sabato 5 marzo 2022

L’inutile retorica fossile

 

Come esiste una retorica bellica, capace di raccontarci la favola che "la guerra è bella anche se fa male", perché “Si vis pacem, para bellum” ed occorre armarci ed armare per disinnescarla, esiste una retorica energetica che sostiene, soprattutto in momenti di crisi come questo, che gas e carbone sono la soluzione all’attuale crisi energetica. In realtà, come la corsa agli armamenti e la costante crescita delle spese militari a livello nazionale e globale non ci ha mai salvato da nessun conflitto, anzi, lo ha reso più probabile e devastante, così investire ancora in energie fossili non ci regalerà l’autosufficienza energetica e ci condannerà ad un cambiamento climatico sempre più rapido e pericoloso. Le due retoriche in queste settimane sembrano sposarsi e se questa guerra avrà come conseguenza un ulteriore aumento del prezzo del gas o una sensibile riduzione del gas a disposizione, le scelte di chi ci governa e governa la nostra transizione energetica saranno cruciali. Purtroppo l’impressione è che chi decide le sorti della pace e dell’energia sia più legato alla retorica (e al nucleare) che alla realtà e la guerra sembra essere diventata la scusa buona per inviare altre armi in nome della pace e per tornare ad usare il carbone e trivellare alla ricerca di gas, spacciandole come le uniche soluzioni per affrontare l’attuale crisi politica e ed energetica.


Per  Legambiente, in campo politico ed anche energetico, con il nuovo decreto legge che introduce ulteriori misure urgenti sulla guerra in Ucraina, Il Governo italiano si è spudoratamente schierato a favore delle società del fossile. In particolare con ENI che promette un prezzo calmierato delle forniture di gas nazionale dimenticando che si tratta di quote esigue rispetto a quelli che sono i consumi nazionali. Arrivare a 5-7 miliardi di mc su un consumo nazionale di oltre 70 miliardi non è determinante per le tasche dei cittadini, ma è determinante per alimentare la crisi climatica”. Legambiente e altre 44 associazioni, organizzazioni e comitati regionali hanno  per questo da tempo denunciato la sproporzione nell’attenzione ad un settore che deve essere invece abbandonato, accusando una transizione energetica “A tutto gas, ma nella direzione sbagliata”. In attesa del decreto ministeriale che definisca le aree idonee per le attività estrattive, vi è anche il rischio di ulteriori semplificazioni per bypassare alcuni limiti imposti dal nuovo piano e semplificare le autorizzazioni. L’obiettivo, quindi, sembra quello di tornare a trivellare affidando al gas nazionale l’unica soluzione per affrontare l’attuale crisi energetica. In realtà per gli esponenti di Legambiente “L’unica vera soluzione è garantire una sempre maggiore indipendenza dalle forniture di gas da altri paesi attraverso un’importante quota di energia rinnovabile autoprodotta. Dobbiamo installare 8 GW di rinnovabile all’anno nel nostro Paese entro il 2030, ma come al solito, mentre il settore del rinnovabile arranca (sono diverse decine i progetti bloccati in Italia), per estrarre gas fossile non ci si pensa due volte. È evidente come in questa fase la politica cavalchi un intenso malcontento dell’opinione pubblica per giustificare i propri favori alle lobby del fossile invece di responsabilizzarsi in scelte amiche del clima e dell’economia con risvolti a lungo termine”.


La soluzione del cosiddetto gas nazionale, per il Wwf,  fa parte della retorica inutile e dannosa che vuole dare il via allo sfruttamento intensivo e massiccio delle estrazioni di gas sul nostro territorio e nei nostri mari. "Come dimostrato in una nostra dettagliata nota tecnica sul gas nazionale, anche volendo sommare tutte le riserve nazionali, incluse quelle difficilmente estraibili a causa di costi economici ed energetici poco sostenibili, l’Italia avrebbe al massimo riserve di gas per 111,588 miliardi di m3. Dal momento che il nostro paese consuma (C) circa 75-76 miliardi di m3 /anno, anche sfruttando tutte le riserve (poco realistico) queste sarebbero in grado di coprire appena un anno e mezzo della domanda di gas nazionale”. Un tema, quello della insensata corsa al gas, recentemente sviluppato anche in un report di Legambiente, che ci ricorda anche che il gas nazionale “non sarebbe per forza destinato al mercato nazionale e non produrrebbe alcuna differenza nei prezzi, a meno che non si voglia nazionalizzarlo”. Inoltre non avrebbe “gli effetti occupazionali positivi di una accelerazione sulle rinnovabili” come dimostrato da un'indagine di Greenpeace ItaliaIl Belpaese in questa partita si gioca buona parte della sua credibilità “verde” proprio nella riduzione di gas serra che prevede il rispetto dell’impegno di chiudere tutte le sue centrali a gas entro il 2025. 


Ma il gas non è l’unica e nemmeno la più "brillante" delle soluzioni proposte visto che il Presidente del Consiglio è tornato a parlare della possibile riapertura delle centrali a carbone per compensare l’eventuale calo delle importazioni di gas dalla Russia. Un’idea già accarezzata lo scorso anno e che per LegambienteGreenpeace e Wwf è l’ennesima sciocchezza figlia di una transizione energetica ostaggio di lobby fossili, perché volendo oggi in Italia “Le soluzioni vere e strutturali sono evidenti e già alla nostra portata: energie rinnovabili, accumuli, pompaggi, reti, risparmio energetico e l’efficienza energetica, un mix formidabile. È di tutta evidenza che in tempi di carenza di energia, il primo passo è usare l’energia al meglio e risparmiarla: questo però deve diventare non un atteggiamento momentaneo, ma una priorità permanente. Dal lato delle fonti alternative, poi, se gli operatori energetici, non un’associazione ambientalista, si dichiarano in grado di installare 60 GW di rinnovabili in 3 anni, a patto che si velocizzino al massimo le pratiche autorizzative, sarebbe davvero assurdo che dal Governo non si cogliesse la palla al balzo e non si mettesse su una task force per individuare le modalità e aiutare la pubblica amministrazione a dare risposte alle richieste pendenti”. Questa dovrebbe essere la priorità energetica assoluta, una priorità fino ad adesso colpevolmente trascurata ma capace di approvvigionarci interamente da fonti rinnovabili entro il 2035. Un obiettivo realistico, che altri Paesi si sono già posti e che rappresenta l’unica garanzia di sostenibilità e di indipendenza energetica perché svincolata da combustibili importati, oltre che fossili.


Per questo secondo le tre organizzazioni ambientaliste la riapertura delle centrali a carbone è una soluzione inammissibile: “Le centrali a carbone vanno chiuse senza se e senza ma, i tentativi dei soliti noti che cercano di riportare in auge persino il peggior combustibili fossile, un vero e proprio killer non solo del clima, ma anche della salute umana e delle attività economiche, si scontra con la sofferenza decennale degli abitanti dei territori su cui le centrali insistono. Tutti gli amministratori, indipendentemente dal colore politico, vogliono che centrali si chiudano: e vanno chiuse”. Appare evidente che di fronte alla grave crisi internazionale attuale, e alla gravissima crisi climatica che rischia di diventare ingestibile, siamo a un bivio: “non dobbiamo assolutamente scegliere la strada di spendere tanto per perpetuare i problemi attuali, bensì imboccare decisamente la strada del futuro”. Elettricità futura, la principale associazione confindustriale attiva nel comparto elettrico del Belpaese, ricorda che oggi le rinnovabili sono le energie che costano meno e invita il Governo ad attuare un’azione straordinaria sugli iter autorizzativi insieme alle Regioni, perché evidentemente le “semplificazioni e le agevolazioni” finora adottate dal Governo non funzionano. “Non si erogano neanche gli incentivi già presenti perché gli impianti non ci sono: un iter autorizzativo in Italia dura in media 7 anni (mentre la normativa prevede 1 solo anno), col risultato che quasi il 50% dei progetti non viene realizzato e la rimanente metà arriva con 6 anni di ritardo”. Con un via libera a 60 GW entro giugno, invece, gli industriali affermano di essere in grado di completare la sua messa in opera entro 3 anni, installando dunque 20GW l’anno mentre oggi il ritmo non arriva a 1 GW l’anno. Fuor di retorica i vantaggi per il portafogli, oltre che per l’ambiente, sarebbero evidenti.


Alessandro Graziadei

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