martedì 7 maggio 2024

Guerre e clima aumentano la fame nel Mondo

Secondo il nuovo e recente aggiornamento del Global Report on Food Crises (GRFC), pubblicato dal  Global Network Against Food Crises (GNAFC) e dal Food Security Information Network (FSIN) “Quasi 282 milioni di persone in 59 Paesi e Territori hanno sperimentato alti livelli di fame acuta nel 2023: un aumento mondiale di 24 milioni rispetto all’anno scorso. Questo aumento del 9% è dovuto alla maggiore copertura dei contesti di crisi alimentare e al forte deterioramento della sicurezza alimentare, soprattutto nella Striscia di Gaza, in Sudan e ad Haiti”. Per 4 anni consecutivi, la percentuale di persone che affrontano l'insicurezza alimentare acuta è rimasta elevata, superando significativamente i livelli pre-Covid-19. “I bambini e le donne sono in prima linea in queste crisi alimentari, con oltre 36 milioni di bambini sotto i 5 anni di età gravemente malnutriti in 32 Paesi”, ma nel corso del 2023 la malnutrizione acuta è addirittura peggiorata, in particolare tra le persone sfollate a causa di conflitti e crisi climatiche. Il rapporto denuncia che “Nel 2023, più di 705.000 persone si trovavano al livello di insicurezza alimentare Catastrophe (IPC/CH Fase 5) e a rischio di morire di fame”, è la cifra più alta nella storia dei report del GRFC ed è quadruplicata dal 2016. Come mai? Il rapporto evidenzia che “L’intensificarsi dei conflitti, gli impatti degli shock economici e gli effetti degli eventi meteorologici estremi dovuti ai cambiamenti climatici continuano ad essere le principali cause della grave insicurezza alimentare”, tutti fattori che portano anche a massicci spostamenti di popolazioni a livello globale.

 

Il report ricorda così che “Nel 2023, il mondo ha vissuto il suo anno più caldo mai registrato e gli shock legati al clima hanno avuto un impatto sulle popolazioni, con episodi di gravi inondazioni, tempeste, siccità, incendi ed epidemie di parassiti e malattie”. Infatti, se la guerra rimane il principale fattore che colpisce 20 Paesi con quasi 135 milioni di persone in condizioni di insicurezza alimentare acuta (quasi la metà del numero globale), gli eventi meteorologici estremi causati dal cambiamento climatico sono stati i principali fattori scatenanti dell’insicurezza alimentare in 18 Paesi, nei quali oltre 77 milioni di persone hanno dovuto affrontare la fame acuta. Secondo GRFC e FSIN “Affrontare le crisi alimentari persistenti richiede investimenti urgenti a lungo termine a livello nazionale e internazionale per trasformare i sistemi alimentari e stimolare lo sviluppo agricolo e rurale, oltre a una maggiore preparazione alle crisi e un’assistenza salvavita fondamentale su larga scala, dove le persone ne hanno più bisogno. La pace e la mitigazione climatica devono inoltre diventare parte integrante della trasformazione a lungo termine dei sistemi alimentari. Senza questo, le persone continueranno ad affrontare una vita di fame e i più vulnerabili moriranno di fame”. Appare chiaro che una governance economica globale più equa ed efficace è imperativa e deve essere accompagnata da piani guidati dai governi che mirano a ridurre e porre fine alla fame. Per invertire la tendenza verso la crescente insicurezza alimentare acuta, la comunità internazionale ha assunto una serie di impegni coraggiosi, anche attraverso le recenti iniziative del G7 e del G20, ma il GNAFC chiede urgentemente “Un approccio trasformativo che integri la pace, la prevenzione e l’azione per lo sviluppo insieme agli sforzi economici contro l'emergenza su vasta scala per spezzare il ciclo della fame acuta che rimane a livelli inaccettabilmente elevati”.


Intanto l'ultimo report del Potsdam Institute for Climate Impact Research (PIK) ci ricorda che l'aumento della temperatura media globale provocherà impatti su quasi tutti i settori produttivi e nel caso specifico dei beni alimentari, la pressione potrebbe essere tale da provocare un forte aumento dei prezzi e l'inflazione nel comparto potrebbe essere pari al 3,2% all'anno, da qui al 2035. Per giungere a queste conclusioni, gli autori dell'analisi hanno esaminato il modo in cui alcune delle conseguenze del riscaldamento globale a partire dalle ondate di caldo fino ad arrivare alle piogge torrenziali abbiano inciso sull'inflazione in passato. Secondo il rapporto, un aumento di 1 grado Celsius della temperatura media mensile ha un impatto sui prezzi fino a un anno, proprio come un eccesso di pioggia. Per questo per Max Kotz, uno degli autori dello studio, “Esaminando oltre 27mila dati storici, abbiamo scoperto che l'aumento delle temperature può far crescere i prezzi dei beni alimentari, in particolare nelle regioni e nelle stagioni più calde. Tenuto conto delle condizioni climatiche future, questi impatti potrebbero diventare consistenti, incidendo di 1-3 punti percentuali all'anno sull'inflazione alimentare entro il 2035, rendendo difficile mantenere la stabilità dei prezzi per le banche centrali”, come nel caso della BCE, che punta a mantenere l'inflazione al di sotto del 2%. Secondo gli analisti del PIK l'inflazione a livello globale potrebbe risultare in media dello 0,32-1,18% all'anno, trainata proprio dai prezzi del comparto alimentare, la cui instabilità rappresenta una minaccia per il benessere economico, così come per la stabilità politica. Un esempio? “L'aumento dei prezzi del biennio 2021-2022, che ha spinto altri 71 milioni di persone al di sotto delle soglie di povertà in tutto il mondo, secondo le Nazioni Unite”.


Per Kotz tale pressione sull'inflazione non riguarderà soltanto le nazioni più povere della Terra: “Al contrario, colpirà sia i Paesi più avanzati sia quelli che lo sono meno. Tuttavia, lo farà in modo proporzionale all'aumento delle temperature. Per questo sono le regioni più calde e a latitudini più basse, ad essere più esposte poiché qui gli impatti persistono più a lungo durante l'anno”. Lo studio indica perciò in particolare l'Africa e l'America Latina come le macro-aree che saranno maggiormente interessate. Alle alte latitudini, invece, si registrerà una forte stagionalità, con i momenti più complicati concentrati nei mesi estivi. In ogni caso l’aumento, per il quinto anno consecutivo, del numero di persone che vivono condizioni di grave insicurezza alimentare conferma l’enormità della sfida di raggiungere l’obiettivo Fame Zero entro il 2030. Oltre all’intensificarsi dei conflitti, delle disuguaglianze e della crisi climatica, che rappresentano le cause da rimuovere, la diminuzione degli aiuti umanitari e l’aumento dei costi dei generi alimentari rappresentano un’ulteriore minaccia, che ha già portato a una riduzione del numero delle persone aiutate e delle quantità di aiuti alimentari destinati alle popolazioni in condizioni di insicurezza alimentare.


Alessandro Graziadei

 

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