Prima di questa pandemia di Covid-19, le Olimpiadi erano state cancellate solo a causa della guerra, ma non erano mai state rinviate. Quelle di “Tokyo 2020” sono state le prime ad essere state posticipate di un anno a causa della pandemia di coronavirus e inizieranno il 23 luglio “con o senza il Covid-19” visto che non subiranno ulteriori rinvii. È quanto aveva annunciato lo scorso settembre il vice-presidente del Comitato olimpico internazionale (Cio) John Coates, aggiungendo che la rassegna sportiva è passata dall'essere l'occasione dei “Giochi della ricostruzione dopo le devastazioni dello tsunami”, slogan coniato in seguito all’assegnazione della competizione al Giappone, in riferimento al devastante terremoto seguito dall’onda anomala che aveva investito una parte del Paese nel mese di marzo 2011, innescando l’incidente nucleare di Fukushima, ai “Giochi che hanno vinto il Covid”. Ma i Giochi olimpici riusciranno veramente ad avere la meglio sul Covid-19 nonostante 11.000 atleti provenienti da circa 200 nazioni e le nuove varianti già pronte a diffondersi a grande velocità in tutto Giappone?
Al momento già 10.000 sugli 80.000 volontari che avevano dato la propria disponibilità a lavorare per i Giochi, hanno deciso di ritirarsi dalle Olimpiadi, proprio a seguito dell’aumento della diffusione di casi di Covid-19 nel Paese. Per Toshiro Muto, capo esecutivo del Comitato organizzativo, “il ritiro dei volontari non impatterà sull’organizzazione dei Giochi”, soprattutto perché “non ci saranno spettatori stranieri ad assistere alle gare” e questo dovrebbe ridimensionare l'impegno logistico e soprattutto limitare i contagi. Nelle ultime settimane la media giornaliera giapponese dei nuovi casi di coronavirus è al di sotto delle 3mila unità, ma secondo i dati della John Hopkins University il numero totale dei contagi è di 756.000, mentre i decessi superano i 13.330. Nonostante le preoccupazioni dell’opinione pubblica, però, la preparazione delle Olimpiadi continuerà come stabilito e per Seiko Hashimoto, presidente del Comitato organizzativo di Tokyo 2021: “Non possiamo permetterci di rimandare di nuovo”. Riferendo la scorsa settimana al Parlamento, il principale consigliere medico del governo, Shigeru Omi, ha spiegato che “A meno che [il Governo] non proponga qualcosa di nuovo in questa fase critica, sarà impossibile durante le Olimpiadi prevenire il rischio di ulteriori contagi”.
Critiche nei confronti dell'esecutivo nipponico e del Comitato olimpico internazionale (Cio) sono arrivate da parte di Kaori Yamaguchi, ex medaglia olimpica nel judo. L'atleta, molto noto in patria, ha biasimato il Comitato organizzativo giapponese e il Cio per la loro scelta di “evitare il dialogo” con le voci piùcritiche, poiché, ha continuato, “sembra che questi organi stiano volutamente ignorando l’opinione pubblica nazionale”. Secondo il dottor Naoto Ueyama, a capo dell’Unione dei medici in Giappone, "i Giochi rischiano di diventare l’incubatore di una nuova variante giapponese" e non pochi medici, virologi e giornalisti, quando non interi quotidiani (come lo Asahi Shimbun) si sono da tempo e invano schierati a favore della cancellazione delle Olimpiadi. Come nel resto del mondo l’unica soluzione sembra essere la vaccinazione, ma la campagna nazionale d’immunizzazione sta procedendo a rilento e anche se il Paese riuscisse a raggiungere l’obiettivo di vaccinare 36 milioni di persone entro luglio (previsione in ogni caso ottimistica) il 70% della popolazione resterebbe comunque scoperto. Al momento vengono somministrate circa 500mila dosi al giorno, cioè la metà di quello che sarebbe l’obiettivo dichiarato dal Governo, che punta a inocularne giornalmente un milione.
Per avvicinarsi a questo obiettivo il premier Yoshihide Suga ha reclutato medici e infermieri militari e anche se presto comincerà la vaccinazione degli atleti giapponesi, non è ancora noto in che percentuali quelli dei diversi paesi stranieri ospitati per i Giochi saranno vaccinati. Intanto, però, nonostante i traguardi vaccinali nazionali siano ancora lontani dall’essere raggiunti, il governo nipponico con un bell’esempio di solidarietà e dopo aver già impegnato 200 milioni di dollari per Covax, il programma mondiale ideato dall’Onu per vaccinare le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo, ha stanziato altri 4,5 miliardi di yen (41 milioni di dollari) per favorire la distribuzione dei vaccini contro il Covid-19 in 25 Paesi asiatici e del Pacifico. Gli aiuti saranno distribuiti attraverso il Fondo per l’infanzia delle Nazioni Unite allo scopo di finanziare la “catena del freddo”, e garantire così che i medicinali siano forniti e conservati a determinate temperature. Filippine, Thailandia, Bhutan, Brunei, Cambogia, Laos, Myanmar, Nepal, Pakistan, Sri Lanka, Maldive, Timor Est e Vietnam sono tra i Paesi asiatici che beneficeranno dei fondi, una piccola parte è destinata anche agli Stati dell’Oceania: Isole Cook, Micronesia, Niue, Papua Nuova Guinea, Samoa, Isole Salomone, Tonga, Tuvalu e Vanuatu.
Una mossa dettata solo dalla solidarietà? Non proprio. I partner del Quadrilateral Security Dialogue (Quad), di cui fanno parte Usa, India, Giappone e Australia sembrano orientati a sviluppare una propria “diplomazia dei vaccini”, alternativa a quella della Cina e utile per allargare la loro sfera d’influenza geopolitica. Le nazioni asiatiche che riceveranno i fondi nipponici sono tutte partner della Belt and Road Initiative, il grande progetto di Xi Jinping per fare di Pechino il perno del commercio mondiale. Per questo anche la donazione giapponese di questa settimana a Taiwan di 1.2 milioni di dosi di vaccino AstraZeneca, ha provocato le ire cinesi. Il carico di dosi è giunto a destinazione per mezzo dell'Associazione per le relazioni tra Taiwan e Giappone visto che il Paese nipponico non ha relazioni diplomatiche ufficiali con Taiwan, che la Cina considera una sua “provincia ribelle”. Grazie a questa donazione, la disponibilità di vaccini a Taiwan è raddoppiata e il Giappone ha fatto bella figura evitando l’imbarazzo nato attorno al vaccino AstraZeneca. Tokyo, infatti, ha già 120 milioni di dosi di questo vaccino che però non ha ancora utilizzato visto che la somministrazione è momentaneamente bloccata per via delle trombosi provocate in alcuni rari casi.
Intanto da gennaio in 11 delle 47 prefetture nazionali giapponesi è in vigore lo stato di emergenza, ma la decisione di adottare lockdown parziali e non una chiusura generalizzata in tutto il Paese ha favorito un accenno di ripresa economica. Il ministero del Lavoro ad inizio marzo ha comunicato che in gennaio il tasso di disoccupazione è stato del 2,9%, in calo rispetto al 3% di novembre e dicembre. Il dato più incoraggiante è che dall’inizio del 2021 vi sono 110 posti di lavoro disponibili per ogni 100 residenti in cerca di impiego. Molti analisti, però, si aspettano un peggioramento della situazione lavorativa dopo le olimpiadi. Fino ad adesso, infatti, l’occupazione è stata mantenuta a buoni livelli grazie all’intervento pubblico, ma quando lo stato di emergenza sarà cancellato, con ogni probabilità il numero dei disoccupati crescerà in modo significativo. In questo delicato contesto il 23 luglio si aprono i Giochi olimpici, una sfida mondiale al Covid-19 che il Giappone non potrà permettersi di perdere.
Alessandro Graziadei
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