sabato 9 settembre 2023

Dalla conservazione alla condivisone

 

Tra le mura di Casetlbarco, dal 1921 ha la propria sede il Museo Storico Italiano della Guerra che si occupa dei conflitti dall’età moderna ai giorni nostri, con particolare attenzione alla Prima guerra mondiale. Luogo di conservazione, ricerca ed educazione sul tema delle guerre e del loro impatto sulla società, sulla cultura e sul paesaggio oggi questo Museo è una Onlus che cerca di “fare la storia” sul territorio e non solo di raccontarla all'interno delle proprie mura. Ne abbiamo parlato con il Provveditore Francesco Frizzera e Anna Pisetti, responsabile della sezione educativa del Museo.


Ci racconti cos'è e come è organizzato il Museo Storico della Guerra?


FF: Il Museo della Guerra è un’istituzione culturale che esiste a Rovereto da circa un secolo che si propone di raccontare storie di uomini e donne in guerra con un focus soprattutto su ‘800 e ‘900. Dal punto di vista giuridico è una ONLUS dotata di personalità giuridica, che offre tuttavia servizi sul territorio ed è riconosciuta di interesse pubblico dalla Provincia autonoma di Trento attraverso una legge provinciale. Il Museo non si occupa esclusivamente di attività espositiva attraverso la visita al Castello e alle sue sale con un percorso che spazia dall'ottocento alla Prima guerra mondiale, ma organizza periodicamente mostre temporanee, ospita un corposo archivio documentario e fotografico, delle collezioni che spaziano dall’età preistorica fino ai giorni nostri e soprattutto organizza attività didattiche e formative per famiglie, per scuole, per il pubblico adulto nell’ottica di fornire servizi culturali alla comunità e alla popolazione incidente sul territorio. 


Quali sono le sfide per una realtà culturale come la vostra e le sue relazioni con il territorio?


FF: Il Museo come la grandissima parte dei musei è una realtà senza scopo di lucro che fornisce dei servizi di natura culturale alla comunità sulla quale incide. Questa dimensione è stata particolarmente enfatizzata negli ultimi trent’anni quando il Museo ha cambiato progressivamente natura e ad oggi la struttura museale, con tutte le sue articolazioni, fornisce dei servizi di consulenza sotto forma di partecipazione a reti territoriali e a uno spettro multiforme di soggetti come associazioni, altri musei e altre realtà che partecipano allo sviluppo culturale, in un’ottica di  sostenibilità e tutto questo è stato integrato l’anno scorso nella revisione della Mission del museo che è stata aggiornata in concomitanza col centenario dell’istituzione.


Come è cambiato durante questo secolo il modo di raccontare la storia e il suo modo di renderla accessibile (in tutti i sensi) da parte del Museo?


FF: Quando è nato il Museo  era un presidio di italianità in un territorio di confine appena annesso all’interno del regno d’Italia e in linea con lo spirito dei tempi narrava una guerra vittoriosa attraverso la quale le truppe italiane prendevano possesso di una Regione  mistilingue i cui abitanti avevano in grandissima parte combattuto con la divisa del nemico. Questa narrazione si è modificata nel corso del tempo aggiungendo elementi di equilibrio e complessità a questa visione e soprattutto integrando altri aspetti che vanno ben oltre la narrazione di una guerra di conquista dai toni eroici. Ora ci si concentra sul paesaggio, sull’impatto che la guerra ha sui civili in senso lato, su quanto questo incida sulla mentalità e sulle forme di costruzione della memoria. La sfida che ci poniamo oggi è quella di rendere accessibile questa narrazione a uno spettro di pubblici molto ampio e non solo ai reduci di guerra come accadeva ad esempio negli anni Venti e Trenta. Ciò non è per niente facile, perché gli spazi del Castello sono per certi versi respingenti, perché il tema è ostico ed è caratterizzato da un pregiudizio negativo nell’approccio. La nostra sfida, tuttavia, è quella di riuscire a rendere questi temi complessi accessibili a una pluralità di pubblici che vanno dalle famiglie fino al pubblico più numericamente limitato degli esperti del settore.


AP: Per fare questo negli ultimi anni abbiamo modificato interamente gli allestimenti per cui il percorso di visita oggi è completamente rinnovato, è un percorso che è iniziato una quindicina d’anni fa e che proprio quest’estate si è concluso con l’apertura dell’ultima sala che spinge il racconto fino all’immediato dopoguerra, ma abbiamo provato anche a lavorare sui linguaggi e sulle modalità di comunicazione, individuando forme diverse che vanno dal pannello testuale all’immagine illustrata  per i bambini, all’audioguida, integrando per esempio le traduzioni in inglese, quindi cercando effettivamente di venire incontro alle esigenze di tutti i pubblici. Nei prossimi mesi il lavoro proseguirà, cercheremo grazie ad un bando  di integrare questa offerta anche per un pubblico non udente e non vedente.


Con più di cent'anni di storia, oggi il Museo Storico Italiano della Guerra è un'istituzione per Rovereto e non solo. Qual è oggi il ruolo del Museo e della storia nella società roveretana, trentina e italiana?


FF: Il Museo nasce nel 1921 come iniziativa civica dal basso all’interno della società roveretana e diventa fin da subito una delle istituzioni culturali più rilevanti della città e continua a distanza di un secolo a mantenere questo ruolo all’interno di una rete di relazioni che si sviluppano con altri musei e istituti culturali. Nel corso del tempo ha acquisito uno spazio di azione che è in parte di dimensione provinciale, coordina per esempio la rete dei Musei trentini della Grande Guerra, ma anche respiro più ampio di quello che è il confine provinciale istituito dall’autonomia. Già dagli anni Trenta assieme al Museo Storico di Trento va a stabilire i rispettivi campi d’azione definendo una prospettiva del racconto compiutamente nazionale o non esclusivamente provinciale e questa dimensione del racconto si rispecchia nelle reti di relazioni che intrattiene con altri musei storici italiani. All’interno del percorso espositivo e nelle iniziative di divulgazione si la guerra viene raccontata nella sua dimensione italiana ed europea.


Voi raccontate le guerre del passato sapendo che la guerra è ancora una realtà contemporanea, che va ben oltre i confini Ucraini. Come entra il recente passato e l'attualità della guerra nel vostro Museo? 


FF: Il Museo non va immaginato solo come uno spazio espositivo legato alle iniziative delle mostre permanenti o temporanee, ma è un polo culturale a tutti gli  effetti, pertanto le guerre dell’attualità o le guerre più recenti entrano molto spesso all’interno della programmazione museale attraverso altre iniziative rispetto a quelle espositive che richiedono tempi ed energie molto corpose. Tuttavia all’interno del percorso espositivo permanente abbiamo provato ad introdurre una serie di elementi di continuità e nel contempo problematizzanti per riuscire ad introdurre delle riflessioni sul presente. Ad esempio abbiamo tolto l’aspetto evenemenziale dal racconto dei conflitti, ragioniamo adesso per blocchi tematici o problematici che permettono di tematizzare alcune continuità, ovvero come la guerra impatta sui civili, come le forme di creazione del consenso e della propaganda producano in realtà delle linee lunghe di continuità che vanno ben oltre il primo conflitto mondiale e questo sforzo poi viene portato a compimento con l’organizzazione, quando possibile, di mostre temporanee che riflettano anche sull’impatto di lungo periodo dei conflitti e in alcuni casi  del vicino passato.


AP: Di attualità della guerra parliamo anche nelle attività proposte alle scuole anche grazie alla collaborazione con l’Osservatorio Balcani & Caucaso Transeuropa che ci permette allargare il campo della riflessione su episodi più recenti come per esempio la Guerra in Jugoslavia e poi attraverso l'organizzazione di iniziative come possono essere la presentazioni di libri, l’organizzazione di conferenze o di convegni che ci permettono appunto di allargare lo sguardo oltre quello che sono gli allestimenti. Nella prospettiva futura, fra qualche anno, il Museo conta di allargare il racconto almeno fino alla Seconda Guerra Mondiale. È un lavoro che ci impegnerà nell’immediato futuro.


Un esempio è anche la bella mostra fotografica di Mario Boccia, che avete curato con l'Osservatorio Balcani & Caucaso, “Sarajevo 1992-1996. L’assedio più lungo” visibile fino al 10 settembre...


FF: L’ipotesi di ospitare le fotografie di Mario Boccia e di orientare il racconto sulla vicenda dell'assedio di Sarajevo va esattamente in questa linea che si propone di introdurre il recente passato e l'attualità della guerra all'interno del racconto museale. Abbiamo utilizzato in questo caso il mezzo della foto d'autore per riuscire ad introdurre il tema e lo abbiamo fatto scegliendo assieme a Mario Boccia una serie di scatti che mettessero in primo piano l’esperienza di guerra dei bambini, delle donne, della resistenza civile, delle forme dell’assedio… Tutti elementi che si possono già leggere all'interno del percorso di visita in maniera sotterranea e che giungono a maturazione all'interno dello spazio dedicato alle mostre temporanee, che non a caso è l'ultimo che il visitatore incontra all'interno della propria esperienza di visita. È un processo non facile, che tuttavia ci siamo proposti di protrarre nel futuro e soprattutto attraverso l’organizzazione di eventi collaterali alla mostra, come per esempio la visita della Vicesindaca di Sarajevo che è programmata per il finissage della mostra il 9 settembre.


Recentemente grazie ad un trasloco mi sono tornati tra le mani saggi come “La grande guerra e la memoria moderna” di Paul Fusell e “Le guerre mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti” di George Mosse, oltre a romanzi come “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di Erich Maria Remarque, Oscar 2023 con la sua terza trasposizione cinematografica. Davanti alla soddisfazione di diversi ministri per La Giornata dell'Unità Nazionale e delle Forze Armate,  nata nel 1919, e recentemente ripristinata il 4 novembre, mi domando se e come è cambiato il modo di fare memoria, dentro e fuori dai musei.


FF: Nel contesto europeo a partire dalla fine degli anni ‘80  le modalità attraverso le quali i musei fanno memoria si sono modificate grandemente con esperienze particolarmente innovative soprattutto nell'ambito tedesco e britannico e in misura minore nell’Europa dell’est. Nel caso italiano in termini di memoria pubblica si è faticato molto nel riuscire a trasporre nei Musei una seria di riflessioni che ormai sono mature in termini storiografici, non soltanto per le difficoltà strutturali dei musei, ma anche per l'assenza di grandi istituzioni pubbliche che possano farsi carico di questo, che è un compito di tipo sociale legato all'educazione permanente che deve essere anche spinto dall'alto. Nel proprio piccolo i musei con le risorse che hanno a disposizione hanno tentato di sopperire a queste piccole mancanze della amministrazioni pubbliche e della politica organizzando ricerche, esposizioni o e attività che vanno incontro a un diverso bisogno di memoria, che va a riscoprire luoghi e memorie sommerse e che soprattutto va a destrutturare l'enfasi sulle memorie eroiche e tutto quello che sta attorno a queste a  vicende. Nel caso trentino il centenario della Prima Guerra Mondiale ha permesso di destrutturare narrazioni di lungo periodo che descrivevano il Trentino come compattamente italiano, e sono stati riscoperti a centinaia luoghi comunitari di memoria che erano scomparsi dal tessuto sociale o comunitario, pur essendo noti e che sono stati riqualificati e dei quali le comunità  si sono riappropriate. La memoria pertanto non si fa solo all'interno dei musei, all'interno di uno spazio espositivo, ma si fa anche e soprattutto nelle attività con gli stakeholder locali, come associazioni di portatori di interesse che poi si fanno carico di riscoprire i luoghi, di valorizzarli e anche soprattutto di mantenerli e coltivare questa memoria che altrimenti rischia di essere nuovamente fagocitata.


Alla propaganda di guerra il Museo Storico Italiano della Guerra dedica ancora documenti e spazi molto interessanti...


FF: La propaganda di guerra è tradizionalmente uno dei temi ai quali il Museo dedica maggior spazio espositivo e anche nel riallestimento del percorso dedicato alla prima guerra mondiale abbiamo deciso  di mantenere una sala dedicata alla propaganda. Questa decisone è legata alla necessità di poter fornire degli spunti che possano essere utilizzati per i laboratori didattici con le scuole, ma anche e soprattutto alla consapevolezza che questo tema apre una finestra sulle modalità con la quale la guerra impatta sulla popolazione militare e civile e anche su come la guerra sviluppi delle logiche che sono ben leggibili anche nel contemporaneo. Questo è esattamente uno di quei temi che può essere estrapolato dal proprio contesto e può essere ribaltato, con le chiavi di lettura del caso, sulle guerre del secondo Novecento fino alle guerre attuali.


Da quando lo conosco io, cioè da circa vent'anni, il Museo ha sempre puntato molto sulla didattica della storia, con la formazione degli insegnanti e  le proposte agli studenti di visite agli spazi espositivi, laboratori, attività in classe ed uscite sul territorio. Cosa caratterizza la vostra proposta formativa e qual è il bilancio di quest'ultimo anno scolastico? 


AP: Il Museo si propone ormai da più di vent'anni alla scuola come un luogo nel quale vivere un’esperienza formativa. Non è più uno spazio di celebrazione, un monumento come poteva essere negli anni ’20 o ’30, ma si propone come uno spazio di interpretazione nel quale ragazzi e ragazze possono osservare documenti, oggetti, fotografie. Gli educatori museali cercano di stimolare l’osservazione di attivare la curiosità più che trasferire informazioni e l’obiettivo della proposta formativa è quella di stimolare uno sguardo critico e una capacità di interpretazione  degli studenti. Questo lo possiamo fare nelle sale del Museo, ma anche sul territorio dove accompagniamo i ragazzi in visita  a luoghi della memoria come il Sacrario militare, la Campana dei caduti, ma anche siti storici recuperati negli ultimi anni da volontari, da associazioni, col contributo della Provincia quali le trincee e i forti. Dopo un paio d'anni di rallentamenti dovuti alla pandemia abbiamo ricominciato a vedere le sale affollate da studenti provenienti da tutto il nord Italia e non possiamo che essere soddisfatti di questa relazione così intensa con il mondo della scuola.


Un Museo che dalla conservazione è passato alla condivisione...


FF: Semplicemente il Museo ha smesso di essere esclusivamente uno spazio espositivo ma organizza nel corso dell'anno numerosi incontri e occasioni formative per pubblici molto diversi (storici, docenti, specialisti, tirocinanti, ragazzi impegnati nell’alternanza scuola-lavoro…)  e molto spesso al di fuori delle mura del Museo. Una gamma molto ampia di attività che si sviluppa anche intrattenendo relazioni con una rete di soggetti del territorio, circa un centinaio fra relazioni legate a scontistiche per i biglietti, fornitura di servizi di consulenza e relazioni funzionali, che vanno a definire una geografia dell'attività che è molto sbilanciata verso l'esterno più che verso l'interno. È difficilmente riconoscibile all'interno del percorso di visita, ma questo tipo di attività fagocita una misura non piccola dell'energia del Museo e dà l'idea del fatto che questa istituzione sia diventata anche un punto di riferimento riconosciuto per il territorio e alla quale ci si ci si rivolge per donazioni, consulenze, attività di aiuto nell'identificare siti storici a misura sempre maggiore.


Chiudo con una frase di Erri De Luca, uno scrittore che di storia e di storie ne ha raccontate molte nei suoi romanzi: “Non è vero che la storia è maestra di vita, se lo fosse noi saremmo i peggiori allievi perché ripetiamo continuamente gli stessi errori”. Come può rispondere chi si occupa quotidianamente di storia e memoria a questa critica al celebre motto “Historia magistra vitae”?


FF: Non si può rispondere a questa critica semplicemente perché non sempre la storia è maestra di vita. Piuttosto mi preme segnalare un elemento legato all’attività del Museo e connesso al suo nome. Noi ci chiamiamo Museo Storico Italiano della Guerra una denominazione che è molto forte e legata ad aspetti di mantenimento tradizionale di un’identità, in realtà produce un forte pregiudizio negativo da parte dei visitatori, che si approcciano all’istituzione museale immaginando di entrare in un luogo polveroso e vetusto, ripieno di memorie patrie e che in realtà ne escono trasformati attraverso l’esperienza di vista che è la sommatoria di stimoli tra loro molto diversi. Questo pregiudizio negativo dice in realtà molto della funzione dei musei, perché se per certi versi inibisce la fruizione pubblica degli spazi, dall’altra va a sottolineare il fatto che è nata una coscienza collettiva che interpreta i conflitti come un qualcosa di negativo, da visitare e vedere con repulsione o addirittura da non visitare. Questo ci lascia pensare che in molti casi la storia è maestra di vita, ed è evidente che il museo impatta sui suoi pubblici favorendo questa coscienza critica con le sue attività espositive, convegnistiche e di alta divulgazione. Ci sono amplissimi settori della società che ad esempio non fruiscono di questi servizi o oppure delle letture molto buone che la storiografia propone e che rimangono al di fuori del circuito dell’educazione permanente e delle riflessioni che sono connesse a tutto a tutto ciò.  Dal punto di vista del professionista museale noi possiamo testimoniare come l’esperienza di visita sia in realtà anche un percorso interiore che stimola quesiti e domande non scontate e che produce dopo degli output di medio periodo in termini di benessere collettivo.


Grazie mille per il vostro tempo e per il vostro lavoro, che attraverso la storia e il vostro modo di fare memoria ci sembra una bella risposta all'Obiettivo 16 dell'Agenda 2030: “Promuovere società pacifiche e inclusive orientate allo sviluppo sostenibile, capaci di garantire a tutti l’accesso alla giustizia e di costruire istituzioni efficaci, responsabili e inclusive a tutti i livelli”.


AP: Proprio in questa direzione va una delle nostre prossime iniziative. L’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo e Montura hanno lanciano la nuova edizione di WARS, il concorso fotografico internazionale nato da un’idea di Fabio Bucciarelli – che ne è il direttore artistico – e Raffaele Crocco, direttore responsabile dell’Atlante.  Partecipano fotografi di qualsiasi nazionalità ed età. Il tema sono le guerre e conflitti del Pianeta. Non solo intese come combattimento, ma cercandone le cause, le ragioni.  Al centro la fotografia come strumento fondamentale per informare, per raccontare quello che non va nel mondo, in termini di mancanza di diritti, di disuguaglianze, di guerre. Soprattutto, la fotografia è un essenziale elemento di raccordo fra cronaca, attualità e storia. Per questa ragione, è nata la collaborazione con il Museo della Guerra di Rovereto: per la voglia di voler raccontare la guerra come elemento drammatico di continuità nella nostra storia umana. Il vincitore o la vincitrice di questa terza edizione verranno proclamati il prossimo 6 settembre a palazzo Ducale, a Mantova, nel corso del Festival della Letteratura.  Il 6 settembre, nello stesso palazzo, verrà inaugurata l’anteprima della mostra fotografica dedicata ai tre finalisti della terza edizione di WARS. La stessa mostra sarà in programma dal 16 settembre al 22 ottobre - in prima nazionale - al Museo della Guerra di Rovereto.


Alessandro Graziadei


Articolo uscito anche su Abitarelaterra.org


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