... in realtà è il cambiamento climatico raccontato dai media.
Per il noto giornalista britannico Olivier Burkerman, “Se una cricca di psicologi malvagi si fosse radunata in una base sottomarina segreta per ordire una crisi che l’umanità sarebbe stata irreparabilmente impreparata a fronteggiare, non avrebbe potuto escogitare di meglio dei cambiamenti climatici”. Il nostro sistema di “allarme”, infatti, non sembra fatto per le minacce concettuali e come ricorda bene anche lo scrittore americano Jonathan Safran Foer “l’emergenza ambientale non è una storia facile da raccontare e, soprattutto, non è una buona storia: non spaventa, non affascina, non coinvolge abbastanza da indurci a cambiare la nostra vita”. Non è insomma preoccupante come un letale virus, una disumana guerra alle porte dell’Europa o l’emergenza orsi in Trentino, perché riflettere sulla complessità e sulla varietà delle minacce del cambiamento climatico è spossante e la mole di informazioni rischia di perdersi in un grande ronzio di sottofondo. Forse anche per questo (ma non è un’assoluzione) l’attenzione dei principali media italiani nei confronti della crisi climatica è distratta, trascura il legame tra il riscaldamento del pianeta e gli eventi estremi come alluvioni e siccità che colpiscono sempre di più anche l’Italia, e soprattutto omette le responsabilità delle grandi aziende fossili nella più grave emergenza ambientale della nostra epoca. Non è solo una mia impressione. A dirlo è stata Greenpeace, che lo scorso 18 aprile ha pubblicato uno studio condotto dall’Osservatorio di Pavia sull’atteggiamento tenuto verso la crisi climatica dai principali media italiani, nel corso dell’intero 2022.
Riassumendo in un unico rapporto le analisi periodiche condotte da gennaio a dicembre del 2022 lo studio spiega come la crisi climatica è stata raccontata dai cinque quotidiani nazionali più diffusi: Corriere della Sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire, La Stampa, dai telegiornali serali delle reti Rai, Mediaset e La7 e da un campione di programmi televisivi di approfondimento come Unomattina, Cartabianca, L’aria che tira, Otto e mezzo e In onda. I risultati per la carta stampata mostrano che il numero medio di informazioni in cui si parla di crisi climatica, due al giorno, è identico al numero medio di pubblicità dedicate all’industria dei combustibili fossili e delle aziende dell’automotive, aeree e crocieristiche. In base ai risultati dello studio, Greenpeace ha dunque stilato la classifica per l’anno 2022 dei principali quotidiani italiani dove solo Avvenire raggiunge la sufficienza con 3 punti su 5. Scarsi i punteggi di Repubblica con 2,4, del Corriere della Sera e La Stampa con 2,2 e de Il Sole 24 Ore con solo un 2,0, risultando il quotidiano che risente della maggiore influenza da parte delle aziende inquinanti. L’influenza di questo mondo economico sulla carta stampata emerge anche dall’analisi dei soggetti che hanno più voce nel racconto mediatico della crisi climatica: al primo posto si trovano infatti i rappresentanti dell’economia e della finanza con il 16%, che superano politici e istituzioni internazionali con il 15%, esperti di varia natura e associazioni ambientaliste con il 13%. I politici e le istituzioni nazionali si fermano all’11%, a conferma del sostanziale disinteresse della politica italiana verso la crisi climatica atto.
Non va meglio ascoltando i telegiornali della prima serata, che hanno parlato esplicitamente di crisi climatica in meno del 2% delle notizie trasmesse. Studio Aperto e TG1 sono i telegiornali che in percentuale hanno dedicato più spazio al problema, mentre fanalino di coda si conferma il TG La7 con appena l’1% dei servizi trasmessi. L’enfasi dei servizi legati al clima usciti nei mesi di luglio e agosto 2022, segnati da ondate di calore, siccità, incendi e dal crollo della Marmolada, ha evidenziato che, persino quando si parla di eventi estremi, la connessione con i cambiamenti climatici è riconosciuta e spiegata in appena un quarto delle notizie trasmesse dai telegiornali. Anche i programmi di “approfondimento” hanno dedicato un’attenzione sporadica al tema e in 218 delle 1.223 puntate monitorate il 18% è risultato incentrato sulla narrazione degli eventi meteo estremi più che sulla spiegazione di una crisi ormai strutturale. Unomattina è il programma con il maggior numero di puntate dedicate (90), Cartabianca quello con la maggior frequenza rispetto alle puntate trasmesse (il 39%) mentre le due trasmissioni di La7: L’Aria che tira con l’8% e Otto e mezzo - In Onda al 6,5%, sembrano confermare la scarsa attenzione mostrata da La7 al riscaldamento globale. Il risultato? I dati rivelano senza equivoci che, nonostante l’intensificarsi degli eventi estremi, in Italia, la crisi climatica non viene raccontata per quello che è: un’emergenza da arginare che minaccia la vita e la sicurezza delle persone.
Per Giancarlo Sturloni, responsabile della comunicazione di Greenpeace Italia “Il giornalismo ha un ruolo cruciale e una grande responsabilità, ma occorre liberare la stampa e la televisione dal ricatto economico delle aziende dei combustibili fossili che, con le loro generose pubblicità infarcite di greenwashing, e capaci di inquinare anche l’informazione, stanno ostacolando con ogni mezzo la transizione energetica verso le rinnovabili”. Per questo l’associazione ambientalista continuerà a monitorare i media italiani anche nel 2023, nell’ambito della campagna di Greenpeace Italia “Stranger Green”, avviata nel 2022 e nata per monitorare il greenwashing e la disinformazione sulla crisi climatica. Intanto, mentre i media parlano d’altro, il 30 marzo a Strasburgo, in Francia, si è svolta la prima audizione pubblica mai tenuta dalla Corte europea per i diritti dell’uomo (CEDU) in relazione a una causa climatica. A dare avvio al procedimento è stato il ricorso presentato dall’associazione elvetica Senior Women for Climate Protection Switzerland (Anziane per il clima Svizzera). Le ricorrenti hanno chiesto alla Corte di obbligare la Svizzera di intervenire a tutela dei loro diritti umani, e di adottare i provvedimenti legislativi e amministrativi necessari per contribuire a scongiurare un aumento della temperatura media globale oltre 1,5°C, applicando obiettivi concreti di riduzione delle emissioni.
La denuncia delle Senior Women svizzere è una delle tre cause sui cambiamenti climatici attualmente pendenti davanti alla Grande Camera della CEDU. Le altre due riguardano rispettivamente la vicenda di un ex sindaco, del paese transalpino Grande-Synthe, il quale sostiene che la Francia ha adottato misure insufficienti per prevenire il cambiamento climatico (Carême contro Francia, caso n. 7189/21), e il caso di un gruppo di giovani portoghesi in merito agli effetti climalteranti delle emissioni a effetto serra di 32 stati membri dell’Unione europea (Duarte Agostinho e altri c. Portogallo e altri, caso n. 39371/20). Sulla base di questi tre casi, si prevede che la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo definisca se e in che misura gli Stati violino i diritti umani non riuscendo a mitigare gli impatti della crisi climatica. La sentenza, attesa non prima della fine del 2023, costituirà un precedente vincolante per tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa. Ne sentiremo parlare?
Alessandro Graziadei
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