sabato 3 settembre 2022

Il Giappone e lo sfruttamento sessuale e lavorativo

Ci sono Paesi che culturalmente, almeno nel nostro immaginario, sembrano totalmente impermeabili a certi problemi. Il Giappone è uno di questi. Dall’alto della sua cultura millenaria, capace di far coesistere le tradizioni antiche con la modernità di una nazione tecnologicamente all’avanguardia, offre al mondo l’immagine di una società produttiva e organizzata, spiritualmente e moralmente poco incline a certe derive. Senza dover per forza generalizzare e idealizzare una Paese che come tutti ha i suoi vizi e le sue virtù, alcuni rapporti internazionali hanno messo indubbio questa idealizzata e parziale immagine del Paese del Sol Levante. In marzo eravamo rimasti particolarmente colpiti da un rapporto della polizia thailandese ripreso da AsiaNews, che “stima in 10-15mila all’anno le donne tailandesi, spesso minorenni con documenti falsificati, coinvolte ogni anno in un giro di prostituzione in Giappone", giro gestito da bande criminali locali, ma con la cooperazione di un rodato network di reclutamento e di smistamento. Un sistema che  è stato in passato sottovalutato e che ancora oggi gode di appoggi a vari livelli incentivati da una corruzione diffusa e persistente. Come mai? Per la polizia di Bangkok, Tokyo avrebbe sì leggi severe che puniscono lo sfruttamento sessuale, ma “maglie larghe” per quanto riguarda l’applicazione. Al punto che, nel caso thailandese “riguardo al traffico illegale di donne e sfruttamento di minori per la prostituzione, il Giappone è stato nell’ultimo decennio il maggiore mercato per le vittime di tratta”


Se è cosa nota che in molte parti povere dell’Asia il traffico di donne e il loro sfruttamento per lo più a fini sessuali alimenta un mercato in continua espansione (anche grazie al Covid-19 che ha imposto chiusure e restrizioni allargando le disparità e diffondendo la povertà), stupisce che queste schiave sessuali arrivino fino in Giappone con questi numeri. Non si tratta però dell’unica forma di sfruttamento di esseri umani che interessa il Paese e anche qui non si tratta proprio di una novità. Il rapporto annuale del Dipartimento di Stato Usa, pubblicato lo scorse mese di luglio, ha riacceso i riflettori attorno a un controverso programma di apprendistato che in Giappone permette lo sfruttamento di lavoratori migrantiIl progetto, noto come Technical Intern Training Program (Titp) e concepito nel 1993 per attirare con un visto e un lavoro cittadini di Paesi in via di sviluppo e formarli professionalmente in Giappone, è diventato uno strumento per sfruttare manodopera straniera a basso costo. Secondo AsiaNews “A parteciparvi sono centinaia di migliaia di cittadini provenienti da Paesi meno sviluppati dell’Asia orientale. La gran parte di essi provengono dal Vietnam, seguiti da Cina, Indonesia e Filippine. In certi casi però, partecipare all’apprendistato significa subire abusi e maltrattamenti. Alcuni di questi lavoratori migranti sono stati vittima di ricatti da parte delle imprese che li avevano presi a carico, limitandone pesantemente le libertà personali”. 


Nonostante il documento USA riconosca gli sforzi compiuti dal Giappone in questo campo appare evidente che non sono ancora sufficienti visto che il problema è diffuso anche e soprattutto nei progetti governativi. Per evitare questo genere di situazioni e per prevenire abusi contro i diritti umani dei lavoratori migranti, nel 2017 il ministero giapponese della Giustizia e quello del Lavoro avevano istituito un’organizzazione (detta Otit) che supervisionasse lo svolgimento del programma Titp. Secondo diversi gruppi della società civile, gli interventi di Otit in favore di quei migranti che si trovano in difficoltà risultano pochi e inefficaci, realizzati con provvedimenti intempestivi quando non addirittura evasivi nel proteggere gli apprendisti. Come mai? Secondo i dirigenti di Otit in realtà “il dovere di sostenere gli apprendisti stranieri ricade sulle organizzazioni no-profit che agiscono da intermediari tra lavoratori migranti e datori di lavoro” e il mandato di Otit “è limitato a quei casi in cui l’operato di quest’ultime è ritenuto insufficiente”. Il risultato è che i casi che vedono l'intervento diretto di Otit sono molto limitati a fronte di migliaia di segnalazioni di maltrattamento. Il problema sta finalmente mettendo in crisi il Governo giapponese che per la prima volta ha recentemente riconosciuto che quattro apprendisti che hanno partecipato al Titp sono risultati vittime di tratta di esseri umani. Tuttavia oggi “Il governo giapponese non soddisfa pienamente gli standard minimi per l’eliminazione del traffico di esseri umani, anche se sta compiendo sforzi significativi in questo senso” si legge sul rapporto a stelle e strisce. Emblematico un caso emerso negli ultimi mesi relativo a tre lavoratrici vietnamite arrivate in Giappone grazie al Titp: “per risolvere una controversia col proprio datore di lavoro le tre donne si erano iscritte a un sindacato, ma le autorità del programma avevano intimato loro di lasciarlo” ha spiegato AsiaNews.


Ma fuori dal contesto Titp va meglio ai migranti arrivati in Giappone? Difficile dirlo con certezza, sicuramente il Giappone, davanti al progressivo calo demografico e invecchiamento della popolazione, sta cercando di aprire sempre di più e meglio il proprio mercato del lavoro agli stranieri. In Giappone oggi ci sono solo 2,5 milioni di lavoratori stranieri, il due per cento della popolazione contro il 10-25 per cento delle altre nazioni più sviluppate. Per questo nel 2019 Tokyo ha varato una legge che apre le porte a nuovi lavoratori dall'estero in 14 settori, tra cui agricoltura, edilizia, ristorazione e assistenza infermieristica. Si parla dell’arrivo di mezzo milione di maestranze semi-qualificate da Cambogia, Cina, Filippine, Indonesia, Mongolia, Myanmar, Nepal, Thailandia e Vietnam entro il 2025, tutte assunzioni regolate da un nuovo sistema di visti più garantista, che consentirà, almeno nelle intenzioni, condizioni di impiego onorevoli e l'accesso ai servizi indispensabili, evitando lo sfruttamento di manodopera a cui ci ha abituato il Titp.


Alessandro Graziadei

 

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