sabato 13 agosto 2022

26 aprile 1986, 11 marzo 2011 e la prossima?

Mentre siamo tornati al concreto rischio di una guerra nucleare come al tempo della guerra fredda; mentre l’invasione russa dell’Ucraina mette a rischio anche le centrali nucleari di Chernobyl e soprattutto quella di Zaporizhzhia (allarmando non poco l’IAEA); mentre l’emergenza energetica seguita a questo conflitto ha portato l’Europa ad approvare un’insensata tassonomia verde che considera gas fossile e nucleare come fonti energetiche sostenibili, equiparandole di fatto alle rinnovabili; mentre i prezzi dell’energia aumentano e l’inverno si avvicina; mentre qualche politico italiano spaccia l’opzione nucleare per una soluzione fattibile (senza spiegare come, dove, quando, con quali costi e soluzioni per lo stoccaggio delle scorie); mentre accade tutto questo dimentichiamo due date: il 26 aprile 1986 e l'11 marzo 2011.  L’11 marzo 2011, infatti, iniziava la tragedia nucleare di Fukushima Daiichi, la seconda per gravità della storia del nucleare civile dopo quella di Chenobyl del 26 aprile 1986, la stessa Chernobyl che è tornata a far paura dopo che le truppe russe l’hanno occupata e dopo che è saltato l’allaccio alla linea che la rifornisce di elettricità, forse per sabotaggio o forse per un nuovo “errore umano”. Oggi, mentre la politica sta rilanciando l'opzione nucleare per le sue basse emissioni di carbonio, per il mondo ambientalista l’energia nucleare non dovrebbe mai essere considerata un argine al cambiamento climatico visto che comporta dei rischi insondabili che non si limitano solo alle catastrofi naturali e agli errori umani


Come ha ricordato Legambiente Chernobyl non è bastato e Fukushima nemmeno. Le sue conseguenze durano e dureranno oltre il tempo che la memoria umana può concepire. Per quanto riguarda il Giappone "Non ci sono solo i danni diretti dell’incidente, le conseguenze sanitarie e ambientali dall’esposizione alle radiazioni, l’evacuazione immediata di migliaia di persone che, a parte per pochissimi numeri, non possono ancora tornare nelle proprie case. Non è solo il pericolo ancora presente per l’esposizione alle radiazioni in molte parti della zona di esclusione, o la preoccupazione per gli impatti sull’ambiente marino in caso di rilascio delle acque di raffreddamento nell’oceano, come previsto dai piani di smaltimento e bonifica. Non c’è solo questo. È che in quei territori non ci sono più le comunità, i rapporti sociali, i legami con il territorio e le tradizioni, le occasioni di lavoro”. L’11 marzo, così come il 26 aprile anniversario dell’incidente di Chernobyl, dovrebbero esserci da monito  quando sentiamo parlare di ritorno al nucleare come via per risolvere i nostri problemi energetici e di dipendenza dall’estero per il nostro approvvigionamento energetico, dipendenza, che comunque il nucleare non risolverebbe. Per Legambiente "Ci sono altre tecnologie più economiche, più pulite, più sicure, più locali su cui investire, come le energie rinnovabili, a cui non si danno abbastanza occasioni di crescita”. 


Attualmente ci sono ancora 59 reattori nucleari in Giappone, compresi quelli che sono permanentemente chiusi. Alla fine di febbraio 2022, 10 di loro hanno ripreso a funzionare. Greenpeace Japan ha più volte evidenziato che “Dei 10 reattori nucleari che sono stati riavviati in Giappone, solo 5 hanno installato le apparecchiature previste dalle misure antiterrorismo per contrastare eventualità come le collisioni di aerei. Tutti i reattori non si possono dire sicuri al 100% contro il rischio di terrorismo, futuri conflitti, errori umani o disastri naturali, come abbiamo sperimentato con l’incidente di Fukushima”. Di fatto, come per Chenobyl, anche l’incidente nucleare di Fukushima Daiichi è ancora in corso. Ci sono molte persone in Giappone che sono state costrette a lasciare le loro case sulla scia del disastro e che vivono ancora come sfollati. A livello nazionale ci sono più di 12.000 querelanti in azioni legali collettive intentate da sfollati che chiedono un risarcimento dal governo e dalla Tepco. Come se non bastasse l’anno scorso il governo giapponese ha deciso che rilascerà nell’oceano circa 1,29 milioni di tonnellate di acqua contaminata radioattivamente attualmente immagazzinata nei serbatoi in loco a Fukushima e la questione fondamentale dello smantellamento del Fukushima Daiichi rimane irrisolta anche dopo 11 anni, senza un chiaro obiettivo o piano d’azione realmente sostenibile. Eppure l’attuale premier Fumio Kishida ha dichiarato di voler aumentare la produzione di energia elettrica dal nucleare e sono stati fatti investimenti per lo sviluppo di nuove tecnologie, tra cui reattori veloci raffreddati a sodio.


A quanto pare Chernobyl, Fukushima e speriamo non Zaporizhzhia rappresentano una lezione che l’occidente non ha saputo comprendere appieno. Secondo l’ultimo World Nuclear Performance Report, nel 2021 i reattori nucleari hanno generato un totale di 2.653 TWh (terawattora) con un aumento di 100 TWh in più rispetto al 2020, ma mentre in Europa e negli Stati Uniti la tendenza è al ribasso, all’Asia manca pochissimo per raggiungere i livelli di produzione di energia nucleare dell’Occidente e dopo un calo importante seguito al disastro di Fukushima nel 2011, la crescita è stata velocissima. Tra il 2017 e il 2021 sono stati avviati 33 nuovi reattori nucleari in tutto il mondo, mentre quelli in costruzione alla fine dell’anno scorso erano 53, di cui 36 in Asia. Dei progetti iniziati nel 2021, sei si trovano in Cina, due in India, uno in Russia e uno in Turchia. Nella prima parte del 2022 è iniziata la costruzione di altri tre reattori in Cina dove la produzione di energia da reattori nucleari è arrivata a quasi 400 TWh nel 2021 con 54 reattori operativi e ben 20 in costruzione. Delle sei unità che ci sono in Pakistan due sono state fornite dalla Cina, permettendo a Islamabad di raddoppiare la propria produzione di energia. L'India è l’altro Paese che sta trainando la crescita nucleare in Asia, con 23 reattori operativi divisi in sette centrali. In Bangladesh è in costruzione un impianto a due unità di progettazione russa che dovrebbe essere operativo nel 2023 o nel 2024 e coprirà il 9% del fabbisogno di elettricità del Paese. In Corea del Sud i 25 reattori del Paese coprono un terzo del fabbisogno energetico nazionale e il nuovo presidente Yoon Suk-yeol, eletto a marzo di quest’anno, si è rifiutato di escludere la produzione elettrica dal nucleare come aveva fatto il predecessore Moon Jae-in, ragione per cui nel 2025 verrà ripresa la costruzione, interrotta nel 2017, di una vecchia centrale. E così il 26 aprile 1986 e l’11 marzo 2011 tornano ad essere solo date buone per ricordare le vittime passate dimenticando le potenziali vittime future.


Alessandro Graziadei


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