Il caso di Gao Zhisheng è fra i casi più celebri e documentati di sparizione forzata e prolungata, in cui il governo cinese viola apertamente il diritto internazionale. Il 20 aprile scorso Gao ha compiuto 60 anni, gli ultimi sette dei quali trascorsi in una cella cinese di uno sconosciuto carcere, “isolato” dal mondo esterno e dalla famiglia, che dal 2017 non ha più alcuna notizia di lui e non conosce l'attuale luogo di prigionia. A ricordare nelle scorse settimane la drammatica vicenda di questo avvocato e attivista cinese pro-diritti umani (in passato vittima di torture e abusi da parte dei suoi carcerieri) è stata la moglie Geng He, che in una lettera appello ha chiesto per l'ennesima volta, senza ottenere risposta, alle autorità di Pechino il rilascio immediato del marito. Gao proviene da una famiglia povera e proprio le condizioni di indigenza e il lavoro minorile che ha dovuto subire da giovane lo hanno convinto ad intraprendere gli studi di avvocato da auto-didatta, superando nel 1995 l’esame di abilitazione alla professione forense che lo ha portato a praticare l’avvocatura all'età di 32 anni. Le prime cause che Gao ha affrontato riguardavano l’assistenza legale di gruppi di minoranze vulnerabili (come lavoratori migranti e persone perseguitate dalle autorità per la loro religione), un lavoro che lo ha portato a diventare il leader di un importante movimento di difesa dei diritti umani e nel 2001 ad essere nominato fra i “Dieci avvocati di spicco” del Paese dal ministero cinese della Giustizia (un paradosso). Nel 2006 la “simpatia” verso il suo impegno da parte di Pechino svanisce e viene condannato una prima volta a tre anni di carcere per “incitamento alla sovversione del potere statale”. Rilasciato sulla parola, tra il 2007 e il 2011 è stato ripetutamente fatto sparire con la forza e torturato dalla polizia e dal 13 agosto 2017 risulta essere a tutti gli effetti fra le tante vittime cinesi di “sparizioni forzate” in patria.
Nonostante le ripetute richieste e gli appelli delle Nazioni Unite, degli attivisti per i diritti umani e della moglie, Pechino non ha mai fornito alcuna informazione sul destino di Gao Zhisheng, nemmeno le notizie basilari come il luogo in cui è detenuto nonostante la sua vicenda sia ormai fra i casi più celebri e documentati di sparizione forzata e prolungata in cui il governo cinese viola apertamente il diritto internazionale. Fra quanti seguono da tempo la vicenda c'è anche l’ong ChinaAid che ha fatto proprio l'appello della moglie chiedendo al Governo il rilascio incondizionato di Gao Zhisheng per un principio basilare dei diritti umani: “Consentire a Geng He e agli altri membri della famiglia di fargli visita o di comunicare con lui tramite videochat e fornire informazioni dettagliate sulle sue condizioni di salute”. Purtroppo non solo gli attivisti come Gao Zhisheng, ma anche bambini nella Repubblica popolare cinese diventano spesso vittime della repressione del dissenso interno, come ha dimostrato il rapporto “Se disobbedisco anche la mia famiglia soffrirà” diffuso lo scorso 15 aprile da Chinese Human Rights Defenders (Chrd), una coalizione di ong che si occupano della difesa dei diritti umani in Cina. L’indagine ha raccolto tutte le notizie disponibili nel 2023 relative alle forme di punizione collettiva che colpiscono in Cina le famiglie di quanti si sono esposti nella battaglia per le libertà e accanto agli arresti di coniugi o alle separazioni forzate tra membri della stessa famiglia, a colpire sono soprattutto una serie di forme di intimidazione che prendono di mira in maniera diretta anche i figli dei dissidenti. È il caso di He Fengmei, una donna incarcerata per le sue proteste contro i vaccini cinesi anti-Covid, ritenuti non sicuri. Lei e suo marito sono stati arrestati nell'ottobre 2020 e rinchiusi assieme al figlio di 6 anni e alla figlia di 4 anni all'interno dell'Henan Xinxiang Gongji Psychiatric. Al momento dell'arresto He era incinta di cinque mesi e un mese dopo il parto è stata trasferita nel centro di detenzione di Xinxiang, separata dalla neonata. Attualmente il figlio è stato dato in affidamento, senza il consenso dei genitori e le due bambine, invece, sono ancora nell'ospedale psichiatrico nonostante le suppliche dei parenti di affidarle alle loro cure.
Un altro caso eclatante è quello dei quattro figli dell'attivista-artista Wang Zang, in carcere dal 2020, e della moglie, anche lei detenuta tra il 2020 e il 2022. Dopo il suo rilascio il 16 dicembre 2022, i bambini sono tornati con la madre, ma non sembrano essere finite le intimidazioni visto che la polizia di Chuxiong ha intimato alla donna di smettere di utilizzare i social media per ricordare il marito incarcerato se non vuole correre il rischio di vedere finire i suoi figli in un orfanotrofio. Anche il figlio dell'avvocato per i diritti umani Wang Quanzhang, rilasciato dal carcere nel giugno 2020 e oggi ancora sottoposto a rigidissime misure di sorveglianza, subisce le angherie di Pechino. Secondo fonti di AsiaNews nell'ottobre scorso il bambino aveva superato un colloquio e una prova scritta per l’ammissione in una scuola ma il ragazzo ha potuto frequentarla per un solo giorno, prima che l'amministrazione scolastica cedesse alle pressioni delle autorità locali ritirando la sua ammissione. A marzo, 20 agenti di polizia si sono presentati in un'altra scuola media della provincia del Guangdong appena dieci giorni dopo che il ragazzo aveva iniziato a frequentarla ed è stato ancora una volta costretto a lasciare la scuola. Un’altra forma di prevaricazione verso i minori è la negazione del passaporto ai figli che impedisce loro di andare a studiare all’estero come è accaduto al figlio dell'avvocato per i diritti umani Li Heping che è stato detenuto dal luglio 2015 all'aprile 2017 e condannato a tre anni per “sovversione del potere statale”. Suo figlio ha rinunciato a presentare domanda per delle università estere sapendo che non avrebbe mai riuscito ad ottenere un passaporto per poterle frequentare.
Un capitolo a parte è quello che riguarda i ragazzi delle regioni autonome del Tibet e dello Xinjiang, separati dai genitori a causa delle campagne del governo cinese per “colpire duramente l’identità culturale e religiosa locale", vista da Pechino come una pericolosa deriva autonomista. Ne abbiamo parlato a lungo in passato. Oggi secondo autorevoli fonti delle Nazioni Unite sarebbero ben un milione i bambini tibetani costretti a frequentare collegi per assimilarsi alla cultura della maggioranza Han, mentre nello Xinjang è in corso una significativa espansione di collegi gestiti dallo Stato, con bambini anche molto piccoli separati dai genitori internati e trattati a tutti gli effetti come “orfani” dalle autorità cinesi.
Alessandro Graziadei
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