In generale, se si esclude qualche rarissimo e fortunato esempio di “conservazionismo creativo” come nel caso della Cacatua cresta gialla (Cacatua sulphurea) ad Hong Kong e alcune specie aliene che non hanno avuto impatti troppo destabilizzanti nei nuovi habitat, la maggior parte delle invasioni biologiche sia animali che vegetali hanno conseguenze devastanti sui nuovi ambienti naturali colonizzati e sono necessari sempre più sforzi per contenere il rischio ed evitare che le specie invasive finiscano per alterare la biodiversità, gli ecosistemi e le risorse naturali, fino al punto di avere conseguenze destabilizzanti anche a livello economico e sociale. Ma come avvengono la maggior parte di queste colonizzazioni animali? Secondo lo studio “Invasiveness is linked to greater commercial success in the global pet trade” pubblicato quest’anno su Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America (PNAS) da Cleo Bertelsmeier e Jérôme Gippet, del Département d’écologie et évolution della Faculté de biologie et de médecine dell’Université de Lausanne è sempre l’uomo, in modo inconsapevole e spesso involontario, il ponte verso nuove colonizzazioni e in particolare con “La vendita e l’acquisto di animali da compagnia favorisce la dispersione nel mondo di specie potenzialmente invasive”. Ogni anno, infatti, vengono venduti decine di milioni di animali “esotici” come mammiferi, uccelli, anfibi, rettili o anche pesci, che accidentalmente o per scelta, senza pensare alle conseguenze, vengono rilasciati in natura. “Non tutte le specie diventano problematiche – hanno spiegato i due autori dello studio – ma quelli che riescono a sopravvivere, stabilirsi e riprodursi nel loro nuovo ambiente possono causare danni considerevoli alla biodiversità locale, all’agricoltura, all’economia e anche alla salute pubblica”.
La ricerca descrive con precisione l’impatto del commercio di animali nei processi di invasioni biologiche e, più specificamente, dimostra come questo mercato contribuisca alla dispersione di specie già problematiche. I biologi svizzeri si sono concentrati su 5 famiglie di vertebrati, mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci, e sono arrivati alla conclusione che “Delle 7.522 specie in vendita in tutto il mondo, il 12,6% rappresenta una minaccia. In media, queste specie invasive sono 7,4 volte più frequenti nel gruppo di animali in commercio”. Lo studio cita l’esempio dello scoiattolo Tamia (Tamias sibiricus), originario dell’Asia, dai grandi occhi neri ed eleganti strisce sulla pelliccia, da decenni in Europa è diventato un animale domestico molto richiesto ma, rilasciato in natura, ha costituito popolazioni stabili, in particolare in Francia, Belgio e Italia, ed è diventato invasivo. Anche il caso più recente delle formiche “da compagnia” è esemplare, visto che il mercato degli insetti vivi è particolarmente fiorente e secondo i ricercatori svizzeri, “Come nei vertebrati, le specie di formiche note per essere invasive sono le più presenti sul mercato” e “Tra questi insetti sociali, la sovrarappresentazione delle specie problematiche può essere solo dovuta al loro maggiore successo commerciale”. Le formiche invasive, infatti, possono contare su un ampio areale originario e non sono molto esigenti in termini di habitat, due caratteristiche attraenti anche dal punto di vista commerciale: “data la presenza capillare di questi insetti, i venditori possono ottenerli facilmente e, dato che queste specie sopravvivono in molti ambienti diversi, sono facili da tenere in casa”. Per la Bertelsmeier “Ciò che rende una formica invasiva la rende anche vincente sul mercato. Non solo le specie problematiche hanno quindi maggiori probabilità di essere importate ed esportate, ma questi scambi creano opportunità per animali che non sono ancora pericolosi, ma potrebbero esserlo”.
Alla luce di questo lavoro, gli scienziati dell’Université de Lausanne, chiedono alla politica europea una regolamentazione migliore, visto che al momento “Anche se sappiamo che alcune formiche causano danni per miliardi, nessuna legge internazionale ne vieta la vendita e l’importazione”. Per quanto riguarda i vertebrati, invece, anche se il commercio internazionale è meglio controllato, i ricercatori fanno notare che “La stragrande maggioranza delle normative mira a proteggere le specie in via di estinzione, non a prevenire le invasioni biologiche o la trasmissione di malattie agli esseri umani. Esiste una sola lista nera in Europa delle specie vietate in vendita a causa del pericolo che rappresentano. Contiene solo 30 animali e 30 piante”. In altre parole, non è affatto esaustiva, data la quantità di specie potenzialmente problematiche che esistono in commercio. “Il nostro lavoro - ha concluso Gippet - dimostra che, anche inconsapevolmente, il mercato tende naturalmente a favorire le specie invasive. Forse l’import/export di animali domestici dovrebbe essere vietato per principio predefinito e consentito solo per quelli che non presentano rischi. L’idea è di privilegiare una lista bianca. E non una lista nera”. Del resto già lo studio del 2018 “More than “100 worst” alien species in Europe”, pubblicato su Biological Invasions da un team di ricercatori internazionale e realizzato attraverso una vastissima valutazione quantitativa aveva identificato ben 149 specie aliene ad elevato impatto ambientale e socioeconomico presenti in Europa. L’elenco dei “peggiori invasori” aveva segnalato 54 piante, 49 invertebrati, 40 vertebrati e 6 funghi, tra cui alcune specie molto diffuse nel nostro Paese come il gambero rosso della Louisiana (Procambarus clarkii), i ratti (Rattus norvegicus) e i topi muschiati (Ondrata zibethicus), l’acaro (Varroa destructor) responsabile di danni gravissimi alle api, il giacinto d’acqua (Eichhornia crassipes) la pianta di kudzu (Pueraria lobata) che minaccia il paesaggio del Lago Maggiore, fino a diversi tipi di fiore molto diffusi in giardini e balconi come la Lantana camara.
Studi come questo sono fondamentali per il progetto Life Alien Species Awareness Program (Asap), che in Italia è impegnato nella riduzione delle specie aliene invasive e il contenimento degli impatti negativi sul nostro territorio. Nell’elenco apparso su Biological Invasions tre anni fa ed elaborato con un metodo scientifico che ha tenuto conto dei costi economici e sociali che ne conseguono, compaiono 64 specie che non apparivano invece in altri elenchi di specie aliene invasive particolarmente dannose. Per Piero Genovesi, Project manager di Asap, “Gli studi sugli impatti delle specie aliene invasive e le liste di specie a maggiore impatto sono strumenti molto utili per aumentare la consapevolezza dei rischi delle invasioni biologiche nell’opinione pubblica e anche per definire le priorità di azione, ma in passato le liste elaborate e realizzate sulla base di opinioni di esperti, avevano il limite di non essere confrontabili tra loro”. La novità importante di questo studio è che ha valutato non solo gli effetti delle invasioni biologiche sulla biodiversità, come ad esempio una diminuzione delle specie autoctone o le alterazioni degli habitat cui possono seguire modifiche importanti per l’ecosistema, ma anche le conseguenze sulle attività dell’uomo (sulla produzione agricola, la silvicoltura e l’acquacoltura o la pesca), nonché le minacce al benessere umano sul piano sanitario e infrastrutturale. Va inoltre ricordato che l’impatto delle specie aliene può cambiare nel tempo ed è quindi essenziale monitorare attentamente il fenomeno, aggiornando periodicamente la lista e in attesa di leggi più restrittive, è importante evitare di facilitare la diffusione di “compagnie invasive” con il commercio di animali e piante.
Alessandro Graziadei
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