Da oltre un decennio la maggior parte della popolazione mondiale vive nelle città e il processo di abbandono delle campagne non accenna a fermarsi, tanto che ormai la percentuale della popolazione urbana supera quella rurale anche nei Paesi in via di sviluppo, che sono quelli in cui vive oltre l’80% degli esseri umani. In Italia le persone che vivono già in città sono sette su dieci e l’esodo dalle campagne è destinato a continuare, anzi ad accelerare. Oggi in Italia lasciano la campagna dieci persone su mille ogni anno, rispettando un andamento comune alla media dei Paesi più ricchi del Pianeta. Secondo le previsioni delle Nazioni Unite tra dieci anni saranno più di dodici. Anche in Italia, nonostante la fascinazione e l’idealizzazione tutta contemporanea per la campagna, chi realmente è fuggito dalla città per riprendere quel rapporto interrotto con la natura e i frutti della terra, fa parte di una ristretta minoranza e non sempre lo ha fatto per diventare un imprenditore agricolo. Non a caso, secondo una recente analisi della Coldiretti diffusa in occasione del G20 dei Ministri dell’agricoltura riunitosi a Firenze lo scorso 17 e 18 settembre, nello spazio di una sola generazione, “l’Italia ha perso più di un terreno agricolo su quattro seguendo un modello di sviluppo sbagliato che ha causato la scomparsa del 28% delle campagne”.
“In Italia - ha evidenziato la Coldiretti facendo propri i dati Ispra - la superficie agricola utilizzabile si è già ridotta ad appena 12,8 milioni di ettari e a causa della cementificazione e della scomparsa dei terreni fertili sono andati persi in un decennio oltre 400 milioni di chili di prodotti agricoli, con la copertura artificiale di suolo coltivato che nel 2020 ha toccato la velocità di 2 metri quadri al secondo, nonostante il lockdown e la crisi dell’edilizia”. La perdita maggiore si è registrata sul fronte dei cereali e degli ortaggi con la scomparsa di 2 milioni e 534mila quintali di prodotto, seguita dai foraggi per l’alimentazione degli animali, dai frutteti, dai vigneti e dagli oliveti. Si tratta di un problema grave per un Paese come l’Italia impegnato a colmare il proprio deficit produttivo in molti settori. “In Italia è infatti necessario recuperare - ha spiegato la Coldiretti - il deficit del 64% del frumento tenero e del 40% per il frumento duro destinato alla produzione di pasta, mentre si copre appena il 53% delle fabbisogno di mais, fondamentale per l’alimentazione degli animali e per le grandi produzioni di formaggi e salumi Dop”. Un trend negativo che riguarda anche la soia nazionale che soddisfa meno il 31% dei consumi domestici, il latte è fermo al 75% del fabbisogno nazionale e la carne al 55%, con l’eccezione della carne di pollo e delle uova, per le quali l’Italia ha raggiunto l’autosufficienza e non ha bisogno delle importazioni dall’estero.
Ma la scomparsa della terra fertile non pesa solo sugli approvvigionamenti alimentari. “Dal 2012 ad oggi il suolo sepolto sotto asfalto e cemento non ha potuto garantire l’assorbimento di oltre 360 milioni di metri cubi di acqua piovana che ora scorrono in superficie aumentando la pericolosità idraulica dei territori con danni e vittime. Una situazione in cui a causa dei cambiamenti climatici - ha aggiunto la Coldiretti - sono sempre più frequenti gli eventi estremi, +36% nel 2021 rispetto all’anno precedente, con precipitazioni violente che provocano danni perché i terreni non riescono ad assorbire l’acqua su un territorio come quello italiano reso più fragile dalla cementificazione e dall’abbandono con 7.252 i comuni, ovvero il 91,3% del totale, a rischio idrogeologico. Secondo il presidente della Coldiretti Ettore Prandini “Per proteggere la terra e i cittadini che vi vivono, l’Italia deve difendere il patrimonio agricolo e la disponibilità di terra fertile puntando a una forma di sovranità alimentare con i progetti del PNRR” ed “occorre anche accelerare l’approvazione della legge sul consumo di suolo, ancora ferma in Senato, che potrebbe dotare l’Italia di uno strumento all’avanguardia per la protezione del suo territorio”. Una posizione ribadita in piazza Santa Croce anche dai giovani della Coldiretti e di tutto il mondo che si sono dati appuntamento a Firenze per protestare contro il furto e la distruzione di terra fertile con gli slogan in italiano e inglese “Mangia locale, pensa globale”, “Stop consumo di suolo”, “No land no food”, “Save the planet, eat local”, “Farmers feed the planet”, “Dalla parte della terra sempre!”, “Stop landgrabbing”, “Tenete i piedi per terra”, “Scendete dal pero” perché “Ne abbiamo le balle piene”. Sono, infatti, le nuove generazioni che rischiano di pagare più di altre il prezzo dei cambiamenti climatici, delle speculazioni sulla terra e del land grabbing ossia la corsa all’accaparramento di terre e produzioni agricole da parte dei Paesi più ricchi favorito anche dalla pandemia Covid.
Oggi le speculazioni sulla terra spingono il caro prezzi delle materie prime agricole a livello internazionale con rincari del 32% rispetto allo scorso anno. Preoccupano soprattutto i cereali con una crescita del 44%, ma aumentano anche carne, latte e zucchero per effetto di manovre finanziarie sul cibo che stanno “giocando” con il cibo impedendo la programmazione e la sicurezza degli approvvigionamenti in molti Paesi. I giovani agricoltori hanno sottolineano come “L’accaparramento di terreni fertili da parte dei Paesi ricchi, ma anche la tendenza a potenziare le riserve interne per il timore di nuove chiusure a causa della pandemia hanno innescato un cortocircuito che pesa sulle quotazioni delle produzioni sui mercati mondiali. Il risultato è che sono saliti a oltre 93 milioni gli ettari di terra coltivata nel mondo sottratti ai contadini dalle nazioni avanzate e dalle multinazionali per speculazioni e attività non agricole che stravolgono produzioni secolari e sistemi socio economici locali”. E in Italia? Per la delegata nazionale dei giovani della Coldiretti, Veronica Barbati “L’Italia può contare su un esercito di quasi 60mila giovani impegnati a difendere e custodire le campagne, il numero più elevato a livello europeo”, occorre però aiutarli con politiche molto più lungimiranti che in passato “prevenendo l’uso non agricolo dei suoli e definendo l’agricoltura come un servizio pubblico”, l’unico modo per tutelare la terra e i suoi prodotti, non solo del Belpaese. Per questo secondo i giovani agricoltori di tutto il mondo è ora di scendere dal pero: “Serve una campagna di comunicazione internazionale per sottolineare il ruolo positivo dell’agricoltura nel garantire la sicurezza alimentare, combattere i cambiamenti climatici, proteggere i territori e la biodiversità, consentire occupazione, reddito equo e combattere le fake news sulla produzione alimentare”. La sfida è lanciata, anche al nostro PNRR.
Alessandro Graziadei
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