Non abbiamo scelta. Davanti al costo dell’energia elettrica in ascesa per il continuo aumento del prezzo del gas occorre battere la strada delle energie rinnovabili con sempre più convinzione, per motivi ancor prima che economici, climatici. Lo hanno capito anche le principali multinazionali del petrolio come Shell, Total e BP che hanno ottenuto licenze per realizzare parchi eolici al largo delle coste scozzesi e nei prossimi anni nel Mare del Nord investiranno più nell’energia eolica che nelle trivellazioni di petrolio e gas. Shell sta smantellando le sue piattaforme nel giacimento di petrolio Brent nel Mare del Nord e ha da poco presentato due progetti eolici nelle acque scozzesi il cui investimento potrebbe superare entro questo decennio quelli su petrolio e gas. BP, mentre valuta annualmente sempre nuovi investimenti eolici ha svenduto a Ineos per 250 milioni di dollari il Forties Pipeline System, la rete di oleodotti che trasporta in media circa 450.000 barili di petrolio al giorno, circa il 40% della produzione britannica. Intanto, dall’ottobre 2021, Total ha aperto un hub eolico offshore nel suo centro petrolifero e del gas ad Aberdeen, in Scozia, che consentirà ai lavoratori di passare dal petrolio e dal gas all’eolico visto che la multinazionale sta aumentando progressivamente i suoi investimenti in questa energia rinnovabile. Di fatto, nonostante la Commissione europea abbia inserito il gas nella tassonomia “Verde” dell’Unione europea, quel che sta avvenendo nel Mare del Nord è la dimostrazione che ormai, se vogliamo non farci trovare più impreparati di così nel bilancio della nostra autosufficienza energetica, a livello italiano ed europeo, conviene puntare subito sulle rinnovabili e affrontare meglio la transizione energetica.
Anche la statunitense Exxon Mobil, una delle multinazionali che ha maggiormente finanziato i gruppi che diffondono il negazionismo climatico, si è impegnata il 18 gennaio scorso a ridurre a zero le sue emissioni nette di carbonio dalle sue attività globali entro il 2050 e il suo amministratore delegato, Darren Woods, ha dichiarato che l’azienda è impegnata a “Sviluppare una road-map per ridurre le emissioni di gas serra dalle nostre risorse energetiche gestite in tutto il mondo” stanziando 15 miliardi di dollari in iniziative per ridurre le emissioni in 6 anni. Non è ancora chiaro come, però, visto che l’azienda ha appena vinto un’asta statunitense per un potenziale hub di sequestro offshore di gas serra, una strategia compensativa fallimentare che ha suscitato non poche perplessità tra gli ambientalisti per questa possibile operazione di greenwashing. Anche la Chevron nell’ottobre 2021 si è impegnata a portare a zero le emissioni delle sue attività estrattive entro il 2050 e ad abbassare l’intensità delle altre emissioni attraverso delle compensazioni. Sia Exxon che Chevron prevedono così di continuare ad implementare la produzione di idrocarburi ancora in questo decennio, aumentando la spesa in progetti di riduzione delle emissioni di carbonio attraverso tecnologie come la cattura e lo stoccaggio del carbonio e i biocarburanti prodotti dalle alghe.
Nonostante questi tentativi per continuare a estrarre fonti fossili, tutte queste multinazionali petrolifere stanno rispondendo ai segnali che arrivano degli investitori. Per Larry Fink, CEO di BlackRock, il più grande gestore di fondi di investimento del mondo, “La decarbonizzazione dell’economia globale creerà la più grande opportunità di investimento della nostra vita e lascerà indietro le aziende che non si adattano, indipendentemente dal settore in cui si trovano”. Un benestare finanziario che nel caso dell’eolico offshore incontra anche un apprezzamento ecologico. Già nel 2014, un team di scienziati marini scozzesi, olandesi, statunitensi guidato dall’Università di St Andrews pubblicò lo studio “Marine mammals trace anthropogenic structures at sea” che esaminava il comportamento di due specie di foche (Phoca vitulina e Halichoerus grypus) nei vasti parchi eolici del Mare del Nord. Le foche comuni e grigie che vivevano vicino a parchi eolici vennero dotate di tag GPS per seguire i loro movimenti e gli scienziati scoprirono: “che le foche nuotano regolarmente dal basamento di una pala eolica all’altra, fermandosi regolarmente per nutrirsi intorno ai grandi sostegni delle pale”. La principale autrice di quello studio, Deborah Russell della Sea Mammal Research Unit di St Andrews, ha recentemente ricordato su Anthropocene che “La scoperta che parte della vita marina gravita nelle acque dei parchi eolici per nutrirsi ha ribaltato la convinzione diffusa che le pale eoliche offshore abbiano un impatto deleterio sulla natura”. Per anni, alcune associazioni ambientaliste avevano accusato le turbine eoliche di uccidere uccelli marini, di confondere i cetacei e di distruggere gli habitat dei fondali marini. Ma lo studio del 2014, seguito da più recenti ricerche, rivela che i parchi eolici possono nutrire e persino proteggere una vasta gamma di vita marina, tra cui astici europei (Homarus gammarus), granchi marroni (Cancer pagurus) e focene comuni (Phocoena phocoena) e specie minacciate come il merluzzo bianco del Mare del Nord (Gadus morhua) e le foche.
Il Mare del Nord ospitata moderne pale eoliche da 20 anni, più a lungo che in qualsiasi altra parte del mondo, e durante questo periodo le zone di mare dove sorgono i parchi eolici del nord Europa, al largo di una mezza dozzina di Paesi, sono state off-limits per la pesca industriale e il traffico marittimo, vietati intorno alle turbine per motivi di sicurezza. Questo ha consentito agli habitat che circondano le pale eoliche di svilupparsi senza subire l’impatto delle reti a strascico o delle eliche delle grandi navi. Inoltre, le fondamenta delle turbine, sostenute da cumuli di roccia attorno agli alberi, funzionano (come si è scoperto nel 2014) da scogliere artificiali sulle quali prosperano flora marina e crostacei, che vengono poi consumati da pesci, focene e foche. Secondo una ricerca pubblicata nel gennaio 2018 dall’Helmholtz-Zentrum “sulle fondamenta di una singola pala eolica possono crescere fino a una tonnellata di cozze" e gli scienziati marini hanno scoperto che questi siti di produzione di energia rinnovabile, alcuni dei quali si estendono su 80 Km2, "possono essere considerati una rete di santuari della vita marina e un vivaio per le specie sottomarine”.
Una buona notizia visto che secondo l’International Energy Agency, un’organizzazione intergovernativa a sostegno dell’energia sostenibile, “l’energia eolica in tutto il mondo deve aumentare di 40 volte entro il 2050 (dai livelli del 2018) per raggiungere gli obiettivi di Parigi”. Tuttavia per diverse associazioni ambientaliste (Greenpeace, Legambiente e Wwf sono per lo più favorevoli) piantare giganteschi “pali” di acciaio sul fondo del mare distrugge parte del fondale marino, disperde i sedimenti che si espandono nell’area circostante, disturba mammiferi marini, tartarughe e pesci con il rumore e i campi elettromagnetici delle pale eoliche. Gran parte di questi problemi potrebbero essere risolti dalla messa in opera delle nuove pale eoliche galleggianti che non hanno bisogno di fondamenta, ma l’impatto della massiccia espansione dell’energia eolica prevista nei mari del mondo potrebbe ancora presentare molte sfide impreviste per la conservazione.
Alessandro Graziadei
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