Per circa l’80% della popolazione italiana la raccolta differenziata dei rifiuti organici era già una pratica consolidata, ma dal 1 gennaio è una virtuosa parte della quotidianità di tutti gli italiani. Con l’articolo 182 ter del decreto legislativo 152/2006, che recepisce in Italia la direttiva europea 2018/851 in materia di rifiuti, da quest’anno in tutti i Comuni italiani vige l’obbligo della raccolta differenziata della frazione umida: gli scarti organici, come classici residui di cibo, ma anche gli imballaggi in plastica biodegradabile e compostabile (certificati EN 13432). Per Enzo Favoino di Zero Waste Europe "La norma introdotta dalla direttiva europea, ed anticipata in Italia, è un’ottima notizia per chiunque abbia a cuore la corretta gestione sostenibile dei materiali post consumo. Dal punto di vista agronomico separare l’organico dal resto dei rifiuti è importante per restituire al terreno materia viva e fertile. La fertilità dei suoli dipende essenzialmente dalla presenza di sostanza organica, che proprio il compost ottenuto dal riciclo dei rifiuti organici si propone appunto di aumentare”. Per supportare e accompagnare questo impegno nel 2020 è stato costituito all’interno del Conai anche il consorzio Biorepack, il primo in Europa dedicato agli imballaggi in bioplastica compostabile.
Raccogliere l’organico è importante, ma raccoglierlo bene è altrettanto importante, visto che come documenta l’ultimo report Ispra in materia, proprio l’organico mostra un leggero, ma costante peggioramento della qualità della raccolta, a causa di conferimenti errati da parte dei cittadini. “Ricordiamoci di usare anche le bioplastiche compostabili per raccogliere la frazione organica – è l’appello di Marco Versari, presidente di Biorepack – I sacchetti biodegradabili e compostabili hanno contribuito a rendere l’Italia il Paese europeo che raccoglie più frazione organica. Insieme all’organico ora possono essere conferiti nell’umido i sacchetti della spesa, le cialde del caffè realizzate e i nuovi imballaggi realizzati in materiale compostabile. Tutto ciò contribuisce ad aumentare ulteriormente questi tassi di raccolta”. Il problema è che le bioplastiche per essere correttamente riciclate richiedono impianti con caratteristiche particolari per condizioni di temperatura, umidità e tempo di trattamento, rispetto a quelle necessarie per gli altri rifiuti organici, soprattutto se si parla di plastiche rigide, come quelle di piatti e bicchieri, anziché dei sacchetti.
Proprio perché non tutti gli impianti per l'organico sono capaci di gestire anche la bioplastica compostabile, la strada verso un Belpaese fatto da Comuni sempre più “ricicloni” è ancora lunga, ma l’economia circolare italiana fa con questo provvedimento un altro significativo passo avanti che si affianca all’obbligo di raccogliere separatamente, sempre dal 1 gennaio, i rifiuti tessili, come previsto dal decreto legislativo n.116/2020, mentre a livello europeo, la raccolta differenziata di questa tipologia di rifiuto diventerà obbligatoria solo entro il 2025. Al momento la raccolta differenziata del tessile è strutturata solo parzialmente sul territorio nazionale e colmare, in breve tempo, le differenze tra regioni non sarà facile. Secondo le stime sempre di Ispra il 5,7% dei rifiuti indifferenziati è composto da rifiuti tessili, si tratta di circa 663.000 tonnellate/anno destinate allo smaltimento in discarica o nell’inceneritore e che potrebbero essere, in grande parte, riutilizzate o riciclate. Attualmente la media nazionale pro capite di raccolta di rifiuti tessili è di 2,6 chili per abitante, un dato che per Ispra “al nord raggiunge la quota di 2,88 kg, al centro di 2,95 kg, quantità che si abbassa a 2 kg al sud. Veneto, Emilia-Romagna, Toscana e Marche hanno già superato la soglia dei 3 chilogrammi per abitante, mentre Valle d’Aosta e Basilicata sono vicine alla soglia dei 4 kg, quota superata solo dal virtuoso Trentino Alto-Adige. Al contrario, Umbria e Sicilia raccolgono in modo differenziato meno di 1 Kg di tessile per abitante”.
Da questo 1 gennaio con l’obbligatorietà, i Comuni e i gestori, che non hanno ancora attivato questo servizio di raccolta, dovranno realizzarlo quanto prima e regolamentarlo al meglio, comprendendo sia gli indumenti che altri materiali tessili, come ad esempio la tappezzeria, le lenzuola, gli asciugamani ed altri prodotti tessili che, per lo più, si trovano nelle nostre abitazioni. Questo comporterà un aumento della presenza di frazioni non facilmente valorizzabili, con un possibile aumento dei costi di cernita e smaltimento che preoccupa non poco gli operatori del settore. A questi problemi si aggiungono quelli relativi agli impianti di riciclaggio, infatti, manca ancora una vera rete infrastrutturale di impianti in grado di riciclare gli scarti tessili. Per questo molti Comuni hanno chiesto una proroga, quantomeno parziale, dell’obbligo, prevedendo una limitazione, nella fase iniziale, ai soli abiti usati, in attesa che l’Europa definisca la propria strategia sull’economia circolare nel tessile. L’Unione europea, infatti, sta studiando l’introduzione dell’estensione della responsabilità del produttore nel comparto industriale tessile-moda, visto come uno dei migliori strumenti per raggiungere gli obiettivi previsti a livello comunitario per rendere concreto il principio del “chi inquina paga”, che coinvolgerebbe direttamente i produttori e non soli i cittadini nel riciclo.
Per riconvertire il sistema e avviare una vera economia circolare nel tessile-moda sono però necessari ingenti investimenti che il PNRR non ha ignorato. Il Piano dedica 150 milioni di euro alla costituzione di “textile hubs” innovativi, a cui si aggiunge una parte del miliardo e mezzo destinato alle amministrazioni pubbliche e dedicato al miglioramento dei sistemi di raccolta differenziata e riciclo. Un primo ed importante passo avanti, visto che secondo il rapporto Global Fashion Agenda, “Scaling circularity”, investire nelle tecnologie per il riciclo del tessile garantirebbe di gestire l’80% dei materiali tessili, pre e post consumo, ed il 75% di quanto riciclato rimarrebbe nel sistema tessile, mentre solo un 5% interesserebbe altri settori industriali. Per questo i rifiuti tessili, al pari di quelli organici, sono due importanti sfide che l’economia circolare italiana non può permettersi di perdere.
Alessandro Graziadei
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