sabato 25 maggio 2024

Gli impollinatori soffrono

Gli impollinatori soffrono. Sempre più api e insetti come bombi, farfalle, coccinelle sono vittime dei pesticidi utilizzati in agricoltura. Sappiamo da anni che il cambiamento climatico e il conseguente superamento dei “Limiti termici critici”, cioè le soglie che delimitano le temperature che un animale può sopportare, è sempre più frequente e sta mettendo in pericolo più di una specie. Nel 2023 un autorevole studio pubblicato su Nature e condotto da una squadra di ricercatori guidati dalla dott.ssa Hester Weaving della School of Biological Sciences dell’Università di Bristol ha analizzato 102 specie di insetti per capire come essi possano adattare i propri limiti termici critici per sopravvivere a temperature estreme: i risultati hanno messo in luce una scarsa capacità di resilienza che li rende particolarmente vulnerabili al cambiamento climatico. Lo studio (qui approfondito) ci ricordava le profonde conseguenze che potrebbe avere sulla nostra vita sia la perdita delle preziose funzioni ecologiche che molte di queste specie di insetti hanno per la nostra esistenza, sia la possibilità non così remota che il movimento di alcune specie verso zone più favorevoli crei uno squilibrio negli ecosistemi che conosciamo. Qualche anno prima uno studio pubblicatosu Nature Ecology and Evolution (qui approfondito) ricordava gli analoghi rischi dell’inquinamento luminoso sulla fisiologia, l’attività quotidiana e la storia evolutiva degli insetti. Secondo il team di ricerca guidato dal professor Kevin Gaston, l’illuminazione artificiale del pianeta cresce in termini di portata e di intensità con una percentuale del 2% ogni anno, con impatti negativi di varia naturaaltera i livelli ormonali e i cicli riproduttivi di molte specie animali, ne modifica i comportamenti e la resistenza agli attacchi dei predatori, riduce la presenza di melatonina (responsabile della regolazione dei cicli sonno/veglia) e soprattutto limita la capacità di impollinazione degli insetti. Adesso è certo che oltre a pesticidi, cambiamento climatico e inquinamento luminoso anche quello dell'aria minaccia gli impollinatori.


Lo studio “Olfaction in the Anthropocene: NO3 negatively affects floral scent and nocturnal pollination”, pubblicato lo scorso 8 febbraio su Science da un team di ricercatori statunitensi guidato dal biologo Jeff Riffell e dal professore di scienze atmosferiche Joel Thornton dell’University of Washington (UW) ha scoperto che “I radicali nitrati (NO3) presenti nell’aria degradano le sostanze chimiche profumate rilasciate da un comune fiore selvatico, riducendo drasticamente i segnali basati sul profumo su cui fanno affidamento gli impollinatori notturni per individuare il fiore”. In atmosfera l’NO3 è prodotto da reazioni chimiche tra gli altri ossidi di azoto, che a loro volta vengono rilasciati dalla combustione di combustibili fossili provenienti da automobili, centrali elettriche e altre fonti, creando una catena di reazioni chimiche che degradano gli stimoli olfattivi, lasciando molti fiori non rilevabili dall’olfatto degli insetti. Per i ricercatori “L’inquinamento probabilmente ha un impatto mondiale sull’impollinazione” e le falene in particolare, che annusano attraverso le loro antenne e hanno una capacità di rilevamento degli odori più o meno equivalente a quella dei cani e diverse migliaia di volte superiore all’olfatto umano, davanti ad elevate concentrazioni di NO3 nell'aria hanno più difficoltà a trovare i fiori. I ricercatori usando una galleria del vento e un sistema di stimolazione degli odori controllato dal computer, hanno visto che la capacità di due specie di falene - la sfinge foderata di bianco (Hyles lineata) e la sfinge del tabacco (Manduca sexta) - di individuare i profumi e volare verso la fonte dell’odore è immediata senza NO3 nell'aria e scende del 50% quando è presente questo inquinante.


Anche alcuni esperimenti in un ambiente naturale hanno confermato questi risultati: “Le falene visitavano un fiore finto che emetteva un profumo inalterato tanto spesso quanto ne visitavano uno vero, ma, se trattavano prima l’odore con NO3, i livelli di visita delle falene diminuivano fino al 70%”. Per Riffel questo significa che “L’NO3 sta davvero riducendo la “portata” di un fiore: quanto lontano il suo profumo può viaggiare e attirare un impollinatore prima che si decomponga e diventi non rilevabile”. Il team di ricercatori ha anche confrontato l’impatto dell’inquinamento diurno e notturno sulle sostanze chimiche profumate dei fiori selvatici rilevando che “L’inquinamento notturno ha avuto un effetto molto più distruttivo sulla composizione chimica del profumo rispetto all’inquinamento diurno. Riteniamo che questo sia in gran parte dovuto alla luce solare che degrada l’NO3”. I ricercatori sperano adesso che il loro studio sia solo il primo di molti che aiutino a scoprire la portata delle difficoltà degli impollinatori: “Il nostro approccio potrebbe servire come roadmap per altri per indagare su come gli inquinanti incidono sulle interazioni pianta-impollinatore e per arrivare davvero ai meccanismi sottostanti. Questo tipo di approccio olistico è necessario, soprattutto se si vuole capire quanto sia diffusa la rottura delle interazioni pianta-impollinatore e quali saranno le conseguenze”. Ora che sappiamo che l’inquinamento causato dalle attività umane sta alterando la composizione chimica dei segnali olfattivi essenziali, alterandola a tal punto che gli impollinatori non riescono più a riconoscerlo e a rispondervi, appare chiaro che i pericoli dell’inquinamento sul futuro dall’agricoltura sono enormi, visto che circa tre quarti delle oltre 240.000 specie di piante da fiore e frutto coltivate si affidano agli impollinatori. Come se non bastasse più di 70 specie di impollinatori sono in pericolo o minacciate dal cambiamento climatico, inquinamento luminoso e dall'uso e l'abuso di pesticidi.


Alessandro Graziadei

 

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