La rincorsa del ”progresso scorsoio” e dello sviluppo illimitato ha portato l’economia mondiale a consumare oltre 90 miliardi di tonnellate di materie prime all’anno. Siamo ben al di sopra del limite sostenibile del Pianeta. A metterlo nero su bianco è stato lo studio “National responsibility for ecological breakdown: a fair-shares assessment of resource use, 1970–2017”, pubblicato lo scorso mese su Lancet Planetary Health da Jason Hickel, Daniel O’Neill, Andrew Fanning dell’International Inequalities Institute della London School of Economics and Political Science e dal ricercatore pakistano indipendente Huzaifa Zoomkawala, che hanno provato a determinare la responsabilità nazionale del collasso ecologico in corso calcolando la misura in cui ciascuna nazione ha superato la sua quota di soglie di utilizzo sostenibile delle risorse. Il risultato è che “Nel periodo 1970-2017, le nazioni ad alto reddito che contano solo il 16% della popolazione mondiale sono state responsabili del 74% dell’eccesso globale di estrazione di risorse”, pari a “quasi 2,5 trilioni di tonnellate di materiali”. Lo studio che propone un nuovo metodo con il quale determinare la responsabilità nazionale del collasso ecologico evidenzia come non tutte le nazioni siano ugualmente responsabili di questa tendenza visto che “alcune nazioni utilizzano sostanzialmente più risorse pro capite di altre attraverso l’estrazione, la produzione, il consumo e i rifiuti”.
Quali? In particolare gli Usa contribuiscono per il 27% e i Paesi dell’Unione europea per il 25%. Seguono la Cina (15%), il Giappone (9%) e la Germania (5%). L’Italia è quinta con il 3% insieme a Francia, Regno Unito, Canada, incalzate da Brasile, Australia, Spagna e Corea del sud con il 2%, e da Polonia, Arabia saudita e Olanda con l’1%. Il resto del Sud del mondo, cioè tutti i Paesi a basso e medio reddito dell’America Latina e dei Caraibi, Africa, Medio Oriente e Asia sono responsabili solo dell’8% del sovraconsumo di materie prime e “58 Paesi del sud del mondo, che rappresentano 3,6 miliardi di persone, inclusa l’India, rimangono entro livelli sostenibili”. Utilizzando i dati dell’International resource panel dell’United Nations environmente programme (Unep), lo studio ha analizzato l’estrazione nazionale di materie prime e i materiali coinvolti nei flussi commerciali globali di risorse come combustibili fossili, legname, metalli, minerali e biomasse. “Nel periodo analizzato, la responsabilità nazionale è cambiata. Sebbene l’overshoot degli Stati Uniti sia cresciuto costantemente in termini assoluti, la sua quota di overshoot globale è gradualmente diminuita negli ultimi due decenni, una tendenza simile per l’Europa e altre nazioni ad alto reddito. Questo cambiamento è dovuto principalmente al crescente utilizzo delle risorse in Cina, che è composto soprattutto da materiali da costruzione. L’overshoot della Cina è iniziato solo nel 2001, ma è cresciuto rapidamente negli anni successivi”.
Per Hickel ormai “Gli impatti umani sui processi del sistema terrestre stanno superando diversi confini planetari, non solo in termini di emissioni di CO2 e cambiamenti climatici, ma anche in termini di cambiamento dell’uso del suolo, perdita di biodiversità, inquinamento chimico e flussi biogeochimici. Questo collasso ecologico è causato in gran parte dall’estrazione globale di risorse, che è aumentata rapidamente nell’ultimo mezzo secolo e ora supera drammaticamente i livelli di sicurezza e sostenibilità per circa 1,1 trilioni di tonnellate”. Di fatto le responsabilità sono chiare: “le nazioni ricche portano lo schiacciante peso della responsabilità del collasso ecologico globale, e quindi hanno un debito ecologico verso il resto del mondo. Queste nazioni devono assumere un ruolo guida nel fare riduzioni radicali nel loro utilizzo delle risorse per evitare un ulteriore degrado, il che probabilmente richiederà approcci trasformativi post-crescita e decrescita”. L’Italia sarà in grado di fare la sua parte? Oggi il Belpaese consuma ogni anno circa 500 milioni di tonnellate di materie prime, che per oltre la metà arrivano dall’estero, una dipendenza che non fa sempre bene né alla nostra economia né all’ambiente. La guerra in Ucraina e le sanzioni alla Russia stanno contribuendo ad acuire questa consapevolezza: dalla Russia ad esempio arriva un quarto di tutti i combustibili fossili che consumiamo, mentre in Ucraina ci sono (anche) risorse cruciali per l’industria come ferro, titanio e grafite. Questa situazione potrebbe migliorare investendo sull’economia circolare, dove i margini di miglioramento sono ancora enormi, dato che l’utilizzo di materia prima da riciclo è ancora fermo al 21,6%. In questo contesto riveste un’importanza cruciale sfruttare appieno le così dette “miniere urbane” che abbiamo a disposizione nel nostro Paese, ovvero quei rifiuti da cui poter recuperare materie prime derivanti da riciclo. Un ruolo di primo piano in questa sfida è quello rivestito dai rifiuti elettrici ed elettronici (Raee), come ha documentato il “Libro bianco sui Raee”, frutto di un lavoro iniziato nel 2021 da Erion che è il più importante sistema multi-consortile no profit di Responsabilità estesa del produttore (Epr) in Italia per la gestione dei rifiuti associati ai prodotti elettronici che ha messo in fila alcune proposte dirette alle istituzioni, per permettere di valorizzare al meglio questi rifiuti.
Per Giorgio Arienti, direttore generale di Erion, che rappresenta oltre 2.400 aziende del settore dell’hi-tech e dell’elettronica di consumo, “La necessità di trovare fonti di approvvigionamento alternative per le materie prime è sotto gli occhi di tutti, ormai anche dei cittadini, e la situazione è diventata ancora più critica con l’attacco russo all’Ucraina. Il settore dei Raee potrebbe rappresentare un’opportunità, non risolutiva ma significativa, per il Paese”. Eppure, lo Stato da anni fatica nell’attuare azioni e leggi per miglioramento questo settore strategico per l'economia circolare, mentre l’Unione europea preme giustamente per avere risultati concreti: una raccolta di Raee almeno a 10 kg pro-capite all’anno, mentre l’Italia è ferma a 6 kg. “Abbiamo registrato nelle scorse settimane un piccolo segnale di risveglio da parte delle Istituzioni, con l’approvazione di un provvedimento che eleva i limiti di stoccaggio per i Raee del raggruppamento R3, essenziale per fronteggiare l’aumento di TV da riciclare conferite dai cittadini a seguito del “bonus rottamazione Tv”. Ci auguriamo che questo rappresenti l’inizio di una nuova attenzione del Parlamento e del Governo alle richieste del settore, che oggi trovano voce in modo unitario in questo Libro bianco sui Raee” ha concluso Arienti. In questo momento di fortissima carenza di materie prime, con incrementi di valore a doppia cifra (+105% per il ferro da settembre 2020 a luglio 2021; + 74% per l’alluminio in 12 mesi), il settore dei Raee deve diventare una risorsa economica oltre che ecologica. Dal riciclo di 1.000 tonnellate di rifiuti elettronici domestici si possono infatti ricavare circa 900 tonnellate di materie prime-seconde, di cui oltre 500 tonnellate di ferro, più di 130 tonnellate di plastiche, circa 100 tonnellate di vetro, 80 tonnellate di cemento, 25 tonnellate di rame, 20 tonnellate di alluminio, 10 di legno e 15 di altri materiali. Rifiuti che potrebbero tornare ad essere materie prime!
Alessandro Graziadei
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