La quantità di plastica che abbiamo finora prodotto a livello globale ha già abbondantemente superato i limiti del pianeta e limitare l’inquinamento da macro, micro e nanoplastiche è oggi una delle principali sfide mondiali per la tutela dell’ambiente e della nostra salute. Basti pensare che secondo alcuni studi condotti dai ricercatori dell’Università statale di New York e di quella del Minnesota anche il sale marino è contaminato da microplastiche o che gli esperimenti di un team di ricercatori britannici coordinati dal Center for marine biodiversity & biotechnology dell’Heriot-Watt University hanno accertato che una persona inghiotte ogni anno fino a 68.415 minuscole e volatili particelle di plastica semplicemente sedendosi a tavola. Un problema che non può più essere ignorato e che dal 30 maggio cercherà di essere arginato attraverso i negoziati globali per attuare la storica decisione dell’Onu di adottare un trattato per porre fine all’inquinamento da plastica, dell’aria, del suolo, dei fiumi e degli oceani. I negoziati si apriranno ad un mese dalla pubblicazione su Science da parte di un team internazionale di scienziati ed esperti della lettera “A global plastic treaty must cap production” nella quale Melanie Bergmann, Bethanie Carney Almroth, Susanne M. Brander, Tridibesh Dey, Dannielle S. Green, Sedat Gundogdu, Anja Krieger, Martin Wagner e Tony R. Walker chiedono “che il problema venga affrontato alla fonte: regolamentando, limitando e, a lungo termine, eliminando gradualmente la produzione di nuova plastica”.
Secondo la principale promotrice della lettera, Melanie Bergmann dell’Alfred-Wegener-Institut, Helmholtz-Zentrum für Polar- und Meeresforschung (AWI) oggi “Anche se riciclassimo meglio e cercassimo di gestire i rifiuti il più possibile, rilasceremmo nella natura più di 17 milioni di tonnellate di plastica all’anno. Se la produzione continua a crescere, ci troveremo veramente di fronte a un compito come quello di Sisifo”. Che fare? Serve implementare urgentemente tutte le soluzioni disponibili oggi, compresa la sostituzione delle materie plastiche con altri materiali e puntare su una sempre più puntuale gestione del riciclaggio dei rifiuti plastici. Per la svedese Almroth della Göteborgs Universitet tra le firmatarie della lettera “La produzione di plastica da decenni in crescita esponenziale è la vera causa del problema. Se non affrontiamo questo problema, tutte le altre misure non riusciranno a raggiungere l’obiettivo di ridurre sostanzialmente il rilascio di plastica nell’ambiente”. Per questi scienziati “L’eliminazione graduale della produzione di nuova plastica realizzata da materie prime vergini dovrebbe far parte di una soluzione sistemica per porre fine all’inquinamento da plastica. Un approccio globale deve limitare l’offerta, ovvero la quantità effettiva di plastica prodotta e immessa sul mercato”.
Il taglio della produzione di nuova plastica non potrà non avere enormi vantaggi sociali, ambientali, economici e non ultimi sulla salute. Per esempio secondo il biologo turco Gündoğdu della Çukurova Üniversitesi, anche lui tra i firmatari, “La massiccia produzione alimenta il trasferimento di rifiuti di plastica dal nord globale al sud. Un limite alla produzione faciliterà l’eliminazione delle applicazioni non essenziali e ridurrà le esportazioni di rifiuti di plastica”, mentre per un altro firmatario, l’ecotossicologo norvegese Wagner, della Norges teknisk-naturvitenskapelige, “La riduzione della produzione della plastica, incentiverà altre misure per frenare l’inquinamento da plastica, aiuterà ad affrontare i cambiamenti climatici e promuovere la nostra transizione verso un’economia più circolare e sostenibile”. La nostra salute dovrebbe infine beneficiare della diminuzione delle particelle microscopiche che vengono rilasciate dai prodotti più grandi, che possono finire nell’ambiente e nella catena alimentare. Il nuovo studio “Common Single-Use Consumer Plastic Products Release Trillions of Sub-100 nm Nanoparticles per Liter into Water during Normal Use”, pubblicato su Environmental Science and Technology lo scorso 20 aprile dagli studiosi statunitensi Christopher Zangmeister, James Radney, Kurt Benkstein e Berc Kalanyan del National Institute of Standards and Technology (NIST) ha analizzato prodotti di consumo ampiamente utilizzati, scoprendo che “Quando i prodotti di plastica sono esposti all’acqua calda, rilasciano nell’acqua trilioni di nanoparticelle per litro”. Nel nuovo studio i ricercatori del NIST hanno esaminato due tipi di prodotti in plastica commerciali: sacchetti di nylon per uso alimentare, come i fogli di plastica trasparente da forno per creare una superficie antiaderente che prevenga la perdita di umidità, e le tazze monouso per le bevande calde, prodotti che hanno esposto all’acqua a 100 gradi Celsius per 20 minuti. Il risultato è il rilascio di nanoparticelle di dimensioni comprese tra 30 e 80 nanometri.
Il risultato è che la concentrazione di nanoparticelle rilasciate nell’acqua calda dal nylon per uso alimentare è 7 volte superiore rispetto ai bicchieri monouso per bevande. Zangmeister ha evidenziato come “Nell’ultimo decennio gli scienziati hanno trovato plastica ovunque abbiamo guardato nell’ambiente. [...] Il nostro studio è diverso perché indaga nanoparticelle così piccole che potrebbero entrare all’interno di una cellula, interrompendone eventualmente la funzione". Anche se nessuno ha ancora stabilito che sia successo, per Zangmeister “I risultati di questo studio, combinati con quelli sugli altri tipi di materiali analizzati, in futuro apriranno nuove strade di ricerca in questo settore”. In attesa dei risultati l'urgenza è ridurne il più possibile l'uso e la commercializzazione della plastica!
Alessandro Graziadei
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