Solo in Italia, calcolando le alluvioni che hanno causato delle vittime, potremmo facilmente ricordare quella in Emilia-Romagna e nelle Marche settentrionali il 16 e 17 maggio 2023 con 15 morti, anticipata da quella in Emilia Romangna il 3 e 4 maggio con 2 morti, a Ischia il 26 novembre dello scorso anno con 12 morti, nelle Marche e in Umbria con 13 morti il 15 e 16 settembre del 2002, a Catania e Siracusa con altri 3 morti tra il 24 e il 29 ottobre sempre del 2022… Potremmo andare avanti a lungo con questa tragica contabilità di morti e danni milionari nel Belpaese perché secondo una recente ricerca dell’Università di Padova “L'Italia è più esposta di molti paesi europei al rischio alluvioni per via del suo peculiare intreccio di caratteristiche meteo-climatiche, topografiche, morfologiche e geologiche, nel quale rientra anche il fatto che in caso di esondazioni l’acqua ha poco spazio per defluire. La spinta verso una forte espansione dei centri abitati e delle aree produttive e industriali che si è verificata negli ultimi decenni ha aggravato questa condizione di fragilità perché il consumo di suolo porta inevitabilmente a una riduzione dei terreni permeabili, quelli cioè che possono assorbire la pioggia. E parallelamente l’incremento delle aree urbanizzate, ha portato a un considerevole aumento dell’esposizione al rischio, in termini di beni e persone presenti in aree soggette a pericolosità per frane e alluvioni”. Secondo l’ultimo rapporto dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), poi, “Quasi il 94% dei comuni italiani è a rischio di frane, alluvioni ed erosione costiera e oltre 8 milioni di persone abitano nelle aree ad alta pericolosità per questo tipo di eventi. Se ci si focalizza sul rischio alluvioni la popolazione residente in aree a pericolosità idraulica elevata o media supera i 9 milioni di persone, a cui bisogna aggiungere oltre 12 milioni di persone che vivono in aree a pericolosità bassa".
Se si esce dai confini nazionali, poi, la Libia con l’uragano Daniel e l’alluvione che l’11settembre scorso ha provocato il crollo di due dighe con un bilancio ancora provvisorio di oltre 11.000 vittime confermate e circa 10.000 i dispersi nella città di Derna, abbiamo un quadro inequivocabile della gravità e della dimensione internazionale del problema. Abbiamo quindi, grazie al cambiamento climatico in atto e al nostro insostenibile ed inquinante stile di vita, dei seri problemi con l’acqua, che quando non è troppo poca e causa di gravi siccità, è troppa e arriva non solo da cielo, ma anche dal mare, con effetti altrettanto devastanti. Secondo lo studio “Coevolution of Extreme Sea Levels and Sea-Level Rise Under Global Warming”, pubblicato in luglio su Earth’s Future dell’ American Geophysical Union (AGU) da Hamed Moftakhari, Georgios Boumis e Hamid Moradkhani dell’Università dell’Alabama, infatti, “La maggior parte delle comunità costiere andrà incontro ogni anno a inondazioni centenarie entro la fine del secolo, anche in uno scenario moderato in cui le emissioni di anidride carbonica raggiungeranno il picco entro il 2040. E già nel 2050, le regioni di tutto il mondo potrebbero subire inondazioni importanti, in media ogni 9 – 15 anni”.
Un’alluvione secolare è un livello estremo dell’acqua che ha l’1% di probabilità di essere superata in un dato anno e si basa su dati storici. Nonostante il loro nome, le inondazioni "centenarie" possono colpire la stessa area per più anni consecutivi o non colpirla affatto nell’arco di un secolo. Ma il nuovo studio rileva che “In un clima più caldo, la soglia che prevediamo venga superata in media una volta ogni cento anni verrà superata molto più frequentemente fino a quando non saranno più considerati eventi centenari”. Per Moftakhari, Boumis e Moradkhani “Sulla costa, le inondazioni estreme possono essere causate dall’acqua spinta verso l’interno da tempeste, maree e onde, ma questo studio si concentra su un componente che contribuisce alle inondazioni su una scala temporale molto più lunga: l’innalzamento del livello del mare. Man mano che il mare più alto si avvicina alle coste, le infrastrutture costiere saranno più vicine all’acqua, aumentando le probabilità che tempeste, maree e onde abbiano un impatto sulle comunità”. Per condurre analisi dei trend e stimare i futuri livelli estremi del mare i ricercatori hanno utilizzato i dati provenienti da più di 300 misuratori di marea in tutto il mondo in due scenari di emissioni di carbonio delineati dall’International Panel on Climate Change (IPCC): con le emissioni di anidride carbonica che continueranno ad aumentare fino alla fine del secolo e con le emissioni di anidride carbonica che raggiungeranno il picco entro il 2040 per poi diminuire. “In entrambi gli scenari l’innalzamento del livello del mare porterà ad un aumento degli eventi di inondazioni su base centenaria nella maggior parte delle località studiate”.
Previsioni realistiche delle future condizioni costiere sono oggi indispensabili per un approccio proattivo alla pianificazione del territorio, allo sviluppo urbano e alle misure di protezione costiera che potrebbero aiutare le comunità a ridurre le inondazioni ed evitare i disastri. Oggi gli ingegneri che progettano strutture come dighe marine e frangiflutti per proteggere le comunità da queste inondazioni estreme si affidano ancora da un concetto noto come "stazionarietà" che prevedere i futuri livelli dell’acqua. Moftakhari fa notare che “Nella stazionarietà, presumiamo che i modelli che abbiamo osservato in passato rimarranno invariati in futuro, ma ci sono molti fattori legati al cambiamento climatico che stanno modulando questi modelli. Non possiamo più presumere la stazionarietà delle inondazioni costiere”. Utilizzando parametri non stazionari lo studio ha scoperto che lo spostamento dei livelli estremi del mare non sarà uniforme. All’AGU sottolineano che oggi “Il cambiamento climatico, l’aumento delle temperature oceaniche e l’acqua di fusione dei ghiacciai stanno causando l’innalzamento del livello del mare, aumentando la frequenza e la gravità delle inondazioni costiere. Di conseguenza, gli ingegneri hanno bisogno di stime accurate del futuro rischio di inondazioni che non presuppongano che il nostro futuro in evoluzione rifletterà i modelli costieri storici”. Per questo la maggior parte degli strumenti, delle linee guida di progettazione, dei manuali pratici che si basano sul presupposto della stazionarietà devono essere aggiornati per permetterci di tenere il passo con gli effetti del cambiamento climatico.
Secondo l’autorevole e documentato “Future Coastal Population Growth and Exposure to Sea-Level Rise and Coastal Flooding – A Global Assessment”, pubblicato nel 2015 su Plos One da un team di ricercatori delle università di Kiel e di Southampton, più di 600 milioni di persone vivono in regioni costiere basse e sono a rischio della loro stessa vita, oltre che dei loro beni materiali. Le strutture di difesa costiera, se ben progettate, svolgono ancora un ruolo importante nella capacità delle comunità costiere di resistere a gravi inondazioni, ma purtroppo in futuro non sarà sempre così e le comunità costiere avranno bisogno di soluzioni nuove e uniche basate sulle informazioni locali e non più sulla stazionarietà. Moftakhari però resta ottimista: “I disastri sono il risultato del processo decisionale umano, non solo dei rischi. Non dimentichiamo che tutto dipende dal livello dell’acqua che ci aspettiamo di trovare senza misure di mitigazione. Ci saranno progressi tecnologici che potrebbero migliorare la resilienza delle comunità”. Lo speriamo, ma sapere che il futuro di molte comunità costiere sarà il risultato del processo decisionale di certa politica non tranquillizza.
Alessandro Graziadei
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