sabato 27 agosto 2022

L’Italia è una frana?

 

Lo sapevate che complessivamente il 18,4%, più o meno 55.609 km2 del territorio nazionale è classificato a pericolosità frane elevata, molto elevata e/o a pericolosità idraulica media? E che ci sono quasi due milioni e mezzo di persone che vivono in aree a rischio alluvione elevato? Di queste circa 950.000 si trovano in Emilia-Romagna e Veneto, mentre oltre 270.000 sono in Toscana. In generale sono oltre 600.000 gli edifici, oltre 325.000 le imprese e oltre 16.000 i beni culturali a rischio elevato. Se osserviamo gli ultimi drammatici fenomeni atmosferici, che alternano a lunghi periodi siccitosi vere e proprie alluvioni, questi dati non ci stupiscono. A “dare i numeri”, numeri reali e scientificamente rilevati sul pericolo alluvioni e sul rischio idrogeologico del Belpaese è stata l’Ispra con il “Rapporto sulle condizioni di pericolosità da alluvione in Italia e indicatori di rischio associati” e il  Rapporto Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio che tra novembre e marzo scorsi avevano già definito un quadro conoscitivo completo delle condizioni di pericolosità e di rischio di alluvioni in Italia, innestandolo nel più ampio tema del dissesto idrogeologico, rispetto al quale le alluvioni costituiscono senza dubbio la componente più significativa in termini di impatti sul territorio. Un lavoro prezioso che Ispra svolge ormai da diversi anni in collaborazione con le ARPA/APPA locali, e che fornisce un quadro conoscitivo essenziale, dal quale dovrebbero partire le politiche di tutela del territorio e di risanamento del dissesto idrogeologico, che al momento non sembrano certo al centro della campagna elettorale di nostri partiti.


Da sempre le caratteristiche morfologiche della nostra penisola, in cui spazi e distanze concessi al reticolo idrografico dai rilievi montuosi e dal mare, sono modesti, lo rendono particolarmente esposto ad eventi alluvionali, innescati spesso da fenomeni meteorologici brevi e intensi. Eventi che, per l’effetto dei cambiamenti climatici in atto diventano sempre più frequenti. Quasi ogni settimana, infatti, rovesci improvvisi e violenti ci ricordano che c’è poco da stupirci, visto che rispetto all’edizione 2018 del medesimo Rapporto Ispra, “emerge un incremento percentuale del 3,8% della superficie classificata a pericolosità da frana elevata e molto elevata e del 18,9% della superficie a pericolosità idraulica media”. L’incremento è legato principalmente a un miglioramento del quadro conoscitivo effettuato dalle Autorità di Bacino Distrettuali con studi di maggior dettaglio e mappatura di nuovi fenomeni franosi o di eventi alluvionali recenti, ma il Rapporto Ispra evidenzia come la Direttiva 2007/60/CE o Direttiva Alluvioni, recepita in Italia dal Decreto legislativo 49/2010, indichi chiaramente come “Alcune attività antropiche, quali la crescita degli insediamenti umani, l’incremento delle attività economiche, la riduzione della naturale capacità di laminazione del suolo per la progressiva impermeabilizzazione delle superfici e la sottrazione di aree di naturale espansione delle piene, contribuiscano ad aumentare la probabilità di accadimento delle alluvioni e ad aggravarne le conseguenze”.


Come ha ben analizzato con tabelle e dati Marco Talluri su Ambientenonsolo “Attualmente secondo il rapporto Ispra, al 2020 in Italia il 5,4% del territorio nazionale ricade in aree a pericolosità/probabilità elevata (HPH) per una superficie potenzialmente allagabile di 16.223,9 km2; tale superficie in caso di scenario di pericolosità/probabilità media (MPH) si estende fino a 30.195,6 km2 ossia il 10,0% del territorio nazionale, per arrivare a 42.375,7 km2 in caso di scenario di pericolosità/probabilità bassa (LPH) con una percentuale di territorio nazionale allagabile pari al 14,0% della superficie totale”. A livello provinciale Cosenza, Ferrara, Reggio Calabria, Venezia e Bologna sono le realtà che hanno una maggiore superficie del proprio territorio a rischio elevato di alluvioni, mentre a livello comunale svetta Venezia, seguita da Padova. In ciascuna delle due province venete sono rispettivamente più di 150mila e quasi 130mila le persone che vivono in aree a rischio elevato alluvioni, mentre nelle due province emiliano romagnole di Bologna e Ferrara e in quella ligure di Genova si parla di circa 90mila persone a rischio. “In circa 6.300 comuni, poi, l’estensione delle aree a pericolosità elevata di alluvione è minore del 10% del territorio comunale, ma in quasi 400 comuni questa è maggiore del 25% ed addirittura in 88 comuni interessa più di metà del territorio”. “Sono invece 46 i comuni nei quali più della metà della popolazione vive in zone a rischio elevato di alluvione e 190 dove questa percentuale è superiore al 25%”, una situazione analoga alla percentuale di imprese in aree a rischio elevato con più del 50% in 45 comuni e più del 25% in 231 comuni. Per quanto riguarda i beni culturali, la situazione sembra anche più delicata: "I comuni dove più della metà dei beni culturali si trova in tali aree a rischio elevato sono ben 206 e 592 dove questa percentuale è superiore al 25%” ha concluso Talluri.


L’Italia non è messa peggio di altre realtà nazionali e mondiali. Eclatante è il caso della California che lo studio “Climate change is increasing the risk of a California megaflood”, pubblicato su Science lo scorso 12 agosto, ha analizzato in relazione agli effetti di peggioramento delle inondazioni causate dal cambiamento climaticoSecondo questo studio nella California devastata dalla siccità e dai mega-incendi c’è il concreto rischio di un’inondazione così grande da sommergere le principali valli con fiumi enormemente ingrossati, lunghi centinaia di chilometri e larghi decine. Una mega-inondazione simile a quella avvenuta nel 1862 e che gli scienziati che hanno studiato il fenomeno nel 2010  chiamano  “scenario ArkStorm”, ricordando che potenzialmente e localmente  potrebbe essere un evento di proporzioni bibliche (proprio come il diluvio universale dell’Arca di Noè). Per lo studio “Nello scenario futuro, la sequenza delle tempeste è più ampia sotto quasi tutti gli aspetti. In generale, c’è più pioggia, precipitazioni più intense su base oraria e vento più forte. […] In totale, le tempeste di fine secolo genereranno dal 200% al 400% in più di deflusso nelle montagne della Sierra Nevada a causa dell’aumento delle precipitazioni e in particolare dell’aumento delle piogge che sostituiranno le nevicate”. Secondo le prime simulazioni di ArkStorm, anche con settimane di preavviso meteorologico, non sarebbe possibile evacuare i 5 – 10 milioni di persone sfollate a causa della mega-alluvione. Il caso della California non è con buona probabilità un unicum. Forse qualcuno dovrebbe occuparsene a livello mondiale non solo scientificamente, ma anche e soprattutto politicamente. 


Alessandro Graziadei

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