La “desertificazione” è una delle conseguenze dell’azione dell’uomo e del clima sulle zone aride, che spesso porta ad una loro estensione, una minore produzione alimentare, all’infertilità del suolo e ad una minor quantità e qualità di risorse idriche. Con gli anni si è scoperto che questo fenomeno non è solo una conseguenza, ma anche una delle cause del cambiamento climatico, visto che il degrado del suolo dà luogo all’emissione di gas a effetto serra, e i suoli degradati hanno una minore capacità di trattenimento della CO2. Zone calde e semidesertiche esistono da sempre in Europa meridionale, ma adesso secondo l’ultima relazione della Corte dei Conti europea (Eca), dal titolo Combattere la desertificazione nell’UE: di fronte a una minaccia crescente occorre rafforzare le misure, “il rischio di desertificazione europeo si sta aggravando ed estendendo sempre più a Nord”. Di fronte a questo rischio ambientale però, per l’Eca, “la Commissione europea non ha ancora un quadro chiaro delle problematiche rappresentate dalle crescenti minacce in termini di desertificazione e degrado del suolo nell’Unione europea” e “I provvedimenti presi finora dalla Commissione e dagli Stati membri per combattere la desertificazione hanno una limitata coerenza”.
Se nel quadro dell’United Nations Convention to Combat Desertification (Unccd) da anni almeno 13 Stati membri dell’Unione (Italia, Bulgaria, Croazia, Cipro, Grecia, Lettonia, Malta, Portogallo, Romania, Slovenia, Slovacchia, Spagna e Ungheria) dichiarano di essere colpiti da desertificazione, prima di stilare questo allarmante rapporto gli autori hanno voluto visitare Italia, Cipro, Portogallo, Romania e Spagna per verificare se il rischio di desertificazione è stato fino ad oggi affrontato in maniera efficace ed efficiente. La conclusione dell’Eca è senza appello: “Non esiste una strategia, a livello dell’Ue, per far fronte alla desertificazione e al degrado del suolo. Ci sono invece una serie di strategie, piani d’azione e programmi di spesa, come la politica agricola comune, la strategia forestale dell’Ue e la strategia dell’Ue sull’adattamento ai cambiamenti climatici, che sono pertinenti ai fini della lotta contro la desertificazione, ma non specificamente mirati ad essa”. Il risultato è che poco o nulla è stato fatto per conseguire entro il 2030 la neutralità in termini di degrado del suolo, un obiettivo che gli Stati membri si sono impegnati a realizzare nel 2015.
Ad oggi, anche se la Commissione e gli Stati membri raccolgono da anni dati su vari fattori che incidono sulla desertificazione, non è stata ancora condotta una valutazione complessiva sul degrado del suolo a livello dell’Unione, né è stata concordata alcuna metodologia specifica per contrastarlo. Per l’Eca “Vi è stato un limitato coordinamento fra gli Stati membri e la Commissione non ha fornito orientamenti concreti o valutato eventuali progressi compiuti. Per Phil Wynn Owen, che ha coordinato la relazione per la Corte dei conti europea “Il rischio è di dimenticare che la desertificazione può comportare povertà, problemi di salute dovuti alla polvere portata dal vento, nonché una diminuzione della biodiversità. Può anche avere conseguenze demografiche ed economiche, costringendo la popolazione a migrare lontano dalle aree colpite. Come Corte dei Conti europea abbiamo la responsabilità di attirare l’attenzione su questi rischi, che potrebbero generare crescenti pressioni sui bilanci pubblici, sia a livello dell’Ue che nazionale”.
Per questo l’Eca nella sua relazione raccomanda di “Definire al più presto una metodologia per valutare l’estensione della desertificazione e del degrado del suolo nell’Ue e, su tale base, proporre delle azioni di contrasto locale e globale”. Solo in questo modo sarà possibile “valutare l’adeguatezza dell’attuale quadro normativo per l’uso sostenibile del suolo nell’intera Ue; illustrare in maniera dettagliata come potrà essere assolto l’impegno assunto dall’Ue di raggiungere, entro il 2030, la neutralità in termini di degrado del suolo; fornire orientamenti agli Stati membri sulla preservazione del suolo e la realizzazione della neutralità in termini di degrado del suolo nell’Ue, compresa la diffusione di buone pratiche; ove da questi richiesto, fornire agli Stati membri supporto tecnico nell’elaborare piani d’azione nazionali contro il degrado del suolo”. Tutte conclusioni che erano state anticipate lo scorso giugno anche dal Joint Research Centre (Jrc) dell’Unione europea attraverso il World Atlas of Desertification, uno strumento destinato ai decisori politici per migliorare le risposte locali al degrado del suolo e che aveva anticipato come oggi “La desertificazione colpisca l’8% del territorio dell’Unione europea, in particolare nell’Europa meridionale, orientale e adesso anche centrale. Regioni che, con circa 14 milioni di ettari colpiti, mostrano un’elevata sensibilità alla desertificazione”.
Secondo il Jrc, nella sola Unione europea, “il costo economico del degrado del suolo è stimato nell’ordine di decine di miliardi di euro all’anno” ed è probabile che entro il 2050 “migliaia di persone saranno sfollate a causa di problemi legati alle scarse risorse del territorio”. Anche per questo il Jrc, anticipando le recenti raccomandazioni della Corte del Conti europea, ha ricordato che “Per fermare il degrado del suolo e la perdita di biodiversità sono necessari un maggiore impegno e una cooperazione più efficace a livello locale”, scelte indispensabili per identificare quei processi biofisici e socio-economici che, da soli o combinati, possono portare a un uso insostenibile e degradante del territorio. Fino ad oggi, alla desertificazione, la politica ha risposto con un "deserto" di iniziative poco concrete e raramente efficaci.
Alessandro Graziadei
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