L’India, che dal 19 aprile è tornata al voto con ottantadue giornate elettorali e il coinvolgimento di quasi un miliardo di elettori, ha intenzione di spendere quasi 3,7 miliardi di dollari per costruire, nell’arco di dieci anni, una recinzione lungo il confine con il Myanmar. Per Delhi il muro, che verrà costruito lungo tutti i 1.610 km della frontiera, dovrebbe servire a mettere un freno a una serie di attività illegali, ma soprattutto dovrebbe bloccare la popolazione migrante in fuga dal conflitto civile birmano. Da quando l’esercito birmano ha preso il potere nel febbraio 2021 con un colpo di Stato, migliaia di persone sono scappate dai combattimenti cercando rifugio anche all’estero. Le popolazioni che si trovano nelle aree di confine tra India e Myanmar spesso condividono legami etnici, ma Delhi teme che un ulteriore afflusso di profughi possa destabilizzare gli equilibri intracomunitari degli Stati nord-orientali indiani. Lo scorso anno, infatti, nello Stato del Manipur sono scoppiate violenze tra le tribù Kuki e Meitei e ancora oggi la situazione non può dirsi pacificata. Le autorità locali avevano incolpato delle violenze la porosità del confine che ha permesso un facile accesso ai migranti in fuga dalla guerra provenienti dal Myanmar. Per questo insieme alla costruzione della recinzione verrà momentaneamente abolita la politica di libera circolazione tra India e Myanmar.
La notizia era arrivata in gennaio, ma solo da fine marzo ha preso concretezza ed è stata ufficialmente diffusa dal Governo indiano dopo che un comitato governativo ha approvato il budget dell'opera, a cui ora manca solo l’avallo dell’esecutivo guidato da Narendra Modi. Il comitato governativo indiano che ha approvato la spesa di costruzione del muro ha concordato di costruire anche una serie di strade parallele e secondarie che colleghino alcune delle principali basi militari indiane al confine. A causa del terreno collinare e dell’impiego di tecnologia avanzata, la recinzione e la strada adiacente costeranno quasi 125 milioni di rupie (1,5 milioni di dollari) al chilometro, una cifra enorme, se si considera che la recinzione costruita al confine con il Bangladesh nel 2020 era costata "solo" 55 milioni di rupie al chilometro. La blindatura del confine si aggiunge a quella di circa 70 chilometri già in fase di realizzazione sempre lungo il confine che separa lo Stato nord-orientale del Manipur dal Myanmar. I gruppi di attivisti per i diritti umani indiani hanno però sottolineato i rapporti ambigui che legano il loro Governo al regime birmano, al quale vendono regolarmente da anni armamenti, ed hanno espresso preoccupazione, perché la misura rischia di bloccare migliaia di civili in fuga dai bombardamenti dell’esercito, che da quando con un golpe ha preso il potere spodestando il governo guidato da Aung San Suu Kyi, ha avviato un brutale conflitto civile contro le milizie della resistenza, formate da gruppi eterogenei di combattenti appartenenti alle diverse etnie del Paese (ben raccontato dall'Atlante delle guerre e dei conflitti del Mondo).
Come sul delicato confine con la Thailandia a farne le spese, come sempre sono i civili. In base a un rapporto del relatore speciale delle Nazioni unite per il Myanmar, Tom Andrews, pubblicato a maggio del 2023, l'India è il quarto Paese, dopo Russia, Cina e Singapore, ad aver fornito armi al regime militare birmano, ma Modi non sembra essere interessato ad avere a che fare con le conseguenze dirette dei propri commerci, come a dire i migranti no, ma le armi sì. Negli scorsi mesi, in particolare nella regione birmana settentrionale del Sagaing e nel vicino Stato occidentale Chin, in cui la popolazione è in prevalenza cristiana, più di 10mila persone hanno abbandonato le loro case dopo che i soldati hanno fatto irruzione nei villaggi delle municipalità locali, anticipati dai bombardamenti dell’aeronautica. Alcuni villaggi stanno venendo ciclicamente riconquistati dall’esercito e poi dalle milizie e viceversa e in diverse occasioni le truppe dell’esercito birmano hanno circondato campi e abitazioni con mine antiuomo per impedire il ritorno dei civili e fiaccare il sostegno della popolazione locale alle milizie della resistenza. Così mentre gli sfollati interni sono arrivati a circa due milioni di persone, migliaia di civili birmani hanno trovato riparo all’estero, in particolare in Thailandia, sul lato est del Paese, e in India a ovest. Si stima che dal golpe di più di tre anni fa circa 60mila persone siano fuggite verso gli Stati indiani nord-orientali del Mizoram e del Manipur, ma mentre il primo sta accogliendo i profughi, il secondo li sta respingendo. La questione ha a che fare con la composizione etnica della popolazione del nord-est dell’India, una regione anche geograficamente separata dal resto della nazione. Nel Mizoram, infatti, vivono in prevalenza popolazioni di etnia Kuki e di fede cristiana, molto simili ai Chin birmani che fuggono dal Myanmar. La situazione si ribalta invece nel Manipur, dove la maggior parte della popolazione è composta da Meitei, perlopiù indù, che formano il 53% della popolazione. Da mesi, però, il governo indiano locale del Manipur sostiene che l’afflusso di profughi birmani dal confine abbia causato anche un aumento del commercio illegale di armi e di droga, per questo vuole impedire a tutti i costi il passaggio di altri rifugiati, mentre le milizie Chin del Myanmar dichiarano di di aver aiutato le forze dell’ordine indiane ad arrestare alcuni trafficanti di persone e di droga.
È l'ennesimo confine critico per l'India, che in marzo ha avuto frizioni anche con la Cina dopo l'inaugurazione da parte di Modi, il 9 marzo scorso, del tunnel stradale di Sela ai piedi dell’Himalaya. La nuova struttura completa un progetto di importanza strategica iniziato nel 2019 e scavato per 12 km sotto il passo di "Sela", che si trova a 4.200 metri di altezza e collega il distretto indiano di Tawang con il resto dell'Arunachal Pradesh. La zona è importante soprattutto dal punto di vista strategico: la mancanza di strade percorribili e di collegamenti ferroviari nell'Arunachal Pradesh è stata sempre considerata un netto svantaggio per l'India nei confronti della Cina lungo questo confine. Ma negli ultimi anni, il governo Modi ha investito molto nelle infrastrutture del nord-est, con la creazione di nuovi aeroporti, collegamenti ferroviari e strade carrabili come questa. La reazione di Pechino non si è fatta attendere: il portavoce del ministero degli Esteri cinese Wang Wenbin ha riferito che il suo Governo ha protestato ufficialmente con New Delhi visto che “L'area di Zangnan è territorio cinese” ha commentato citando il nome con cui Pechino indica l’Arunachal Pradesh. “La questione dei confini tra Cina e India qui non è ancora stata risolta - ha aggiunto Wenbin -. L'India non ha il diritto di sviluppare arbitrariamente l'area di Zangnan in Cina. Le mosse dell'India non faranno altro che complicare la questione dei confini e sconvolgere la situazione nelle zone di confine tra i due Paesi”. Per chi vincerà queste elezioni si prospetta un anno critico lungo i confini indiani.
Alessandro Graziadei
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