Forse la più autentica e al contempo amara descrizione di “sviluppo”, almeno quello sposato dal nostro sistema economico occidentale, è quella data dal poeta Andrea Zanzotto quando lo ha definito “scorsoio”, visto che spesso lo "sviluppo" avviene a scapito di qualcosa o qualcuno, raramente è neutro e globale. A ricordarcelo lo scorso mese di marzo è stato The Lancet, che ha pubblicato una serie di tre studi “People, profits, and health” che descrivono lucidamente e dati alla mano come, “Sebbene oggi le entità commerciali possano contribuire positivamente alla salute e alla società, i prodotti e le pratiche di alcuni attori commerciali sono responsabili dell’aumento dei tassi di malattie evitabili, danni planetari e disuguaglianze sociali e sanitarie”, tanto che “Le industrie che producono quattro prodotti nocivi – come tabacco, alcol, cibo malsano e combustibili fossili – sono le responsabili di almeno un terzo dei decessi globali”. Per Rob Moodie, tra gli autori della serie di studi e professore di salute pubblica della Melbourne School of Population and Global Health dell’Università di Melbourne, “Vogliamo tutti far parte di una società sicura, felice e sana, ma questo accadrà solo quando i governi faranno della salute delle persone e del pianeta una priorità maggiore del profitto". Questa serie di studi quindi "non è anti-business, è solo a favore della salute” ha spiegato Moodie.
Insomma, se è importante riconoscere che molte imprese svolgono ruoli vitali e fondamentali per lo sviluppo delle società, dobbiamo anche cominciare a riconoscere, sia a livello scientifico che politico, che le pratiche e i prodotti di alcune stanno facendo ammalare le persone e l’ambiente. Per questo ha spiegato Moodie, “Con l’aumento delle malattie non trasmissibili come le malattie cardiache, il cancro e il diabete e l’escalation della crisi climatica, è necessaria un’azione urgente per affrontare il modo in cui le imprese contribuiscono a questi problemi, e in particolare le industrie che vendono prodotti nocivi”. Ma come viene stretto attorno al nostro collo questo “sviluppo scorsoio”? I ricercatori su The Lancet descrivono bene il meccanismo attraverso il quale alcune imprese e multinazionali possono danneggiare la salute: "Usando la loro ricchezza e il loro potere per modellare regolamenti e politiche nel proprio interesse e stimolando così un aumento delle vendite (e quindi del consumo) di prodotti commerciali dannosi, il che aggrava il danno e l’onere dei costi che causano". Queste politiche favorevoli consentono inoltre alle entità commerciali di esternalizzare i costi dei danni causati dalla produzione, dal consumo e dallo smaltimento dei loro prodotti e i costi esternalizzati (ad esempio, pagare per curarsi) sono in gran parte sostenuti dagli Stati e dalle persone colpite. Mentre questi costi riducono le risorse a disposizione degli Stati e degli individui per pagare medicine, assistenza sanitaria, cibo e alloggi, lasciando i sistemi sanitari sempre più incapaci di far fronte all’incremento di malati, le multinazionali godono di extra profitti, alimentando un crescente squilibrio di potere tra attori commerciali e governi che dovrebbero tenerne conto.
Chi si impegna per contrastare questo sistema rischia cause temerarie, visto che le imprese che vendono prodotti nocivi spesso minacciano di intraprendere azioni legali per intimidire le ong che le contestano. Questa pratica è diffusa e in molte parti del mondo purtroppo non si ferma solo alle intimidazioni. Secondo i ricercatori di “People, profits, and health” le grandi imprese evitano anche di pagare la loro giusta quota di tasse, ricorrendo a paradisi fiscali e limitando così i fondi che i governi hanno a disposizione per i servizi sanitari e sociali. Secondo Sharon Friel, una delle autrici, direttrice del Menzies center for health governance della School of regulation and global governance dell’Australian National University, mai come ora serve “Un’azione coraggiosa per ridurre le dannose influenze commerciali sulla salute e sul benessere. Devono essere intrapresi passi coraggiosi per ripensare i sistemi economici e politici e implementare quadri internazionali e politiche governative e modelli di business e finanziari rigenerativi a beneficio della salute, della società e dell’ambiente. Le organizzazioni per la salute e altri gruppi della società civile indipendenti da interessi commerciali acquisiti, gruppi di base, giornalisti, accademici e cittadini svolgono un ruolo importante nel mobilitare l’azione sui determinanti commerciali della salute, creando un corpo di conoscenze e pratiche che possono informare lo sviluppo di strategie efficaci per affrontare le forze commerciali”. Secondo gli autori della serie di studi “Per garantire che il capitalismo contemporaneo sia compatibile con una buona salute della popolazione […] i governi di tutto il mondo dovrebbero dare la priorità ai sistemi e alle politiche che sollecitano un riequilibrio globale del potere”. Come? “Con standard più elevati per la commercializzazione di prodotti nocivi, compresa un’etichettatura onesta dei prodotti e la protezione delle persone dalle tattiche di marketing predatorie”. Ma servirebbero anche “Politiche che forniscono finanziamenti sicuri per la salute preventiva e per l’intero sistema sanitario, che scoraggino il consumo di prodotti dannosi, riducano le disuguaglianze di ricchezza e assicurino che le imprese siano responsabili per tutti i costi sanitari, sociali e ambientali delle loro attività”.
Insomma tutto quello che non è avvenuto in Italia quando si è provato ad introdurre la “sugar tax”o la “plastic tax” che hanno tra le fila dei politici troppi e trasversali difensori d'ufficio. Ve lo ricordate? Andate a vedere i nomi e le imbarazzanti spiegazioni di chi, con la scusa di ostacolare lo sviluppo e il PIL, hanno avversato questi provvedimenti ancora colpevolmente sospesi almeno fino a fine 2023. Per gli autori degli studi, occorre congratularsi con ”Gli attori commerciali e gli investitori che adottano sempre più modelli di finanziamento alternativi che creano valore sociale e promuovono risultati positivi in termini di salute, società e sostenibilità e incoraggiano gli altri a seguire questo esempio” e lo fanno nonostante una buna parte della politica abbia scelto di non legiferare e stringere la corda del PIL attorno al nostro collo e non attorno a chi specula sulla salute globale, nostra e dell'ambiente.
Alessandro Graziadei
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