Se da un lato si sciolgono i ghiacciai, tragicamente come in Marmolada, dall’altra aumenta la frequenza degli incendi e non solo in Italia. Come mai? Se escludiamo quelli dolosi si scopre che “C’è un cambiamento senza precedenti nel regime degli incendi del continente europeo, legato al cambiamento climatico. Le aree colpite sono nel sud, nel centro e nel nord del continente, ma questo cambiamento storico nel regime degli incendi in Europa è più intenso nell’area mediterranea”. Ha certificarlo è stato lo studio “Global warming is shifting the relationships between fire weather and realized fire-induced CO2 emissions in Europe”, pubblicato il 20 giugno scorso su Scientific Reports da un team internazionale di ricercatori che ha visto la partecipazione degli italiani Francesca Di Giuseppe, Piero Lionello e Claudia Vitolo. Il team di ricercatori guidato da Jofre Carnicer, della Facultat de Biologia dell’’Institut de Recerca de la Biodiversitat (IRBio) dell’Universitat de Barcelona e del Centre de Recerca Ecològica i Aplicacions Forestals (CREAF), si è avvalso di climatologi, esperti di rischio di incendi boschivi ed ecologia forestale che fanno parte di un consorzio internazionale di istituti di ricerca. Secondo questi studiosi “Estati e primavere con valori di rischio di incendio sono senza precedenti negli ultimi anni, quindi molte aree dell’Europa meridionale e del Mediterraneo stanno raggiungendo condizioni estreme e favorevoli agli incendi. Queste condizioni avverse stanno diventando più frequenti a causa dell’aumento delle ondate di caldo e della siccità idrologica”.
Il nuovo studio collega per la prima volta l’aumento del rischio di incendio con l’aumento delle emissioni di CO2 prodotte dall’inquinamento e dagli incendi stessi, e lo fa attraverso osservazioni satellitari in tutto il continente europeo. È stato rilevato per la prima volta che “Il recente aumento del rischio incendio dovuto alle condizioni atmosferiche si traduce in un aumento molto significativo delle emissioni di CO2 associate agli incendi nei periodi di caldo estremo”. Lo studio fornisce anche mappe continentali dell’attuale rischio di incendio e, tenendo conto della possibilità di diverse traiettorie del cambiamento climatico (2º C – 4º C) e della riduzione delle emissioni di CO2, prevede l’evoluzione di questo rischio in Europa fino al 2100. In prospettiva per Carnicer, che fa parte dell’IPCC e del Consejo Nacional del Clima spagnolo, “Questo aumento del rischio estremo è abbastanza recente e in momenti critici supera la capacità antincendio delle società europee, il che causa maggiori emissioni di CO2 associate agli incendi in estati estremamente calde e secche”. Carnice fa notare anche che “Le aree boschive e montuose dell’Europa meridionale e centrale sono le aree in cui viene rilevato il maggiore aumento del rischio di incendi. Queste aree sono grandi serbatoi di carbonio che sarebbero minacciati dal fuoco, come i Pirenei, i massicci iberico e cantabrico in Spagna, le Alpi, il Massiccio Centrale francese, l’Appennino italiano e, in Europa centrale, i Carpazi e i Balcani , il Caucaso e il Ponto nell’Europa sudorientale”.
I risultati suggeriscono che i regimi di incendio interessano particolarmente il Mediterraneo, le aree euro-siberiane e quelle boreali dell’Europa. Attualmente le foreste del continente europeo assorbono circa il 10% delle emissioni totali di gas serra ogni anno. Nello specifico, catturano circa 360 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, una quantità superiore alle emissioni di un Paese come la Spagna, con un valore di circa 214 milioni di tonnellate. L’aumento del rischio di incendio descritto nello studio pone una sfida all’attuazione della nuova Strategia Forestale Europea, che propone di mantenere una riduzione annua di almeno 310 milioni di tonnellate di CO2 da parte del settore forestale e agricolo nel 2030 in Europa. “Se non si adottano strategie di gestione forestale efficaci che riducano il rischio di incendio, l’aumento del rischio di incendio rilevato potrebbe mettere a repentaglio le strategie di decarbonizzazione basate sull’uso delle foreste e dei terreni agricoli. Inoltre, l’aumento del rischio di incendio potrebbe essere un meccanismo per un feedback positivo sui cambiamenti climatici, in cicli di riscaldamento progressivo, aumento del rischio di incendio e maggiori emissioni di CO2 dall’incendio. In questo contesto, ridurre drasticamente le emissioni di CO2 nei prossimi due decenni (2030 – 2040) è fondamentale per raggiungere un minor rischio di incendio in futuro, sia in Europa che nel mondo” ha concluso Carnice.
Intanto in Italia, secondo quanto emerge dai più recenti dati dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), “Il 40-50% del territorio colpito da incendio è costituito da foreste. Considerando che circa 1/3 del territorio nazionale è ricoperto da foreste (circa 8 milioni e mezzo di ettari), dal 1 gennaio al 31 dicembre 2021 risulta bruciata complessivamente una superfice pari allo 0,5% del territorio Italiano (corrispondente al Lago di Garda)”. Tra le coperture arboree, la categoria più colpita è quella delle latifoglie sempreverdi (macchia mediterranea) per il 56%, seguono le classi di latifoglie decidue (come le querce) con il 25% e le classi di aghifoglie sempreverdi, come i pini mediterranei con il 19%. Per l’Ispra “Il legame tra cambiamenti climatici ed incendi è complesso: non vanno considerati solo gli effetti diretti di siccità prolungata ed alte temperature, ma anche gli effetti del clima sugli insetti e sulle malattie delle piante, che le rendono più vulnerabili e quindi rendono le coperture arboree ancora più suscettibili ad incendio”. Di fatto “Gli effetti e i danni agli ecosistemi forestali causati dagli incendi possono accelerare i processi di perdita di biodiversità, rilascio di anidride carbonica, aumento del rischio idrogeologico, erosione del suolo, inquinamento da polveri dell’aria e dei corpi idrici”.
A conferma dei risultati pubblicati lo scorso mese da Scientific Reports, anche per l’Ispra gli incendi del 2021 hanno interessato soprattutto le aree mediterranee del Mezzogiorno: “La Sicilia risulta essere la regione che ha registrato le maggiori porzioni di aree bruciate, circa il 3,5% della superficie complessiva regionale; sono stati interessati da incendi il 60% dei comuni siciliani (su un totale di 235 comuni). La seconda regione a rischio è stata la Calabria, per una superficie pari al 2,4%, con 240 comuni interessati”. La Sardegna è stata la terza regione più colpita in termini di aree forestali bruciate e, anche se nel 2021 la è stata interessata da soli 40 eventi (rispetto, ad esempio, ai circa 500 della Sicilia), "Un unico incendio avvenuto a fine luglio nel complesso Forestale Montiferru-Planargia ha incenerito circa il 63% del totale del territorio interessato da incendi della Regione". Per quanto riguarda i parchi nazionali e le aree protette gli effetti degli incendi del 2021 hanno interessato un’ampia porzione di ecosistemi forestali, circa il 32% dell’area totale bruciata. In dettaglio, “I parchi nazionali hanno contribuito ad una potenziale perdita di copertura arborea pari a circa il 57% di tutte le aree forestali bruciate nelle aree protette italiane durante il 2021”. Uno dei parchi più colpiti durante la stagione estiva del 2021 è stato il Parco Nazionale dell’Aspromonte, dove è andato in fumo circa il 10% del patrimonio boschivo del parco. Viste le premesse siccitose, quest'estate mediterranea non promette nulla di buono!
Alessandro Graziadei
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