sabato 15 luglio 2023

Costruttori di opportunità, custodi di comunità

 

Trasformare il mondo entro il 2030, questo è l’ambizioso intento dei 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile monitorati dai singoli Stati, con alterna convinzione e fortuna, su base volontaria. I riferimenti alla disabilità fra questi 17 Obiettivi sono tanti, ma come si concretizzano questi buoni propositi? Abbiamo incontrato la cooperativa sociale La Rete che dal 1988 costruisce opportunità non solo per le persone con disabilità e le loro famiglie, ma per tutta la comunità, facendo propria la volontà di inclusione degli SDGs. Ne abbiamo parlato con Eleonora Damaggio che per La Rete è la coordinatrice dei servizi territoriali e la referente per i volontariati della cooperativa. 


La disabilità è un universo molto vario ed articolato. Prima di iniziare la nostra intervista ti chiedo quali sono, se esistono, i punti cardinali per relazionarsi con le persone con disabilità? 


ED: Per quello che è diventato il nostro modo di lavorare, con La Rete ne abbiamo individuati alcuni. Il primo è l’unicità. Noi pensiamo che per relazionarsi con qualsiasi persona e in questo caso con le persone con disabilità, serve partire dalla loro storia e dalla loro vita. Troppo spesso finiamo per mettere le persone all’interno di categorie, in realtà dovremmo scoprire le persone e le loro potenzialità partendo sicuramente dalla disabilità, dal deficit, alla fatica, dal limite, che va conosciuto e non va negato, ma non risolvendo nella sua disabilità una persona. Ognuno ha il suo carattere, ha una sua famiglia, ha delle relazioni indipendenti dalla disabilità. Ecco che allora la persona con disabilità può diventare Luca, Alessandro, Giovanna… può diventare unica. 


Un altro elemento che La Rete ha messo al centro del suo lavoro è l’adultità. Noi lavoriamo con persone tra i 16 e i 64 anni, e anche quelle con disabilità intellettiva non sono mai degli eterni bambini. Non possiamo quindi relazionarci con loro vezzeggiandole o sostituendoci a loro, ma dobbiamo favorire la loro autonomia. L’autonomia è sempre una forma di libertà, e va incoraggiata anche quando richiede tempo, anche quando servono 5 minuti e non 10 secondi per allacciarsi le scarpe. L’età è fatta da tante esperienze che ci portano ad essere le persone che siamo, ci fanno maturare, per questo non possiamo per esempio considerare le persone affette da disabilità come eternamente asessuate (tra le tante donne che ho conosciuto nel mio lavoro solo una che non aveva il ciclo mestruale) o incapaci di autodeterminarsi. Nel mondo della disabilità di autodeterminazione si parla purtroppo poco, ma è importante capire che anche le persone che sono in una condizione di disabilità possono scegliere. Noi operatori e i volontari siamo di supporto ad una loro autonomia, che è chiaramente proporzionata alle loro possibilità, ma non occorre sempre “tenere un adulto per mano” (in senso fingurato e non). Non dovremmo mai essere da ostacolo alla loro autonomia!


Penso esista un altro aspetto importante nella relazione con le persone disabili e sono i desideri e i sogni. Può suonare strano in un servizio che sembra orientato principalmente ai bisogni e ad aspetti assistenziali, ma tutto ciò che noi facciamo per la persona in condizione di disabilità deve contemplare desideri unici e sogni individuali, anche piccoli, ma fondamentali per una realizzazione più completa possibile della sua vita.


Il motore per poter lavorare bene sull’unicità, l’adultità, l’autonomia, l’autodeterminazione, i desideri e i sogni delle persone con disabilità è il chi più che il cosa, cioè la relazione. È la relazione vera, la relazione per forza asimmetrica, ma dove non è l’abilità o la disabilità a fare la differenza, ma la capacità di guardare l’altro ad altezza occhi e non dall’alto verso il basso o viceversa, a fare la differenza. Talvolta anche inconsciamente, soprattutto con i volontari, rischiamo o di non rispettare l’autonomia e l’adultità della persona disabile, oppure viceversa di subirla, mettendoci più che in relazione solo a disposizione. La relazione quella vera deve saper ascoltare in modo completo, per questo a volte deve saper andare oltre il verbale. Deve saper sostare e saper stare per osservare l’altro, con pazienza, attenzione e senza formule predefinite, mai simili, sempre individuali e per questo uniche. 


L’ultimo aspetto per noi fondamentale è l’inclusione, che prende il posto dell’integrazione, che sembra sempre una concessione. Noi l’inclusione la pratichiamo abitando i luoghi di tutti, andiamo nelle piscine comunali, nelle palestre, nelle mense, nei musei… Per farlo occorre tessere delle relazioni ed essere tutti cittadini rispettosi dell’altro, accettando una condizione dove chiedo che i servizi siano sbarierati e le opportunità inclusive, ma non mi aspetto sconti o agevolazioni perché accompagno una persona con disabilità e sempre al netto di esigenze speciali, non faccio saltare per esempio la fila o non  permetto il “rutto libero”, perché non sempre siamo i più fragili e tanto meno dobbiamo risultare i più folli. L’inclusione ci permette di avere un ruolo individuale e sociale, altro aspetto per noi fondamentale. Tutti noi abbiamo più ruoli nella vita, e anche la condizione del disabile non deve limitarsi ad un ruolo passivo di fruitore di servizi, ma può e deve avere un ruolo attivo e di significato a livello sociale, oltre che individuale. Tutti i nostri ragazz* possono essere persone utili agli altri e alla comunità, possono veder riconosciuto il proprio valore sociale e la propria unicità, conquistando il diritto di esserci.


Ci presenti La Rete, cos’è, di chi si occupa e come lo fa?


ED: La Rete è una cooperativa sociale che dal 1988 ha tre anime, al centro c’è la persona con disabilità, con l’approccio che ti ho raccontato prima, assieme alla persona con disabilità c’è la famiglia e la comunità.


Alle persone con disabilità offriamo una serie di servizi territoriali diurni creati sempre nell’ottica gruppale del fare assieme. Questi gruppi sono eterogenei e non sono mai differenziati per età o per patologie, ma partono da sogni e desideri comuni, quindi è la comune passione per esempio per il teatro o per il nuoto ad accomunare ragazzi con disabilità e volontari, tutti scelgono il servizio territoriale in base ai propri desideri. I gruppi sono attivi dal lunedì al sabato, sono 33 e vanno da gruppi che fanno capo ad aree di ordine sportivo, ad aree legate al ruolo sociale e al lavoro, alla creatività e alla espressività, alla cultura e alla formazione e al tempo libero includendo anche le attività estive come i soggiorni. Ognuno di questi gruppi ha degli obiettivi che sono in parte trasversali al gruppo e in parte individualizzati: torniamo all’unicità delle persone con disabilità che va ben oltre ad un contesto strettamente educativo. Gli altri servizi sono invece legati all’abitare inclusivo come “Prove di volo”, un appartamento dove piccoli gruppi di ragazz* con disabilità assieme a degli educatori provano a vivere fuori dal nucleo famigliare per alcune settimane, facendo esperienza di vita autonoma, ma non stabilmente come accade nelle realtà comunitarie. Questo è un servizio che punta a sviluppare successive soluzioni cucite addosso come abiti (nel senso del vestito e dell’abitare), soluzioni che possono adeguarsi alle esigenze e alle diverse possibilità di ogni persona, combinando una soluzione e un supporto mirato, realizzato anche da ragazzi migranti che in alcuni casi sono diventati un supporto fisso per le persone con disabilità. Si tratta di una soluzione studiata sempre con la persona disabile e la sua famiglia.


La famiglia a La Rete è centrale perché pensiamo sia portatrice non solo di fatiche, ma anche di storie, strade comuni, ricchezze e opportunità. Dobbiamo camminare assieme a loro, ascoltandoci, aspettandoci, senza giudicare, la disabilità non è quasi mai una scelta (se non per chi adotta, e ci sono anche queste persone), e non conosciamo il vissuto di chi la disabilità la vive tutto il giorno, tutti i giorni. Più strumenti diamo e riceviamo dalla famiglia meglio possiamo lavorare. Alle famiglie offriamo, attraverso i nostri assistenti sociali, un servizio di segretariato sociale, supporto, consulenza e presa in carico per aiutare le famiglie a districarsi nella rete della burocrazia e delle opportunità offerte dai vari servizi.  Organizziamo anche momenti di promozione della socialità tra famiglie e volontari, attività di formazione e mutualità su problemi legati alla disabilità. Rappresentanti delle famiglie sono presenti nel nostro consiglio di amministrazione e la nostra presidente è una mamma di un ragazzo con disabilità.


Per quanto riguarda la comunità non possiamo lavorare sull’inclusione senza lavorare sullo “sviluppo di comunità” e senza relazionarci con l’essere prima di tutto cittadini attivi delle persone con disabilità. Sappiamo inoltre che all’interno della comunità esistono molte persone che se orientate, formate e supportate possono diventare volontari. I nostri sono 253, di ogni età ed estrazione sociale e rappresentano una parte fondamentale del nostro lavoro perché aumentano le possibilità relazionali delle persone con disabilità e creano la forza di gruppi eterogenei. Pensa che siamo alla terza generazione di volontari, ci sono nonni, figli e nipoti. Una cosa che spesso mi commuove.


Nel vostro percorso e nel vostro lavoro il volontariato è sempre stato una risorsa centrale?


ED: Sì. Il volontariato per La Rete è una grandissima opportunità per le persone con disabilità, e anche per le loro famiglie. Sulle famiglie è un’iniezione di fiducia, nei confronti di una società che non è sempre accogliente con le vulnerabilità. L’impegno gratuito invece dà alla famiglia la possibilità di conoscere persone che hanno il desiderio di stare con i propri figli, persone che decidono le date delle loro ferie in base alle date dei nostri soggiorni estivi per poter accompagnare le persone con disabilità in ferie comuni. Per le persone con disabilità il volontariato è relazione, uno stimolo a conoscere persone diverse, con lavori diversi (c’è di tutto andiamo da operai, disoccupati, architetti, casalinghe, bancari, studenti, pensionati…), e vite diverse. Questo supporto pratico del volontario ha in realtà un’importantissima valenza relazionale. Al volontario diamo la possibilità di scegliere quale attività preferisce, per assecondare anche i suoi desideri, le sue curiosità, le sue competenze o passioni, non solo le nostre esigenze. Chiediamo in cambio un tempo di qualità che genera reti di prossimità importanti per utenti e volontari, che così sconfiggono solitudini e possibili marginalità talvolta anche tra chi ha deciso di fare il volontario.


Quanto le famiglie, la società e la politica trentina hanno compreso l’importanza di un passaggio da un atteggiamento delegante e spesso solo richiedente ad una partecipazione attiva e costruttiva nella relazione con le vulnerabilità? 


ED: È una domanda complessa. Diciamo che quando si delega è più facile “sedersi” e “accontentarsi”, un rischio dal quale non sono esenti neanche le cooperative sociali che per anni hanno ricevuto fondi e si sono occupate solo di trasformare i fondi in servizi efficienti. La crisi ci ha costretto a ripensare a come trovare molte risorse, ad attivare soluzioni creative nuove per farci carico dei servizi, molti dei quali oggi sono a bando. Anche le famiglie hanno dovuto far fronte ad un ridimensionamento della possibilità di delegare portandoci a suddividere le responsabilità e il tempo da dedicare alle persone con disabilità. Penso che si stata anche una opportunità per ri-immaginarsi e ri-inventarsi soluzioni innovative come l’impegno in progetti come “Custodi di comunità” [che presenteremo nella prossima intervista] dove la persona con disabilità è impegnata a fare dei servizi per la comunità generando relazioni e nuove sensibilità tra i cittadini che vedono le persone con disabilità ocuparsi concretamente del bene comune, pulendo un quartiere, curando dei giardini, facendo la spesa per persone anziane che hanno bisogno di aiuto. Un servizio di persone fragili e si occupa di altre persone fragili…


Per anni la disabilità ha rappresentato una cesura tra un mondo abile e uno disabile. Oggi ha più senso parlare di disabilità “universali”, dove ognuno di noi è portatore di disabilità più o meno evidenti?


ED: Sinceramente no. Non lo trovo opportuno come non ho mai trovato opportuna e sono sempre stata un po’allergica alla definizione di “diversamente abili”. Semplicemente perché noi abili molti dei nostri bisogni possiamo soddisfarli da soli, in modo indipendente e senza troppa fatica. Possiamo mangiare, andare al bagno, spostarci a piedi o in bicicletta. Parlare di disabilità “universali” toglie dignità e coraggio a chi molti di questi bisogni non riesce a soddisfarli in modo autonomo. Riconoscere la disabilità da dignità alla persona che è in questa condizione particolare, ne riconosce i bisogni, i limiti, ma anche le possibilità ed è questo percorso relazionale che porta a conoscersi e riconoscersi oltre le disabilità. Al massimo possiamo dire che esistono tante fragilità, e che accorgersene è un buon modo per mettere in crisi un’idea di perfezione che nella realtà umana non esiste. 


Nello sport la nascita di esperienze come il baskin, dove abili, meno abili e disabili giocano tutti assieme sembrano dare una rappresentazione pratica a quello che dici…


ED: Esatto. Esperienze come quella del baskin permette ad abili e disabili di giocare assieme con regole che permettono un’inclusione totale, dove tutti possono essere se stessi, giocando con abilità e disabilità non limitate, riconoscendo a tutti un ruolo senza voler negare la propria unicità.


Alle diverse abilità viene fatto riferimento in più Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile. In estrema sintesi possiamo dire che l’Obiettivo 4 riguarda l’istruzione inclusiva ed equa, con la promozione di opportunità di apprendimento per tutti, comprese le persone con disabilità. L’Obiettivo 8 punta a promuovere la crescita economica inclusiva e sostenibile, l’occupazione piena e produttiva e il lavoro dignitoso per tutti, abili e meno abili. Strettamente legato a questo è l’Obiettivo 10, che si sforza di ridurre le disuguaglianze all’interno e tra i paesi, promuovendo l’inclusione sociale, economica e politica di tutti, a cominciare dalle persone con disabilità. L’Obiettivo 11 punta a rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, accessibili, sicuri e sostenibili, con particolare attenzione alle esigenze delle persone in situazioni vulnerabili. L’Obiettivo 17, infine, sottolinea quanto sia cruciale la raccolta di dati e il monitoraggio. Gli Stati membri sono invitati a migliorare tale aspetto, con dati tempestivi, e affidabili, anche in modalità disaggregata rispetto alle disabilità. Tra questi SDGs secondo il vostro osservatorio, quale ha un maggior peso specifico?


ED: Sicuramente la scuola ha un ruolo centrale e a cascata può condizionare in positivo tutti gli altri Obiettivi. Il contesto scolastico ha fatto grandi passi avanti, ma fa ancora fatica ad includere la disabilità così come auspica l’Obiettivo 4. Le poche risorse limitano le aspettative, perché senza educatori di supporto si finisce normalmente per trattare i ragazz* con disabilità rispondendo solo a bisogni educativi speciali, fuori dal contesto classe, e quindi senza la possibilità di ampliare le loro relazioni e la loro reale inclusione.


Ci hai spiegato come e perché esiste un valore sociale della disabilità.  Ci sono esperienze pioniere in questo campo?


ED: Lo psicologo Maurizio Colleoni, la Rete Includendo e le sue Immaginabili Risorse sono stati  pionieri di questo tipo di “sviluppo di comunità” che nasce dai tagli ai fondi per i servizi alle persone con disabilità e che ha provato a “immaginare risorse” e strade nuove per rispondere alla crisi ed uscire dagli abituali “recinti” dove si trattava la disabilità. Includendo si formalizza nel 2011 facendo tesoro di esperienze e riflessioni di numerose realtà del centro e nord Italia e si  propone da subito come un laboratorio di ricerca ed azione strutturato attorno alle strategie ed alle metodologie più efficaci, innovative e originali per una reale inclusione sociale delle persone con disabilità, un’inclusione che vada oltre le forme tradizionali di azione tecnica e sociale incardinate nella formula dei servizi. Questa prospettiva ha contribuito allo sviluppo di nuove connessioni e nuove logiche di politica sociale della disabilità, centrate sul mutualismo tra soggetti portatori di disabilità e risorse diverse che, attraverso prassi inclusive, tendano a migliorare le condizioni di vita dei nostri territori e dei cittadini, passando non solo attraverso il no-profit, ma anche attraverso il profit, che se stimolato è capace di dialogare in modo creativo ed efficace con noi. Ecco che la gestione di bici-grill, dei punti di bookcrossing, la consegna di farmaci, la produzione alimentare, la pulizia del verde pubblico, la riparazione di biciclette… hanno permesso in molte parti di Italia alle persone con disabilità di venire in contatto con nuove realtà e servizi, ma non come utenti finali, ma come risorse dal grande valore sociale. L’idea alla base è capovolgere il paradigma consueto e immaginare il disabile come risorsa, come adulto, perché immaginare è il primo passo per poter realizzare questo pensiero. Una logica che già ci apparteneva e che ci ha appassionato. Da qui sono nati i “Custodi di comunità”. 


In cosa consiste il progetto “Custodi di comunità”?


ED: Dal punto di vista operativo il progetto è fatto da due gruppi composti da 15 persone con disabilità e diversi educatori e volontari, operativi uno il lunedì mattina, l’altro il mercoledì pomeriggio. Questi gruppi hanno come obiettivo quello di dare alle persone con disabilità un ruolo ruolo sociale legato al fare per la comunità. Abbiamo attivato servizi di pulizia della nostra sede, del quartiere, delle sale comuni del Condominio Solidale, ci occupiamo della cura di beni comuni a cominciare dal verde pubblico con la manutenzione del Giardino degli Aromi lungo il Fersina, del rifornimento dei punti di BookCrossing con i libri de Il Margine, facciamo svuotamento di cantine, percorsi per il riciclo e il riuso di materiali e oggetti a cominciare da quelli conservati nelle famiglie delle persone con disabilità e siamo diventati un supporto alle persone anziane o con fragilità (questo è un vero incontro di fragilità), attraverso il fare la spesa, portare via le immondizie, fare piccole commissioni, aiutare a fare gli addobbi di Natale nella A.P.S.P. Beato de Tschiderer. 


Che ricadute ha sulle persone con disabilità la consapevolezza di essere utili agli altri, veder riconosciuto il proprio valore e la propria unicità e non essere visti semplicemente come utenti di servizi?


ED: Tante. Io credo molto in questo modo di fare sviluppo di comunità e in questi affiatati gruppi di cittadini attivi. Sono faticosi da gestire, organizzare e coordinare, ma questi servizi ci permettono di aumentare il senso di adultità e responsabilità delle persone con disabilità attraverso momenti di fortissima inclusione attraverso i lavori svolti. Questi lavori consentono di connettersi con servizi e persone prima sconosciuti come Villazzano solidale, Gruppi di riuso di Ravina e di Povo, con il centro Aiuto alla vita di Trento, con Tabita, la Penny Wirton, il progetto “Al mio quartiere ci penso io”, con lo Spazio argento, la A.P.S.P. Beato de Tschiderer, il Condominio solidale, le scuole Nicolodi e il loro progetto “Innaffiamo assieme” e le scuole Bronzetti… Sviluppare nuove abilità relazionali nella persona con disabilità equivale anche a svilupparle nella comunità nei confronti delle persone con disabilità. Significa essere riconosciuti a pieno titolo come cittadini attivi, significa costruire per queste persone un ruolo individuale e sociale. 


Potremmo dire che al centro del progetto vi è la capacità di riconoscere e dare “diritto di cittadinanza” alla fragilità?


ED: Sì e possiamo anche dire che la fragilità può in qualche modo “custodire” la comunità.


Quali sono stati i punti critici di questo progetto di sviluppo di comunità?


ED: Le difficoltà sono tante, di ordine pratico, a cominciare dallo smaltire al CRM dei materiali a quello sociale, come il farti riconoscere come affidabile dalle persone che scelgono un nostro servizio o dai parenti che ti affidano la cura di servizi per i loro familiari anziani. Ma anche le difficoltà e il provare a superarle assieme contribuiscono alla costruzione di un ruolo sociale e attivo per le persone con disabilità.


I progetti che mettono al centro lo “sviluppo di comunità” mi sembra coinvolgano sempre più competenze ed interlocutori rispetto alle dimensioni strettamente assistenziali.


ED: Sì. Oggi dobbiamo mettere in campo competenze molto diverse, non siamo più solo educatori alla persona con disabilità, ma educatori di comunità. Per fare questo bisogna aprire gli occhi e tessere reti interagendo con la persona, la famiglia e la comunità intesa come insieme di enti diversi, istituzioni, privati, con il semplice cittadino… Occorre quindi stare all’interno di una molteplicità di relazioni e questa è una sfida necessaria, affascinante, ma molto faticosa, con molte difficoltà anche a livello burocratico. Occorre anche saper perdere potere, perché nel momento in cui mi “butto” nella comunità e costruisco delle relazioni e delle collaborazioni, dobbiamo essere pronti a cedere controllo e potere sui possibili sviluppi di questo percorso comune, come anche sulle persone con disabilità che sperimentano più autonomia e visibilità. Come educatori de La Rete eravamo forse già abbastanza preparati a questa trasformazione perché da sempre ci relazioniamo con le famiglie, con tanti volontari, e soprattutto l’inclusione delle persone con disabilità la pratichiamo da sempre abitando la città e i luoghi di tutti. Questo approccio ci ha sempre dato l’opportunità di relazionarci con tutta la comunità, sia in modo formale a livello progettuale, che informale nelle attività di tutti i giorni con i gruppi territoriali.


Grazie mille per il vostro lavoro e per aver visto prima di altri quelle “immaginabili risorse” umane che il mondo della disabilità contiene e restituisce a tutta la nostra comunità.


Articolo di Alessandro Graziadei uscito anche su Abitarelaterra.org


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