domenica 29 agosto 2021

Via dal mare!

 

Una volta si andava al mare, adesso con il cambiamento climatico c’è il rischio arrivi lui fin sulla porta di casa! Come mai? Perché le emissioni di gas serra e il conseguente cambiamento climatico causeranno nei prossimi anni un forte innalzamento del livello del mare, indipendentemente dalle nostre azioni di adattamento climatico. Le società dovranno quindi adattarsi e proteggere meglio la costa da un mare che arriverà a salire entro il 2100 di 34-76 cm in uno scenario di mitigazione delle emissioni, mentre con uno scenario ad alte emissioni si arriverebbe anche a 58-172 cm, esponendo le coste di tutto il mondo al rischio di inondazioni. Secondo lo studio del 2020 “Economic motivation for raising coastal flood defenses in Europe” pubblicato su Nature Communication  da un team di ricercatori del Joint Research Centre (Jrc) della Commissione europeainfatti, “In assenza di un’azione per il clima e in presenza di una continua pressione demografica e di un’urbanizzazione lungo le coste, i danni annuali causati dalle inondazioni costiere [solo] nell’Unione europea e nel Regno Unito potrebbero aumentare bruscamente, esponendo ogni anno una popolazione di 3,9 milioni di persone alle inondazioni costiere”. Adesso, per lo studio “Reframing strategic, managed retreat for transformative climate adaptation”, pubblicato a giugno su Science da Katharine Mach, della Rosenstiel school of marine and atmospheric science dell’Università di Miami, e da A. R. Siders, del Disaster research center dell’Universita del Delaware, “Pensare seriamente a una ritirata gestita dalle coste […] è ormai fondamentale”.


Insomma, quando si tratta di discutere di adattamento costiero ai cambiamenti climatici è fondamentale mettere tutte le opzioni sul tavolo e  tra queste c’è anche la "ritirata gestita"cioè lo spostamento intenzionale di persone, edifici e altri beni dalle aree vulnerabili, un'opzione che finora è stata considerata solo come l’ultima ed emergenziale risorsa.  Secondo la Siders, “Questa scelta, se utilizzata in modo proattivo o in combinazione con altre misure, può essere un potente strumento per ampliare la gamma di possibili soluzioni e far fronte all’innalzamento del livello del mare, alle inondazioni e ad altri effetti del cambiamento climatico”. Nello studio, le due ricercatrici statunitensi forniscono una roadmap, ricordandoci che “Il cambiamento climatico sta colpendo le persone in tutto il mondo e tutti stanno cercando di capire cosa fare al riguardo. Allontanarsi dal pericolo potrebbe essere una strategia molto efficace, ma spesso viene trascurata". Per le due scienziate “Ritirata non significa sconfitta” e  “Il ritiro gestito avviene già da decenni in tutti gli Stati Uniti su scala molto ridotta con il supporto statale e/o federale”. Gli uragani Harvey nel 2017 e Florence nel 2018 sono stati “Eventi meteorologici che hanno indotto i proprietari di case vicino al Golfo del Messico a cercare il sostegno del governo per il trasferimento. A livello locale, città come Bowers Beach, vicino alla costa del Delaware, hanno utilizzato gli espropri per rimuovere case e famiglie dalle aree soggette a inondazioni, un’idea che stanno valutando anche Southbridge a Wilmington”.


Come davanti ad altri fenomeni, e come è normale che sia, noi tutti siamo favorevoli all’idea di lasciare le nostre case, ma la Siders è convinta che “Pensare seriamente a una ritirata gestita, può rafforzare le decisioni e stimolare il confronto nelle comunità. Se gli unici strumenti a cui pensi sono il ripascimento della spiaggia e la costruzione di dighe, stai limitando ciò che puoi fare, ma se inizi ad aggiungere l’intero kit di strumenti e a combinare le opzioni in modi diversi, puoi creare una gamma di futuri molto più ampia”. Le decisioni di adattamento non devono essere decisioni “sì o no”, ma è importante ricordare che si tratta di progetti e interventi che richiedono tempo, quindi la pianificazione dovrebbe iniziare ora. Nel loro studio, Siders e Mach, sostengono che “L’adattamento all’erosione delle coste a lungo termine comporterà il ritiroAnche le visioni del futuro tradizionalmente accettate, come la costruzione di dighe contro le inondazioni e il sollevamento delle strutture minacciate, comporteranno una ritirata su piccola scala per fare spazio a argini e drenaggio. Potrebbe essere necessario una ritirata su larga scala per trasformazioni più ambiziose, come la costruzione di quartieri o città galleggianti, la trasformazione delle strade in canali nel tentativo di convivere con l’acqua o la costruzione di città più dense e compatte su un terreno più elevato”. Quello che può sembrare un futuro fantascientifico o distopico in realtà esiste già. Nei Paesi Bassi il comune di Rotterdam ha installato nel suo porto case galleggianti che si spostano con le maree. New York City sta esaminando l’idea di costruire nell’East River per ospitare una diga anti-alluvioni. Entrambe le città utilizzano strategie combinate che sfruttano più di uno strumento di adattamento. A livello globale, gli Stati Uniti sono in una posizione privilegiata, in termini di spazio disponibile, denaro e risorse, rispetto ad altri Paesi che affrontano futuri più complicati. La Repubblica di Kiribati, per esempio, una catena di isole nell’Oceano Pacifico centrale, per evitare di finire sott’acqua ha acquistato un terreno nelle Fiji ed è pronta a trasferirci tutta la sua popolazione in caso di necessità.


Lo studio è destinato a diventare uno spunto di conversazione per ricercatori, responsabili politici, comunità e residenti che vogliono sopravvivere al cambiamento climatico. Queste discussioni però, non dovrebbero concentrarsi esclusivamente su dove dobbiamo spostarci, ma anche su dove dovremmo evitare di costruire, dove dovrebbero essere incoraggiate nuove costruzioni e come dovremmo costruire in futuro. La Siders pensa che l’umanità possa cavarsela solo se penserà a lungo termine: “È difficile prendere buone decisioni sul cambiamento climatico se pensiamo fino a 5 – 10 anni. Stiamo costruendo infrastrutture che durano 50 – 100 anni; la nostra scala di pianificazione dovrebbe essere altrettanto lunga”. Intanto, secondo le proiezioni sui cambiamenti climatici e gli scenari di sviluppo socioeconomico dell’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc), il range previsto di perdite economiche derivanti dalle inondazioni costiere nel corso di questo secolo, nella sola Unione europea, spaventa: "l’attuale perdita media annua dovuta alle inondazioni costiere di 1,4 miliardi di euro aumenterà di 2 o 3 ordini di grandezza, ed entro il 2100 salirà da 210 a 1,3 trilioni di euro”. Una cifra incredibilmente alta, ma nel contempo decisamente credibile, se è vero che oggi in Europa ogni anno, circa 100.000 persone sono esposte alle inondazioni costiere e questa cifra, senza misure idonee di contenimento, potrebbe facilmente raggiungere  gli 1,6 - 3,9 milioni di persone entro la fine del secolo


Alessandro Graziadei

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