Come una rondine non fa primavera, purtroppo qualche isolato rovescio non raddrizzerà le sorti dei grandi e piccoli bacini idrici del Trentino, che come in gran parte del nord Italia, a causa della poca neve caduta in quota, con la conseguente scarsità di accumulo nevoso sulle montagne e infine della pochissima pioggia che ha bagnato i fondo valle nei mesi scorsi, si sono riempiti di acqua per appena 141 milioni di metri cubi. Il volume utile complessivo dei soli invasi artificiali delle 14 grandi dighe idroelettriche trentine di Santa Giustina, Careser, Pian Palù, Pra da Stua, Speccheri, San Colombano, Stramentizzo, Forte Buso, Val Noana, Schener, Costabrunella, Ponte Pià, Bissina e Boazzo è di 348 milioni di metri cubi di acqua. Cifra che sale a 407 milioni di metri cubi contando anche i 59 milioni di metri cubi dei laghi naturali di Molveno, Toblino, Cavedine e Ledro regolati artificialmente per mezzo delle derivazioni. Il grado di riempimento complessivo per gli invasi artificiali più significativi è oggi inferiore del 37% rispetto al dato medio storico, con percentuali variabili tra l’11% e il 44%. La situazione difficilmente migliorerà nelle prossime settimane e le locali riserve idriche, che normalmente garantiscono i fabbisogni per l’agricoltura e la produzione idroelettrica, sono in difficoltà dall’inizio del 2023. Per ora le soluzioni, che non sono facili da trovare, partono dal rinnovato e in questo caso anticipato appello dell’estate 2022: “risparmiare acqua in tutti i settori”.
L’odierna siccità trentina non è quindi qualcosa di straordinario, ma la nuova normalità alpina, e come tale va gestita non solo in via emergenziale, bensì strutturale, visto che in questo territorio il deficit pluviometrico registrato da fine 2021 ad oggi si aggira tra i 300 ed i 400 millimetri. Tradotto: negli ultimi 18 mesi è mancato quasi ovunque almeno un 25% del totale delle piogge, una situazione che ben si rispecchia nei livelli di acqua del lago artificiale di Santa Giustina, il più grande del Trentino, inferiore di 30 metri rispetto al suo livello ottimale. In questo lago artificiale della Val di Non a causa della siccità è al momento presente un volume d’acqua di 39 milioni di metri cubi, circa il 30% della capacità utile operativa. Si tratta di un dato di gran lunga inferiore rispetto a quello medio di 69 milioni di metri cubi, registrato negli ultimi dieci anni in questo stesso periodo e per questo è a rischio la produzione idroelettrica. Ma a rischio è pure l’irrigazione in Trentino e, di conseguenza quella di Lombardia, Veneto ed Emilia, che attraverso l’Adige ed altri fiumi ricevono l’acqua indispensabile alla coltivazione delle pianure agricole che potrebbero rimanere ancora più a secco rispetto alla già siccitosa stagione precedente. Anche la situazione dei grandi laghi naturali è molto simile a quella dei bacini artificiali. “Se il lago di Garda non arriverà a un livello di 90/100 centimetri sopra lo zero idrometrico entro il prossimo mese di aprile, con l'inizio della stagione irrigua si dovranno fare delle scelte: si opterà per salvare il settore agricolo o i comuni che attingono dal reparto idropotabile?” si domandava lo scorso mese Filippo Gavazzoni, vice-presidente della Comunità del Garda.
Che fare? Per l'ingegnere ambientale e membro dell’associazione Meteo Trentino Alto Adige Giacomo Poletti sentito ad inizio mese da TrenTopic per Il Dolomiti “Non bastano certo un paio di perturbazioni per recuperare, i numeri non lasciano spazio ad interpretazioni: ci vorrebbe un surplus di 300-400 millimetri distribuito nel tempo per riuscire a ricaricare le falde profonde ed i grandi specchi d'acqua”. Sono proprio quelli i contesti che rispondono più lentamente ai periodi di siccità, vista la portata dell'accumulo di risorsa idrica: “Si svuotano lentamente, ma allo stesso tempo richiedono periodi molto lunghi per ricaricarsi”. Le perturbazioni da un paio di anni faticano ad arrivare, portandoci alte pressioni su scala continentale tanto che “Negli ultimi anni il flusso perturbato tende a rimanere più a Nord del passato, mentre il nostro territorio sta diventando più mediterraneo e con situazioni di blocco, cioè stazionarie e perlopiù di bel tempo caldo, predominanti”. “I dati dicono che quando piove le precipitazioni sono in media più intense – ha continuato Poletti – e sono seguite da lunghi periodi di alta pressione”. La profondità delle falde in montagna è la fortuna del territorio trentino, anche se per lunghi periodi non piove le grandi quantità di risorsa immagazzinate consentono alle fonti di continuare a garantire acqua, ma dopo due anni di siccità la situazione trentina è critica soprattutto quando la richiesta di acqua per le piante e quindi per l'agricoltura si farà più pressante. Da qui la necessità di investire oggi in nuove metodiche di irrigazione diffondendo il più possibile quella a goccia per evitare le dispersioni, oltre alla necessità di puntare sempre più sull’agricoltura verticale in ambienti confinati, per assicurare produzioni costanti difese dalle bizze climatiche e bisognose di minori apporti idrici, fertilizzanti e fitosanitari.
Intanto in Europa la Commissione europea ha da poco annunciato un investimento di oltre 116 milioni di euro nei nuovi progetti strategici del programma LIFE. Il finanziamento sosterrà otto grandi progetti che aiuteranno l’Europa a diventare il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050 e ad attuare efficacemente l’European Green Deal. In particolare il progetto italiano LIFE Climax Po (CLIMate Adaptation for the PO river basin district), coordinato dall’Autorità distrettuale di bacino del fiume Po, riguarderà l’adattamento ai cambiamenti climatici e i partecipanti sperimenteranno nel bacino del Po una gestione delle risorse idriche intelligente sotto il profilo climatico, migliorando nel contempo la governance della gestione delle risorse idriche. L’Europa meridionale e il Mediterraneo sono riconosciuti dall’Europa come particolarmente vulnerabili al riscaldamento globale, con diversi settori interconnessi minacciati. Per la sua conformazione peninsulare e la sua complessa orografia, legata a uno sviluppo economico ricco, ma diseguale e a un’ampia urbanizzazione costiera, l’Italia è uno dei Paesi più vulnerabili d’Europa. L’adattamento ai cambiamenti climatici e la costruzione della resilienza dello Stato e della società italiana alla variabilità climatica e alla scarsità dell’acqua è adesso una preoccupazione condivisa anche in Europa, e dall'area Mediterranea è ormai arrivata fino a quella alpina!
Alessandro Graziadei
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