Non esistono alibi. La transizione energetica, o meglio un utilizzo sempre più diffuso ed ampio di energie rinnovabile in ogni settore delle attività umane è una scelta obbligata, oltre che doverosa, se vogliamo provare in qualche mondo ad arginare la deriva del cambiamento climatico prodotto dall’inquinamento da combustibili fossili e rendere più sostenibile la nostra impronta ecologica. Con quali costi ambientali e sociali però? Per mettere in atto questa transizione "green" abbiamo sempre più bisogno delle così dette “terre rare”, un gruppo di minerali necessari alla produzione di tecnologie avanzate e apparecchi elettronici, tra cui anche auto elettriche e turbine eoliche. Con l’aumento della domanda di prodotti high-tech, in ogni settore, non solo quello legato alla transizione energetica, i giacimenti di terre rare sono diventati strategici e di primaria importanza. Oggi l’estrazione e la distribuzione è quasi interamente controllata dalla Cina, che ne è la prima produttrice a livello globale grazie ai giacimenti della Mongolia interna, regione autonoma della Cina, e dello Jangxi, ma all'estero sfrutta anche le riserve minerarie del Myanmar per circa il 50% della sua produzione. Anche per questo la Repubblica Popolare Cinese ha appoggiato il golpe che nel 2021 riportò al potere l’esercito nel Myanmar rafforzando una politica “predatoria” nel “Paese delle Mille pagode” per motivi prettamente economici e commerciali, visto che il Myanmar è ricchissimo di materie prime, e soprattutto delle cosiddette “terre rare”.
Secondo il sito indipendente The Irrawaddy, dopo il colpo di Stato dell'anno scorso, l'attività mineraria nel nord del Myanmar è quintuplicata. Il capo della giunta militare golpista, il generale Min Aung Hlaing, ha di fatto concesso carta bianca a Xi Jinping nell’estrazione delle “terre rare” da tutti i maggiori giacimenti del Myanmar che si trovano nelle aree settentrionali di Pangwa e della regione di Kachin, entrambe proprio a ridosso del confine con la Cina. L’estrazione dei minerali, se non regolamentata, inquina l’ambiente in modo pesante e i rifiuti in quest’area del Myanmar, i cui costi sociali ed ambientali ricadono tutti sulla popolazione locale, tra maggio 2017 e ottobre 2021 ammontavano a 284 milioni di tonnellate di rifiuti tossici e 14 milioni di tonnellate di rifiuti radioattivi. La regolamentazione del settore è quasi impossibile per la presenza di una milizia affiliata al regime birmano e così i problemi ecologici della Cina in questo campo vengono attualmente in parte “esportati” trasferendo le attività inquinanti nel Myanmar, paese molto povero, nel quale l’epidemia di Covid 19 ha fatto crollare l’industria turistica, una delle fonti principali di entrate economiche. Secondo AsiaNews “Già nel 2018 il Myanmar era per la Cina il principale fornitore di terre rare. Secondo fonti ufficiali cinesi, tra maggio 2017 e ottobre 2021 il Myanmar ha esportato 140mila tonnellate di terre rare per il valore di oltre un miliardo di dollari. Gli ambientalisti del Myanmar sostengono che ci sarebbero un centinaio di miniere nel nord del Paese, tutte sotto il controllo di investitori cinesi e della New Democratic Army Kachin (NDA-K), una milizia affiliata all’esercito birmano”. Tra il 2019 e il 2020 la situazione non è migliorata, sono comparse altre miniere illegali e in decine di villaggi birmani al confine con la Cina il suolo e le falde acquifere sono inutilizzabili a causa dell’attività estrattiva.
Anche per contrastare questo mercato illegale dall’1 gennaio 2021 è entrato in vigore il regolamento dell’Unione Europea "Conflict Minerals Regulation" che rende possibile la tracciabilità di quattro minerali provenienti da zone di conflitto: stagno, tantalio, tungsteno e oro, noti come 3TG. La norma dovrebbe obbligare gli importatori dell’Unione, per legge, a verificare la provenienza dei 3TG ed arginare così il commercio di minerali illegali utilizzato per finanziare gruppi armati, alimentare il lavoro forzato e altre violazioni dei diritti umani oltre ad incrementare la corruzione, il riciclaggio di denaro e l’inquinamento. Una normativa importante, che ha richiesto sette anni per diventare operativa, ma che interessa ancora un numero limitato di minerali a cui applicare il “dovere di diligenza” e non prevede un aggiornamento periodico di questa lista. Un problema? Sì! Due minerali provenienti dal Myanmar che dovrebbero rientrare in queste liste sono, ad esempio, il neodimio e il disprosio, ma come ha ricordato in maggio il portale Energia oggi è “Inevitabile che il disprosio e il neodimio finiscano all’interno di magneti permanenti montati su turbine eoliche o auto elettriche vendute dalla Cina in Europa. […]. Riuscire a identificare l’origine dei minerali una volta giunti in Cina è d’altronde praticamente impossibile. Le tre grandi imprese statali che acquistano terre rare dal Myanmar – China Southern Rare Earths Group, Chinalco e Guangdong Rare Earths – aggregano i minerali una volta importati e l’unica certificazione rilasciata è relativa alle normative ambientali cinesi, con cui si consente l’esportazione dei magneti”. Fatta la legge, trovato l’inganno, si dice e oggi la giustificazione delle principali case automobilistiche è che nell’era delle catene di approvvigionamento e delle reti globalizzate è quasi impossibile escludere l'utilizzo di materie prime provenienti da paesi in conflitto. “Di fatto, gli attuali protocolli relativi a turbine eoliche o auto elettriche non sono in grado di identificare l’origine della materia prima con cui vengono realizzati questi componenti. Ma se cobalto, terre rare o altri minerali venissero classificati come prodotti in aree di conflitto, i produttori sarebbero obbligati a rispettare la normativa sulla due diligence e questo comporterebbe significative difficoltà alla loro distribuzione nel mercato europeo” ha spiegato Giovanni Brussato su Energia.
Anche se le terre rare esportate dalla Cina è più che probabile contengano minerali provenienti anche dal Myanmar, attualmente Tesla, BMW e altre aziende automobilistiche leader hanno tutte rifiutato di dire o si sono dette impossibilitate a garantire, un utilizzo di componenti che escludono minerali rari pesanti in terre rare provenienti dal Myanmar. Appare quindi evidente che la transizione “green” dell’Europa, nonostante i tentativi di regolamentazione a favore dei diritti e dell’ambiente non sempre stringenti, al momento stia ulteriormente aumentando la dipendenza occidentale dall’attività estrattiva cinese, che rischia di diventare indispensabile per la nostra economia come è successo con il gas russo. Considerando che Taiwan è il maggiore esportatore mondiale di microprocessori, se Xi Jinping riuscirà ad annettere anche l’isola di Taiwan, la Repubblica Popolare Cinese godrà di una sorta di monopolio in questo settore strategico, condannando l’Occidente a una condizione di dipendenza permanente che ci esporrà ad ulteriori e futuri ricatti geopolitici.
Alessandro Graziadei
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