Le barriere coralline di tutto il mondo sono disturbate. Da chi? Una volta erano i saccheggiatori di coralli, oggi è il cambiamento climatico. Quello che è certo è che se le barriere coralline, hotspot di biodiversità mondiali e driver dell’economia di molti paesi, sono in declino costante, la colpa diretta o indiretta è sempre nostra e in particolare del costante aumento della temperatura al quale l’uomo sta sottoponendo il Pianeta. Se l’aumento delle temperature e l’acidificazione dei mari continuano di questo passo, entro il 2054 i coralli non riusciranno più a produrre il loro scheletro di carbonato di calcio e potrebbero cominciare addirittura a dissolversi. La notizia non è nuova, ma due studi pubblicati quest’estate su Communications & Environment e su Scientific Reports ci spiegano bene perché siamo molto vicini ad un punto di non ritorno visto che dal 1970 ad oggi il tasso di crescita e di calcificazione delle barriere coralline è diminuito in media del 4,3% ogni anno, mentre la copertura corallina mondiale si è ridotta in media dell’1,8% all’anno.
Su Communications & Environment gli scienziati della Southern Cross University hanno esaminato 53 studi già pubblicati, analizzando i tassi di crescita e di calcificazione di ben 36 località con barriere coralline, situate in 11 Paesi del mondo. Tra queste non poteva mancare la Grande Barriera Corallina australiana, ma anche il Reef Shiraho in Giappone, le barriere di diverse isole delle Hawaii, della Florida, dello stato di Palau, della Polinesia francese, delle isole delle Filippine e persino del Mar Rosso. Gli scienziati hanno documentato in tutti questi habitat la morte di molti coralli: quando la temperatura dell’acqua è troppo elevata, infatti, i coralli espellono la loro alga simbionte e si verifica il cosiddetto “sbiancamento dei coralli”, e il corallo perde con il suo colore anche la possibilità di nutrirsi. Resta dunque una semplice impalcatura di carbonato di calcio. Con l’acidificazione dei mari, invece, gli scheletri calcarei del corallo crescono molto più lentamente a causa della mancanza di carbonato di calcio. Grosse quantità di anidride carbonica prodotta delle attività antropiche e assorbita dal mare reagisce con l’acqua formando acido carbonico, che a sua volta reagiscono con il carbonato di calcio, che viene quindi sottratto ai coralli. Se il livello di CO2 in atmosfera dovesse raggiungere le 500 parti per milione (ppm), la calcificazione degli scheletri dei coralli diventerebbe impossibile.
Ecco perché il riscaldamento e l’acidificazione dei mari e degli oceani sono le trappole mortali per le barriere coralline che a differenza di molti animali come pesci e mammiferi marini non possono provare a spostarsi verso acque più fredde per sfuggire alla calura. Secondo i ricercatori che hanno lavorato per Scientific Reports qualche barriera sta provando lentamente a guadagnare qualche grado di longitudine, anche se con scarso successo. Secondo le nuove scoperte del Florida Institute of Technology e dell’US Geological Survey, le barriere coralline della Florida non potranno compiere questa migrazione verso latitudini più elevate perché sono bloccate dalle ondate di freddo provenienti da nord, sempre più frequenti. Questo ecosistema si trova quindi intrappolato nelle acque tropicali, costretto a “bollire” in un mare sempre più caldo. Oggi in Florida resta solo il 2% della barriera corallina originaria, il resto è già andato perduto per via dei cambiamenti climatici e dell’inquinamento. Come altre zone costiere senza barriere coralline la Florida sarà sempre più esposta al moto ondoso, alle tempeste tropicali e agli uragani perdendo nei prossimi decenni circa 4,4 miliardi di dollari derivanti dalle attività turistiche e dalla pesca, oltre a 70.000 posti di lavoro.
Mentre dagli USA arriva l’allarme, dall’Australia arriva una timida speranza. Secondo l’ultimo report dell’Australiana Institute of Marine Science (Aims), un'agenzia indipendente che fa capo al governo di Canberra, nell’ultimo anno gli scienziati avrebbe osservato un ripopolamento dai coralli Acropora nella Grande Barriera Corallina. Una vera e propria ricrescita all’interno del più grande sistema corallino al mondo, registrata praticamente in tutte le sue regioni. Tuttavia i coralli Acropora di cui si sta ripopolando la Grande Barriera sono tanto veloci a crescere quanto ad andarsene. L'ultimo rapporto dell'Aims, infatti, spiega che dal 2009 la Barriera è stata colpita da 17 cicloni, 3 eventi di sbiancamento di massa e un’ondata di stelle di mare dette “corona di spine” che si nutrono di grandi quantità di coralli. Per questo secondo l’Unesco “La Grande Barriera corallina è in pericolo”, assieme ai suoi 400 tipi di corallo, oltre alle 1.500 specie diverse di pesci e alle 4.000 varietà di molluschi. L’Australia ha impugnato la recente decisione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite di includere la Grande Barriera - il maggior sistema corallifero del mondo (più grande dell'Italia) - nella lista dei Patrimoni mondiali in pericolo. Terreno di scontro di questi mesi è la bozza sullo status di alcuni luoghi dichiarati Patrimonio dell'Umanità e la richiesta al Governo australiano di impegni “più forti e chiari” per proteggere lo stato della Grande Barriera Corallina, inclusa nel patrimonio mondiale dal 1981 e ora sempre più minacciata dal cambiamento climatico. In particolare l'Unesco chiede, a livello locale, il “miglioramento della qualità dell’acqua”.
Mentre secondo molte organizzazioni ambientaliste australiane, la raccomandazione delle Nazioni Unite denuncia la mancanza di volontà del governo di Canberra di ridurre le emissioni responsabili dell'effetto serra, per il ministro australiano dell’Ambiente Sussan Ley se “il cambiamento climatico globale è la più grande minaccia per le barriere coralline del mondo, è sbagliato, a nostro avviso, inserire la Grande barriera corallina meglio gestita al mondo in un elenco di siti in pericolo”. Così mentre la politica discute di carte bollate e sensibilità ecologiche più meno evidenti, le barriere coralline del Pianeta sembrano sempre più disturbate da questo antropico brusio di fondo che per il momento non ha ancora messo fine alle loro sofferenze.
Alessandro Graziadei
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