etniche in tutti gli stati federali indiani in cui il BJP è al potere. Parallelamente è cresciuta anche la violenza e la sistematica violazione dei diritti dei popoli indigeni indiani. Oltre alle attuali “conservazioni selettive”, già nel 2002 bande di nazionalisti hindu si sono rese responsabili di un vero e proprio pogrom contro la popolazione musulmana nello stato del Gujarat il cui governatore era all'epoca proprio Narendra Modi. Allora oltre 1.000 persone di religione musulmana furono uccise e più di 2.000 case e 2.400 esercizi commerciali furono distrutti e dati alle fiamme mentre la polizia restava a guardare. Nel 2008 la violenza dei nazionalisti hindu dello stato federale di Orissa si scatenò contro i credenti cristiani. Allora 53.000 persone di fede cristiana furono cacciate da 315 villaggi, 151 chiese furono distrutte, 4.640 case saccheggiate e bruciate, circa 60 persone di fede cristiana furono uccise e molte furono minacciate di morte se non si fossero convertite all'induismo.
Così mentre da anni i militanti dell’organizzazione giovanile estremista hindu RSS (Rashtriya Swayamsevak Sangh - Organizzazione Patriottica Nazionale) intimidiscono credenti e minacciano denunce per presunte violazioni della legge anti-conversione, adesso la popolazione di credo musulmano teme che la politica di ghettizzazione simile all'apartheid praticata dal BJP da anni, principalmente nello stato del Gujarat, possa ora essere estesa a tutto il territorio nazionale visto che, nel corso del 2017, il partito nazionalista indù del premier Narendra Modi ha dominano tutte le elezioni dei cinque Stati indiani nonostante l’impopolare bando delle rupie.
Alessandro Graziadei
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