La Convention on Biological Diversity (Cbd) è entrata in vigore il 29 dicembre 1993 e attualmente conta 196 membri. Punta a promuovere la conservazione della biodiversità intesa come quella “variabilità tra tutti gli organismi viventi e i complessi ecologici di cui fanno parte attraverso l’uso sostenibile dei suoi componenti e la giusta ed equa condivisione dei benefici derivanti dall’uso delle sue risorse genetiche". Aprendo i lavori dell’high-level meeting on biodiversity dell’Open-ended Working Group della Cbd lo scorso mese a Roma, il direttore generale della Fao, QU Dongyu, ha ricordato che “Tutti i nostri alimenti sono prodotti in modi che prevedono una certa trasformazione dell’ambiente, il che significa che dobbiamo essere attenti al tipo e alla portata delle trasformazioni che siamo disposti ad accettare. L’agricoltura e i sistemi alimentari sono il cuore del concetto di sviluppo sostenibile e sono al centro delle discussioni sul Post-2020 Biodiversity Framework”. Secondo Qu “La biodiversità è fondamentale per gli ecosistemi, per gli esseri umani, ed è alla base della diversità alimentare". Oltre al Covid-19 c'è in ballo, quindi, un’enorme sfida: nutrire oltre 9 miliardi di persone nel 2050 in modi che garantiscano un’alimentazione sana ed evitino il sovrasfruttamento delle risorse naturali. "La Fao ha posto molte pietre miliari nella storia dell’impegno delle Nazioni Unite a favore della conservazione della biodiversità, tra cui il Codice di condotta per la pesca responsabile, il Trattato Internazionale sulle Risorse Fitogenetiche per l’Alimentazione e l’Agricoltura e il rapporto pubblicato l’anno scorso sullo Stato della biodiversità mondiale per l’alimentazione e l’agricoltura. I servizi funzionali fondamentali che la Fao fornisce agli Stati Membri, come la raccolta e la divulgazione dei dati, la definizione di standard, la consultazione politica e il potenziamento delle capacità, saranno sicuramente utili per la tutela della diversità biologica”.
Ma se i principi, al pari dei servizi funzionali, ci sono, adesso “Il mondo attende con ansia un tangibile progresso verso un quadro globale chiaro, attuabile e trasformativo sulla tutela della biodiversità con risultati solidi da concordare all’United Nations Biodiversity Conference a Kunming, in Cina, nell’ottobre 2020 [Covid-19 permettendo]. Il quadro deciso in tale sede stabilirà il corso per i prossimi 10 anni e oltre”. Per Wwf International “Il confronto Onu sulla biodiversità di Roma è stata un’occasione unica per stabilire le linee di intervento nel prossimo decennio e il Wwf invita tutti i Paesi a non perdere l’occasione per definire entro ottobre un accordo a tutela della natura che sia completo, ambizioso e basato su rilevanze scientifiche, sul modello dell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici”. Secondo il Wwf “La necessità di raggiungere un accordo per fermare la perdita di natura e invertire la rotta non è mai stata così evidente: abbiamo davanti una serie di indicatori che ci mostrano quanto il nostro rapporto con il mondo naturale sia pericolosamente squilibrato”. Solo prendendo come esempio l’aggiornamento 2019 dell’International Union for Conservation of Nature (Iucn) sulla Lista Rossa con le valutazioni di 105.732 specie animali, ne troviamo 28.338 classificate come a rischio di estinzione. Per la direttrice dell’Iucn Grethel Aguilar, “Con oltre 100.000 specie ora valutate nella Lista Rossa Iucn, quest’ultimo aggiornamento mostra chiaramente quanto gli esseri umani stiano sfruttando eccessivamente la fauna selvatica in tutto il mondo. Dobbiamo capire che la conservazione della diversità della natura è nel nostro interesse ed è assolutamente fondamentale per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Gli Stati, le imprese e la società civile devono agire con urgenza per arrestare il sovrasfruttamento della natura e devono rispettare e sostenere le comunità locali e le popolazioni indigene in questa battaglia”.
Una situazione che per Jane Smart, direttrice dell’Iucn Biodiversity Conservation Group, conferma i risultati del recente Ipbes Global Biodiversity Assessment: “la natura sta diminuendo a ritmi senza precedenti nella storia umana. Sia il commercio nazionale che quello internazionale stanno guidando il declino delle specie negli oceani, nelle acque dolci e sulla terraferma. Per arrestare questo declino è necessaria un’azione decisiva su vasta scala; la tempistica di questa valutazione è fondamentale poiché i governi stanno iniziando a negoziare un nuovo global biodiversity framework”. Un punto di vista condiviso dall’ong del Panda che nel Living Planet Report, pubblicato nel 2018, certifica dal 1970 un declino mondiale del 60% nelle popolazioni di vertebrati, questo significa un crollo di più della metà in meno di 50 anni. Nello stesso periodo, abbiamo perso più della metà delle barriere coralline del pianeta e oltre un terzo di tutte le zone umide”. Per questo il Wwf ha accolto con favore la serie di obiettivi presentati lo scorso mese a Roma, ma “incoraggia i Paesi a spingere per obiettivi al 2030 ancora più sfidanti, tra questi un incremento netto dell’estensione e dell’integrità degli habitat naturali, e che, almeno, si azzerino le perdite di specie provocate dall’uomo”.
Pe il direttore generale del Wwf International, Marco Lambertini, una scelta il più possibile lungimirante non riguarderebbe solo la conservazione della biodiversità, ma anche la nostra, visto che "Nonostante la natura sia alla base della nostra salute, del nostro benessere e dei nostri mezzi di sussistenza, la stiamo distruggendo molto più velocemente di quanto sia in grado di ricostituirsi. Quest’anno abbiamo un’opportunità storica di cambiare rotta per il bene delle persone e del pianeta. I Paesi devono agire insieme per raggiungere un ambizioso accordo globale per ricostituire sistemi naturali, a integrazione dell’accordo che abbiamo per il clima. Affrontare la perdita e il degrado della natura ci impone di fissare obiettivi per la conservazione della natura basati su evidenze scientifiche simili all’obiettivo della carbon neutrality (azzeramento delle emissioni di Co2) fissato dall’accordo di Parigi. Dobbiamo invertire la rotta per smettere di consumare natura e invece farla aumentare entro la fine del decennio”. Una sfida lanciata anche dalla stessa pandemia di Covid-19. Il riequilibrio del nostro rapporto con la natura richiede un’azione che coinvolga tutta la società ed è essenziale per garantire il benessere, la salute e lo sviluppo umano a lungo termine. Ciò significa trasformare i nostri sistemi alimentari e agricoli e il modo in cui consumiamo in modo più ampio e avere “fame di biodiversità”. Tutto adesso dipende dall’incontro cinese di ottobre, sempre che il Covid-19 non agisca da solo sulla nostra impronta ecologica decidendo il futuro di produzione, consumo e spostamenti per tutti noi.
Alessandro Graziadei
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