Solo nell’ultimo mese, sono state oltre 2mila le persone che hanno abbandonato le proprie case nelle municipalità di Namtu e Hsipaw, nel nord dello Stato orientale di Shan in Myanmar, al confine con la Cina. U Tin Sein, responsabile del campo per rifugiati interni di Nar Ma Khaw, ha dichiarato che “Oltre 500 persone sono arrivate negli scorsi giorni nel nostro campo, mentre in tutta la municipalità ve ne sono oltre 1.400”. Sono tutti ospitati in nove campi profughi temporanei e scappano a causa dell’intensificarsi del conflitto che vede contrapposte due fazioni: il Ta’ang National Liberation Army (Tnla) e l’alleato Shan State Progress Party (Sspp) da un lato e il Restoration Council of Shan State (Rcss) dall’altro, tutte fazioni che dietro l’odio etnico trovano la ragione dello scontro nella produzione e nella distribuzione di sostanze stupefacenti.
Nello Stato di Shan, infatti, il traffico di stupefacenti ed il conflitto etnico sono fenomeni intrecciati sin dagli anni ’50 da quando gruppi separatisti e milizie para-militari che dipendono dai proventi del traffico illecito hanno iniziato a scontrarsi per tutelare principalmente i propri tossici investimenti miliardari, tutti legati ad interessi geopolitici verso i quali Pechino ha sempre preferito avere rapporti “pragmatici”. In questi ultimi anni se la coltivazione dell’oppio è diminuita in modo sensibile è invece aumentata in modo costante la produzione di metanfetamine, una droga capace di potenti effetti sul sistema nervoso centrale ed ha in parte sostituito sul mercato l’eroina. La sua proliferazione, favorita anche dalla corruzione e dall’aumento del consumo interno, ha contribuito in modo deciso all’instabilità della regione e ha fatto dello Stato orientale di Shan il centro mondiale della produzione di metanfetamina. Parallelamente i progetti infrastrutturali promossi dalla Belt and Road Initiative (Bri) di Pechino nel “Triangolo d’oro” birmano, sembrano favorire gruppi armati, milizie ed organizzazioni criminali che ne gestiscono il traffico.
È questo quello che emerge dal rapporto “Fire And Ice: Conflict And Drugs In Myanmar's Shan State” pubblicato in gennaio dall’International Crisis Group (Icg), una ong con sede a Bruxelles che ha analizzato alcune delle ricadute sociali ed economiche della Bri, un progetto strategico di dimensioni enormi che fa capo alla Cina, intenzionata a realizzare un’opera maestosa di collegamento con l’Europa e l’Africa Orientale. Il progetto prevede l’apertura di due corridoi infrastrutturali fra la Cina e il continente europeo sulla falsariga delle antiche Vie della Seta: uno terrestre (Silk Road Economic Belt) e uno marittimo (Maritime Silk Road). L’obiettivo è quello di rilanciare l’industria del Paese, favorendo il suo sviluppo tecnologico in alcuni settori strategici dell’economia globale grazie a queste nuove rotte commerciali e a nuovi mercati da raggiungere con le esportazioni. La Bri però non si iscrive solo in una precisa agenda per lo sviluppo economico, ma intende anche essere uno strumento per aumentare il peso culturale, diplomatico e politico della Cina a livello globale.
Nel caso del “Triangolo d’oro”, secondo la Icg, la Bri ha anche scopi meno evidenti che mettono in luce gli interessi ed i complessi rapporti di Pechino con i principali attori della produzione e del commercio di droga. Gli analisti dell’Icc affermano, infatti, “che la Cina, da dove proviene la maggior parte dei componenti chimici per sintetizzare gli stupefacenti, quasi mai ha condotto operazioni antidroga al confine con il Myanmar” e che “Pechino intrattiene relazioni con i gruppi armati operativi nello Shan, a tutela dei suoi miliardari investimenti nel Corridoio economico sino-birmano”. È possibile che l’industria della droga acquisti nuovo slancio con gli accordi sottoscritti dai due Paesi che porteranno strade migliori e una ferrovia ad alta velocità che collegherà la Cina meridionale al Golfo del Bengala, sulla costa dello Stato birmano di Rakhine. “Nella recente storia del Triangolo d'oro, l’aumento degli scambi e il miglioramento delle infrastrutture hanno ampliato, e non limitato, le opportunità per i profitti illeciti”, ha concluso l'Icg. Non a caso, nel solo 2018, le autorità birmane hanno sequestrato 1.750 kg di metamfetamine a cui si aggiungono 500 kg di eroina e 30 milioni di pillole yaba (un mix di metanfetamina e caffeina). Sequestri di sostanze provenienti dal Triangolo d’oro hanno avuto luogo nell'ultimo anno anche in Paesi vicini: 2,1 tonnellate in Australia, 1,6 tonnellate in Indonesia, 1,2 tonnellate in Malaysia ed è pensabile che i sequestri rappresentino solo il 10% del commercio totale, suggerendo una produzione annua complessiva superiore alle 250 tonnellate per un traffico stimato dal valore di oltre 40 miliardi di dollari all’anno.
Mentre questi affari illeciti continuano, Sai Yanpyay, membro della Se Lain Khan Social Welfare Association che opera nello Stato di Shan, afferma che “i profughi hanno iniziato ad arrivare il 1° gennaio e il flusso per ora non sembra destinato a fermarsi. Quando hanno sentito il suono di armi pesanti, sono fuggiti. I loro pasti vengono forniti da abitanti dei villaggi vicini ai campi profughi e dai donatori. Ci sono oltre 400 rifugiati nel monastero di Man San North. Oltre 50 persone di Manwa alloggiano al monastero Namtu Popa Yone. Alcuni stanno nelle case dei loro parenti”. Un capo villaggio della zono ha riferito che i guerriglieri “Sono arrivati il mattino del 6 gennaio. Sono fuggiti quando un gruppo armato ha chiesto agli uomini robusti di unirsi a loro. "I miliziani parlavano la nostra lingua, ma le loro uniformi non avevano alcuna insegna”. Così nello stato di Shan si aggrava un’emergenza tossica legata ad un progresso scorsoio che minaccia molti popoli, ben oltre i suoi confini.
Alessandro Graziadei
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