sabato 4 maggio 2024

Il cambio di paradigma è (ancora) la decrescita felice?

 

Negli ultimi 100 anni i segni vitali della Terra sono peggiorati al punto da mettere in pericolo la vita sul pianeta. In particolare l’Europa è oggi il continente che si riscalda più rapidamente, con temperature che aumentano di circa il doppio del tasso medio globale, tanto che nel 2023 le temperature del Vecchio Continente sono state superiori alla media per undici mesi, con il settembre più caldo mai registrato. A certificarlo l’annuale Rapporto sullo stato europeo del clima pubblicato la scorsa settimana dal Servizio per il Cambiamento Climatico del programma di osservazione della Terra Copernicus insieme all’Organizzazione Meteorologica Mondiale. Per i ricercatori di Copernicus "L’innalzamento delle temperature europee rispetto all’era preindustriale (prima delle imponenti emissioni di gas serra) è di 1,65°C, superiore quindi alla media globale che al momento è di circa 1,45°C". Le temperature in crescita soprattutto di mari e oceani che incidono sul Continente, oltre ad avere un impatto devastante sulla biodiversità marina, sono particolarmente preoccupanti, "Perché hanno amplificato il verificarsi e la gravità di eventi meteorologici estremi". La mortalità legata al caldo poi "È aumentata di circa il 30% e si stima che i decessi legati al caldo siano aumentati nel 94% delle regioni europee monitorate". Alla luce anche delle perdite economiche dovute al cambiamento climatico e ai drammatici impatti sulla salute dello stress da caldo per i ricercatori è evidente  "La necessità che l’Europa diventi neutrale dal punto di vista climatico e resiliente al clima e acceleri la transizione verso l’energia pulita e l’adozione delle energie rinnovabili e delle misure di efficienza energetica". Ma come, se gli obiettivi dell’Accordo di Parigi chiedevano di restare ben al di sotto di 2°C, possibilmente 1,5°C, e a livello globale nel Vecchio Continente siamo quindi già oltre questo limite? Esiste un percorso attraverso il quale l’umanità può evitare le criticità ecologiche e sociali innescate dal cambiamento climatico? 


La risposta è sì, ed una è quella indicata nello studio “An environmental and socially just climate mitigation pathway for a planet in peril”, pubblicato a gennaio su Environmental Research Letters da un gruppo internazionale di 12 scienziati statunitensi, olandesi e australiani guidati dall’Oregon State University (OSU) che ha utilizzato dati risalenti fino a 500 anni fa per delineare un nuovo percorso “riparatore”. Un “cambio di paradigma” che può supportare la modellizzazione e la discussione sul clima fornendo alla politica una serie di indicazioni e di azioni che possono favorire la giustizia sociale ed economica, nonché la sostenibilità ambientale. Per William Ripple e Christopher Wolf, i due principali autori dello studio, “Il nostro scenario dovrebbe essere incluso nei modelli climatici insieme ai cinque “shared socioeconomic pathways” o SSP utilizzati dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) dell’Onu”. “Comprendiamo che lo scenario da noi proposto - ha spiegato Ripple - potrebbe rappresentare una grande sfida da implementare, dati gli attuali trend delle emissioni, la mancanza di volontà politica e il diffuso rifiuto sociale, ma i suoi meriti non possono nemmeno essere dibattuti onestamente se non viene incluso nella opzioni di cambiamento possibili”. Per gli scienziati è necessario “Ottenere un cambiamento massiccio attraverso piccoli passi a breve termine in alcuni campi, fornendo un contrasto più radicale rispetto a molti altri scenari climatici".Come?


Per gli autori dello studio i dati raccolti sottolineano l’urgente necessità di agire immediatamente: “La crescita della popolazione umana, del prodotto interno lordo e del consumo energetico, che dipende principalmente dai combustibili fossili, hanno portato a uno straordinario aumento delle emissioni di gas serra, alterando drasticamente l’utilizzo del territorio e innescando un massiccio declino della biodiversità”. Fino ad oggi la ricerca internazionale ha analizzato a lungo termine una serie di variabili: emissioni di combustibili fossili, popolazione umana, PIL, uso del suolo, concentrazioni di gas serra, temperatura globale, abbondanza di specie selvatiche di vertebrati, disuguaglianza di reddito e produzione di carne, tutte responsabili dei profondi cambiamenti che la Terra ha subito. Questa modellizzazione del cambiamento climatico si basa su molteplici ipotesi e fattori legati alle opzioni politiche e agli sviluppi sociali che vengono utilizzati per ricavare scenari di emissioni di gas serra nell’ambito di diversi insiemi di politiche che presuppongono sempre una crescita continua e significativa del PIL fino al 2100. Per Wolf queste opzioni che descrivono sviluppi plausibili che in futuro porterebbero a diverse sfide per la mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico “Si basano su narrazioni che descrivono sviluppi socioeconomici alternativi, alcuni più sostenibili di altri”, ma non sono mai risolutive. “Il nostro scenario si concentra sulla riduzione del consumo di risorse primarie a un livello che mantenga le pressioni ambientali entro i limiti del pianeta, con una stabilizzazione del PIL pro capite nel tempo” ha spiegato Wolf.


Insomma a 20'anni dalla teorizzazione della “decrescita felice” da parte di Serge Latouche l'unica via per un cambio di paradigma salvifico per uomo e ambiente sembra essere ancora una riproposizione di questa teoria. A differenza di alcuni degli attuali percorsi socioeconomici condivisi, il percorso riparativo, infatti, non si basa sullo sviluppo delle contestate, sperimentali e costose  tecnologie di cattura del carbonio, né presuppone una crescita economica continua. Dando priorità ad un cambiamento sociale che ridimensioni la forbice tra ricchi e poveri su larga scala, il percorso politico ed economico proposto è una decrescita capace di limitare il riscaldamento in modo molto più efficace rispetto ai percorsi che supportano l’aumento del consumo di risorse da parte delle nazioni ricche. “Il nostro obiettivo è piegare le curve su un’ampia gamma di segni vitali planetari con una visione olistica per affrontare il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità e l’ingiustizia socioeconomica. Il nostro lavoro presenta un esempio di come l’umanità può intraprendere il viaggio per salvare il mondo da queste crisi ambientali e sociali” hanno spiegato gli autori. 


Per Ripple occorre, quindi,  iniziare dalla distribuzione della ricchezza all'interno delle comunità locali e a livello planetario e fa notare come “La disuguaglianza economica globale nel lungo termine sia fortemente legata al declino dei parametri vitali della Terra". Solo con politiche tese al “Benessere sociale e alla qualità della vita; uguaglianza e alti livelli di istruzione per ragazze e donne, con conseguenti bassi tassi di fertilità e standard di vita più elevati; e una rapida transizione verso le energie rinnovabili si può parlare di un percorso riparativo e di un mondo più equo e resiliente", capace di fare della solidarietà sociale, della cooperazione internazionale, dell'economia circolare e della conservazione della natura le soluzioni per una mitigazione climatica naturale.


Alessandro Graziadei

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