Da anni l’intransigenza del Marocco continua ad osteggiare il processo di decolonizzazione del Sahara Occidentale, sconfessando più di cento risoluzioni dell’Onu che ribadiscono il diritto del popolo Sahrawi all’autodeterminazione e l’illegalità dello sfruttamento delle risorse naturali del Paese. La storia o meglio la non storia del Sahara occidentale e del suo popolo, i Saharawi, sembra così ancora ferma al 1975 quando, dopo il ritiro della Spagna, il Marocco dichiarò la propria sovranità sul Sahara Occidentale dando il via alla cosiddetta “Green March”, l'invasione marocchina del territorio a sud del Saguia el-Hamra, costringendo gran parte dei suoi abitanti di etnia sahrawi ad imbracciare le armi e rifugiarsi nei campi profughi gestiti dall’Onu presso la città algerina di Tindouf, dove tutt’ora vivono più di 165 mila profughi sotto la guida del Governo in esilio della auto proclamata Repubblica Democratica Araba Saharawi (SADR). Dal cessate il fuoco, raggiunto sotto l’egida delle Nazioni Unite nel 1992, il ritorno a casa e l’autodeterminazione di questo popolo è ancora un miraggio, al pari del libero accesso alle non poche risorse naturali del Sahara Occidentale.
Se per i Saharawi lo sfruttamento delle risorse nella regione da parte del Marocco è illegale e viola il diritto internazionale, per Rabat mettere a profitto il patrimonio minerario e ittico del Sahara Occidentale è un’attività commerciale irrinunciabile. Per quanto tempo sarà ancora possibile è difficile da capire, ma per l’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) il verdetto del 27 febbraio scorso della Corte di Giustizia dell'Unione europea riguardante la datata disputa sulla validità dell’accordo di pesca tra Unione Europea e Marocco “è stato un passo importante verso il riconoscimento dei diritti del popolo Saharawi”. La Corte europea ha, infatti, riaffermato che “il Sahara Occidentale non è parte del territorio del Marocco” e dovrebbe “porre fine allo sfruttamento ittico davanti alle sue coste senza il consenso del popolo Saharawi”. Finora il maggiore beneficiario della pesca davanti alle coste del Sahara Occidentale è stata l’Unione Europea grazie appunto a questo accordo di pesca con il Marocco che scadrà il prossimo 14 luglio 2018 ed è attualmente oggetto di trattative per l'eventuale rinnovo. Per l’Apm siamo davanti ad un messaggio chiaro a Rabat, perché se il verdetto sfavorevole al Marocco non annulla in toto l’accordo, è evidente che “ne limita l'applicazione escludendo di fatto l'uso delle acque territoriali del Sahara Occidentale”.
Il recente verdetto sfavorevole agli interessi marocchini non è stata una sorpresa. Già lo scorso 10 gennaio 2018 l’avvocato generale della Corte europea Melchior Wathelet aveva raccomandato “di annullare l’accordo di pesca tra l’Unione europea e Marocco" poiché include "lo sfruttamento di risorse appartenenti alla regione del Sahara Occidentale”. Per l’Apm i consulenti legali delle Nazioni Unite su questo punto sono chiari: “qualunque prelievo di risorse naturali o lo sfruttamento agricolo di un territorio occupato illegalmente deve sottostare a condizioni particolarmente severe” e “lo sfruttamento continuo del territorio occupato è considerato legale solo se il profitto derivante va a beneficio della popolazione tradizionalmente insediata nella regione”. Una chiave di lettura del conflitto emersa anche nel maggio dello scorso anno in seguito all'ordinanza emessa da un tribunale sudafricano che aveva impedito alla nave da carico Cherry Blossom, che trasportava 54.000 tonnellate di fosfato proveniente dal Sahara Occidentale per conto del produttore di fertilizzanti Ballance Nutrients, di arrivare in Nuova Zelanda. Il tribunale sudafricano, visto il carico dal valore di 5 milioni di dollari statunitensi, aveva applicato la decisione della Corte di giustizia dell'Unione europea del 21 dicembre 2016 secondo la quale “il Sahara Occidentale non è riconosciuto come parte del Marocco” e di conseguenza secondo il diritto internazionale "l’estrazione, l’esportazione e il guadagno su materie prime in territori occupati è illegale".
Nel 2015 sempre la Corte Europea aveva dichiarato illegale un altro accordo di libero scambio commerciale tra l’Unione europea e il Marocco che coinvolgeva risorse del Sahara Occidentale. Allora Germania, Spagna, Portogallo e Belgio avevano avanzato una richiesta di revisione del verdetto in seguito alla quale la Corte aveva sì deliberato la validità dell'accordo tra Marocco e Unione, ma aveva ancora una volta ribadito che “il Sahara Occidentale non è parte del Marocco e che la vendita di prodotti provenienti da quell'area devono sottostare alle regole fissate dalle Nazioni Unite per il commercio di prodotti provenienti da territori occupati”. Ad oggi, ha ricordato il Western Sahara Resource Watch, “appare evidente che chiunque importi materie prime provenienti dal Sahara Occidentale deve mettere in conto gravi perdite economiche poiché l’illegalità dell’esportazione autorizza qualunque tribunale a fermare il carico”. Per i Sahrawi, anche se non aprono automaticamente la strada al referendum per l’autodeterminazione del Sahara Occidentale, queste recenti decisioni della Corte Europea costituiscono una potente arma economica nella decennale lotta contro il saccheggio del loro territorio e dei loro diritti territoriali da parte del Marocco.
Alessandro Graziadei
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