sabato 9 ottobre 2021

Se salvassimo almeno il 30%...

 

La conservazione di un 30% di territorio “strategico” del Pianeta potrebbe produrre importanti vantaggi per la conservazione, il clima e l’approvvigionamento idrico mondiale: “In particolare, salvaguarderebbe oltre il 62% del carbonio vulnerabile sopra e sotto terra e il 68% di tutta l’acqua dolce, garantendo al contempo che oltre il 70% di tutte le specie di vertebrati e vegetali terrestri non siano minacciate di estinzione”. A sostenerlo è stato lo studio  “Areas of global importance for conserving terrestrial biodiversity, carbon, and water”, pubblicato il 23 agosto su Nature Ecology and Evolution dai ricercatori del consorzio Nature Map Earth che ci ricordano che “Per fermare il declino della natura e raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, oggi è necessario progettare e attuare a livello globale strategie per migliorare la gestione dell’uso del suolo per l’agricoltura, le infrastrutture, la conservazione della biodiversità, la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici e la fornitura di acqua”. Niente di nuovo direte voi. Vero, ma l’originalità dello studio sta nel tentativo di determinare quali siano le aree minime e di importanza globale per la conservazione e per proteggere contemporaneamente il maggior numero di specie dall’estinzione, conservare gli stock di carbonio terrestre vulnerabili e salvaguardare le risorse di acqua dolce. Si tratta, per questo, del primo studio del suo genere a integrare veramente la biodiversità, il carbonio e la conservazione dell’acqua all’interno di un approccio comune e in un’unica mappa delle priorità globali, capace di prende in considerazione un insieme completo di dati sulla distribuzione delle piante (circa il 41% di tutte le specie vegetali) e la definizione degli obiettivi per salvare le specie a rischio di estinzione.


Per il principale autore dello studio, Martin Jung del Biodiversity and Natural Resources Program (BNR), dell’International Institute for Applied Systems Analysis (IIASA), “Per implementare le strategie sulla biodiversità post-2020 come il Global Biodiversity Framework, i responsabili politici e i governi hanno bisogno di chiarezza su dove le risorse e la gestione della conservazione potrebbero portare i maggiori benefici potenziali alla biodiversità. Allo stesso tempo, la biodiversità non dovrebbe essere considerata isolatamente. Altri aspetti come la conservazione degli stock di carbonio all’interno degli ecosistemi naturali dovrebbero essere presi in considerazione insieme alla biodiversità, in modo che possano essere valutati sia le sinergie che i compromessi da fare quando si perseguono più obiettivi”. Una sorta di “conservazione globalizzata” che permetterebbe di concentrare gli sforzi e massimizzare i risultati. Per Piero Visconti, che dirige il BNR-IIASA, “Le nuove mappe delle priorità globali sviluppate nell’ambito dello studio mostrano che quando si tratta di identificare nuove aree da gestire per la conservazione, come aree protette o foreste gestite dalla comunità, la qualità (ubicazione ed efficacia gestionale) è più importante della quantità (estensione globale)”. Insomma, per puntare alla qualità della conservazione e raggiungere l’obiettivo della salvaguardia della biodiversità mondiale, le agenzie governative e non governative devono stabilire obiettivi e strategie, e questo studio fornisce indicazioni chiare su come e dove farlo.


Basterà salvare un 30% di territorio “strategico”? Forse sì, ma come dimostra lo studio, il raggiungimento di questi obiettivi richiederà tanta buona volontà e interventi di conservazione mirati fatti utilizzando strumenti di pianificazione territoriale aggiornati. Per Lera Miles, del World Conservation Monitoring Center (UNEP-WCMC) dell’United Nations Environment Programme (UNEP), al netto della volontà, che la scienza non può orientare, “Questo tipo di approccio può supportare i decisori nel dare priorità ai luoghi dove attuare lavori di conservazione e mostra quanto potrebbero guadagnarne sia le persone che la natura. Per avere successo a lungo termine, queste aree devono essere gestite in modo efficace ed equoQuesto include il rispetto dei diritti e l’empowerment delle popolazioni indigene e delle comunità locali”. L’analisi identifica così il valore superiore potenziale di una data area da gestire per la conservazione su scala globale, tattavia i ricercatori non suggeriscono che tutte le aree di alto valore debbano essere poste sotto stretta tutela, riconoscendo che queste scelte gestionali competono gli stakeholder nazionali e locali. A qualcuno potrebbe sembrare un compromesso al ribasso che la scienza sta facendo con la politica, ma ad oggi, nella situazione nella quale versa il nostro Pianeta, delle mappe di priorità per la pianificazione territoriale integrata (come tra l’altro richiesto nella bozza del Global Biodiversity Framework), sono ormai necessarie per raggiungere gli obiettivi minimi in fatto di clima e biodiversità. 


Ottimizzare a livello globale la gestione di biodiversità, carbonio e acqua potrebbe massimizzare le sinergie che possono essere ottenute dalla conservazione rispetto al porre l’accento solo su ogni singolo bene: “Attraverso un’azione strategica in località selezionate, è possibile ottenere vantaggi significativi in tutte e tre le dimensioni”, ma tutta la società umana deve in ogni caso intensificare gli sforzi per raggiungere gli obiettivi globali in materia di biodiversità e clima. Lo studio, infatti, conferma, anche quantitativamente molte aree (che possono essere esplorate in modo interattivo nell’UN Biodiversity lab) sotto tutela come fondamentali hotspot di biodiversità, ma ha identificato anche nuove aree da considerare importanti per la biodiversità globale. Per Jung “Lo studio pone le basi per una nuova generazione di priorità e attività di pianificazione integrate che tutti gli attori possono utilizzare per informare le scelte di conservazione a livello regionale, nazionale e subnazionale”. A ottobre la Cina ospiterà la virtuale Convention on Biological Diversity che poi, in presenza nel 2022, approverà il nuovo Global Biodiversity Framework che prevede di tutelare almeno il 30% delle terre emerse e degli oceani del mondo. Per avviare una pianificazione integrata a salvaguardia della biodiversità e avviare il cambiamento necessario nell’utilizzo sostenibile del suolo e del mare speriamo che apolitica inizi dalla tutela ambientale di quel 30% potenzialmente più prezioso.


Alessandro Graziadei

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