Anche se negli ultimi 10 anni si registra un netto miglioramento della qualità dell’aria in Europa, l’ultima valutazione annuale dell’European environment agency (Eea) ha rilevato che nel solo 2018 l’esposizione al particolato fine ha causato circa 417.000 morti premature in 41 Paesi europei. Per questo oggi l’inquinamento atmosferico in Europa rappresenta un rischio reale per la salute ed è considerato un problema molto serio, certificato anche dall’ultimo City air quality viewer delle città europee attraverso il quale l’Eea ha classificato le più pulite e le più inquinate, sulla base dei livelli medi di particolato fine, PM2,5 registrati negli ultimi due anni. Il particolato fine è l’inquinante atmosferico con il maggiore impatto sulla salute in termini di morte prematura e malattie cardiovascolari e respiratorie. Per il direttore esecutivo dell’Eea, Hans Bruyninckx, “Sebbene la qualità dell’aria sia notevolmente migliorata negli ultimi anni, l’inquinamento atmosferico rimane ostinatamente elevato in molte città in tutta Europa. Questo visualizzatore della qualità dell’aria della città consente ai cittadini di vedere da soli, in un modo facile, come sta andando la loro città rispetto ad altre. Fornisce informazioni concrete e locali che possono consentire ai cittadini di rivolgersi alle loro autorità locali perché affrontino i problemi. Questo ci aiuterà tutti a raggiungere gli obiettivi di inquinamento zero auspicati dell’Unione europea”.
Intanto dal 2019 al 2020, le città più pulite d’Europa in termini di qualità dell’aria sono state Umeå in Svezia, Tampere in Finlandia e Funchal in Portogallo. Le peggiori? Le italiane Cremona e Vicenza, insieme a Nowy Sacz e Zgierz in Polonia e a Slavonski Brod in Croazia. Dati che confermano il pesante inquinamento atmosferico in Pianura Padana. Certo, non tutte le città sono incluse, visto che lo studio comprende solo quelle monitorate da Eurostat, che hanno una popolazione di oltre 50.000 abitanti e che dispongono di stazioni di monitoraggio urbane o suburbane che coprono più del 75% dei giorni nell’arco di un anno solare. Delle 323 città incluse nel rapporto, “la qualità dell’aria è classificata come buona solo in 127 città, il che significa che in tutte le altre scende al di sotto della linea guida sulla salute per l’esposizione a lungo termine a PM2,5 di 10 microgrammi per metro cubo di aria (10μg/m3) istituito dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms)”.
Per Legambiente “le città con un’aria classificata pessima conta due italiane, e non sono grandi città: si tratta di Cremona (322° posizione) e Vicenza (320°). Risalendo la classifica, tra le città in cui l’aria è comunque classificata cattiva, si ritrovano molte altre città del bacino padano (nell’ordine, Brescia, Pavia, Venezia, Piacenza, Bergamo, Treviso), e bisogna risalire una ventina di posizioni per trovare le grandi: Milano occupa la posizione 303 e Torino la 298”. Per Damiano Di Simine, responsabile Comitato scientifico di Legambiente, si tratta di “Una qualità dell’aria che nelle piccole città della bassa Padano-Veneta, ha cause che non possono essere riconducibili esclusivamente a traffico e riscaldamento, ma in cui pesa, sempre di più, il contributo emissivo degli allevamenti intensivi”. Consultando gli inventari delle emissioni per la provincia di Cremona, per esempio, si riscontra che nel territorio provinciale vengono emesse polveri ultrafini “per 781 tonnellate annue (il 51% da combustioni di biomasse per riscaldamento), ma molto maggiori sono le emissioni di sostanze che funzionano da precursori delle stesse polveri: ammoniaca (18.241 tonnellate annue, il 99% da fonti agrozootecniche) e ossidi d’azoto (6.503 tonnellate annue, il 41% da trasporti su strada)”.
Secondo il presidente nazionale di Legambiente, Stefano Cifani, “Anche dai dati della Eea emerge prepotente il peso eccessivo del carico zootecnico che si concentra nelle regioni padane. Per alleviare il quadro scadente della qualità dell’aria nel Nord Italia è ormai inderogabile affrontare il tema della sostenibilità dell’allevamento intensivo”. Per Cifani nel Piano Strategico Nazionale che il MIPAAF sta confezionando per orientare le risorse della prossima PAC, “occorre prevedere misure che perseguano la riduzione del carico zootecnico nelle regioni in cui questo è eccessivo, come la Lombardia, e che mitighino l’impatto della gestione dei reflui di allevamento, supportando gli investimenti agroambientali delle aziende”. Come avevamo scritto nel 2020 il peso dell’allevamento intensivo sull’ambiente sta diventando insostenibile. Negli ultimi 10 anni, infatti, le concentrazioni atmosferiche di metano sono aumentate rapidamente, e circa la metà dell’aumento viene attribuito alle emissioni prodotte dal bestiame. Gli animali negli allevamenti intensivi rilasciano grandi quantità sia di metano, attraverso i microorganismi che sono coinvolti nel processo di digestione, che di protossido di azoto attraverso la decomposizione del letame.
Secondo lo studio “Infectious Diseases, Livestock, and Climate: A Vicious Cycle”, pubblicato nel 2020 da un team di ecologi, veterinari ed esperti statunitensi e canadesi, ci sono prove che i cambiamenti climatici, e in particolare il riscaldamento delle temperature, stiano influenzando alcune malattie infettive del bestiame. Contemporaneamente il verificarsi di nuove infezioni negli allevamenti intensivi sta innescando un aumento di inquinamento per via del maggior rilascio di metano. Per Vanessa Ezenwa dell’Odum school of ecology and department of infectious diseases del College of veterinary medicine dell’Università della Georgia e per Amanda Koltz del Living Earth Collaborative della Washington University – St. Louis, “alcuni parassiti possono indurre gli animali a produrre più metano, un gas serra con un effetto sul riscaldamento globale 28-36 volte più potente di quello dell’anidride carbonica". Per la Ezenwa e il suo team di ricercatori “Ci sono prove che siano i cambiamenti climatici, e in particolare il riscaldamento delle temperature, ad influenzare alcune malattie infettive responsabili di un aumento del rilascio di metano”, innescando una sorta di “circolo vizioso”. Secondo la Koltz, poi, “Le malattie infettive hanno a loro volta un impatto su tutti gli animali, ma la nostra comprensione di come i loro effetti si estendono all’ecosistema più ampio è ancora limitata”. È probabile che alcuni di questi impatti abbiano effetti a cascata a livello di ecosistema anche sulle percentuali di inquinamento, come nel caso di Cremona e Vicenza, città molto legate alla zootecnia.
Alessandro Graziadei
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