In Malaysia le leggi islamiche e civili consentono ai minorenni di sposarsi. Le ragazze non musulmane possono sposarsi a partire dai 16 anni, a condizione che ottengano il permesso del rispettivo Menteri Besar, una sorta di tutore legale o “chief minister” dello Stato. Per i musulmani, l’età minima del matrimonio è la stessa di ragazze e ragazzi non musulmani, ma si possono tuttavia fare eccezioni, purché i giovani ottengano il consenso dei tribunali religiosi. Lo stesso Codice civile della Malaysia stabilisce inoltre che un genitore o un tutore legale possa dare il proprio consenso scritto a matrimoni anche tra minorenni. Il risultato è che secondo le statistiche ufficiali, tra il 2005 e il 2015, sono stati registrati 10.240 matrimoni di bambini musulmani, una media di 1.024 ogni anno. Tra i non musulmani sono 2.104 le ragazze che si sono sposate all'età di 16 anni tra il 2011 e il settembre 2015. Ciò significa che ogni anno si sposano circa 420 ragazze non musulmane sotto i 18 anni. Si tratta di una situazione figlia di una tradizione crudele, nata nella povertà, anche educativa, che continua a penalizzare e a sfruttare sessualmente soprattutto le bambine. Lo scorso mese, però, il Governo federale di Kuala Lumpur ha presentato al pubblico sette obiettivi, 17 strategie e 58 tra programmi e azioni per affrontare da subito il diffuso fenomeno dei matrimoni con i minori attraverso un piano strategico quinquennale 2020-2025 che vorrebbe eliminare definitivamente questa piaga sociale.
Per la dottoressa Wan Azizah Wan Ismail, vice primo Ministro malaysiano e Ministro per le Donne, la Famiglia e lo Sviluppo comunitario, il piano non solo affronterà le cause del matrimonio minorile, ma indirettamente aiuterà a superare altre problematiche sociali che affliggono famiglie e bambini: “Il matrimonio minorile - ha spiegato la vicepremier - ha un profondo impatto sulla salute di un adolescente; studi dimostrano che le ragazze incinte di età compresa tra 15 e 19 anni corrono un rischio maggiore di morte durante la gravidanza o il parto”. La Azizah ha annunciato che per raggiungere degli obiettivi concreti sono state coinvolte 61 agenzie nazionali che agiranno sul “rafforzamento dei programmi di sostegno socioeconomico e sensibilizzazione; l’aumento dell’età minima del matrimonio a 18 anni per le ragazze; e la fornitura di servizi per la salute sessuale e riproduttiva adatti ai bambini”, mentre un comitato direttivo guidato dal ministero monitorerà tutta l’attuazione del piano.
Per la giovane parlamentare e vice ministra Hannah Yeoh, tra le promotrici più convinte dell’iniziativa, il Governo si impegnerà anche con i non musulmani coinvolgendo gli aborigeni malaysiani Orang Asli e i nativi degli Stati di Sabah e Sarawak del Borneo, al fine di condividere con tutte le comunità la lotta ai matrimoni infantili: “Ottenere il consenso dei singoli Stati per cambiare la legge è necessario solo per quanto riguarda le unioni islamiche. I nostri dati, tuttavia, mostrano che i matrimoni tradizionali a Sabah e Sarawak, [gli unici due Stati dove i cristiani sono la maggioranza] sono ugualmente diffusi tra i non musulmani”. Finora solo lo Stato di Selangor ha aumentato a 18 anni l'età legale per i matrimoni tra musulmani, mentre in altri territori federali la normativa è in via di modifica e se Penang, Sabah, Johor, Melaka e Perak hanno accettato il cambiamento, Sarawak, Pahang, Terengganu, Perlis, Negri Sembilan, Kedah e Kelantan al momento si oppongono. Per questo la parlamentare Fuzia Salleh ha ricordato che il Governo centrale ha introdotto linee guida che rendono obbligatoria la presentazione delle domande per i matrimoni islamici tra minorenni presso l’Alta corte della Syariah, un organo deputato alla giurisprudenza islamica, che potrebbe condizionare le decisioni dei singoli Stati federali: “I genitori adesso devono presentare al tribunale relazioni sulla salute fisica e mentale rilasciate dai funzionari sanitari e dal Dipartimento di previdenza sociale. Padri e madri saranno anche interrogati, per determinare i fattori alla base delle loro domande di matrimonio dei figli”.
Si tratta di un passo importante richiesto a gran voce anche da molti attivisti pakistani che hanno lanciato un appello alle autorità di Islamabad affinché venga approvata al più presto la legge contro i matrimoni minorili. La legge, denominata Child Marriage Restraint (Amendment) Bill 2019, prevede l’innalzamento dell’età legale per sposarsi fino ai 18 anni, oltre a pene più severe e multe per coloro che rapiscono, convertono con la forza all’islam bambine delle minoranze e le costringono a sposare uomini musulmani molto più vecchi. Dopo essere passata in Senato, all’inizio di maggio del 2019, il Child Marriage Restraint si è arenato nell’Assemblea nazionale a causa dell’opposizione di alcuni parlamentari e ministri di governo che giustificano la loro posizione sostenendo che la legge sarebbe contro la Sharia e l’islam. Secondo Human Rights Focus Pakistan (Hrfp), il gruppo che ha lanciato l’appello, i numeri delle bambine private della propria infanzia e della possibilità di studiare sono allarmanti: “dati dell’Unicef riportano che nel Paese il 21% delle ragazze si sposa prima dei 18 anni, il 3% prima dei 15 anni; il Paese è al sesto posto nella classifica mondiale per numero di spose bambine”.
Naveed Walter, presidente di Hrfp, ha ricordato che “Il Pakistan ha promesso di eliminare i matrimoni precoci entro il 2030, in linea con il quinto Obiettivo dello Sviluppo sostenibile approvato dall’Onu, che prevede l’eliminazione di tutte le pratiche nocive per i minori, come le nozze forzate infantili e le mutilazioni genitali”. Oggi in Pakistan ogni 20 minuti muore una donna per complicazioni legate alla maternità. Ogni anno più di 1.000 ragazze vengono rapite e costrette a convertirsi con la forza. Per questo gli attivisti chiedono “la fine dei rapimenti, delle conversioni forzate e dei matrimoni forzati delle minorenni. Dobbiamo dare una possibilità a tutte le ragazze pakistane di fare carriera senza l’ostacolo dei loro guardiani, essere autrici del cambiamento nella società per un Pakistan davvero democratico, tollerante e prospero. Non bisogna rovinare la vita e il futuro delle nuove generazioni”. “L’approvazione della legge è una notizia molto positiva - ha spiegato Nasir Saeed, direttore del Centre for Legal Aid, Assistance and Settlement (CLAAS), organizzazione impegnata nella difesa dei cristiani perseguitati in Pakistan -, tuttavia aspettiamo che il Governo la renda efficace prima di cantare vittoria e capiamo i timori, in particolare delle minoranze, dove è radicata la paura che le loro figlie vengano ancora rapite, costrette alla conversione e sposate contro la propria volontà ai loro sequestratori”.
La strada è ancora lunga, ma se saranno sconfitte le resistenze di alcuni islamisti, chi non osserverà la nuova legge potrebbe essere punito con il carcere fino a 3 anni e con una multa di almeno 100mila rupie, circa 630 euro, in sintonia con quanto già avviene in altri paesi musulmani, come Egitto, Turchia e e forse a breve anche in Malaysia.
Alessandro Graziadei
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