Il 18 agosto è entrata in vigore la normativa Europea sul Ripristino della natura, uno dei pilastri del Green Deal a difesa della biodiversità dell'Unione europea. Il nuovo regolamento stabilisce obiettivi e obblighi giuridicamente vincolanti specifici per il ripristino della natura negli ecosistemi terrestri, marini, di acqua dolce e anche urbani, provando così a mitigare i cambiamenti climatici e gli effetti dei fenomeni atmosferici estremi. Se attuato correttamente aiuterà l'Unione a rispettare i suoi impegni internazionali in materia di ambiente allineando così l'Unione agli accordi internazionali di Kunming-Montreal. Si tratta di una riforma a lungo contestata dalle organizzazioni agricole e per questo annacquata nella stesura finale e sbloccata solo dopo mesi di stallo, con 7 Paesi (Italia compresa) tra i 27 dell'Unione contrari al voto finale. Le aperture alle proteste degli agricoltori hanno fatto allentare la volontà di destinare il 4% dei terreni a caratteristiche non produttive, rendendo la decisione volontaria, ed è diventato volontario anche il ripristino delle zone umide per gli agricoltori e i proprietari terrieri privati. Nonostante il ridimensionamento si tratta di una svolta normativa fortemente innovativa, perché per la prima volta non solo prevede la protezione delle aree naturali, ma punta appunto a ripristinare quelle già degradate, con una tabella di marcia in tre tappe: il 30% di ogni ecosistema dovrà essere oggetto di misure di ripristino entro il 2030, il 60% entro il 2040 e il 90% entro il 2050.
Al cuore degli impegni dei singoli Paesi ci saranno i piani di ripristino nazionali che ora dovranno venir presentati alla Commissione europea entro due anni, inizialmente come bozza, da finalizzare e pubblicare poi nell'arco di sei mesi dall'arrivo di eventuali osservazioni dell'esecutivo dell'Unione, mentre l'Agenzia Europea dell'Ambiente (EEA) redigerà relazioni tecniche periodiche sui progressi degli obiettivi. Per Alain Maron, ministro della Transizione climatica, dell'ambiente, dell'energia e della democrazia partecipativa del governo della regione di Bruxelles-Capitale, la riforma “È il frutto di intensi lavori, che hanno pagato. Non c'è il tempo di fare pause quando si protegge il nostro ambiente. Il Consiglio dell'Unione ha scelto di ripristinare la natura in Europa, proteggendo in tal modo la sua biodiversità e l'ambiente in cui vivono i cittadini europei. È nostro dovere rispondere all'urgenza del crollo della biodiversità in Europa, ma anche consentire all'Unione europea di rispettare i propri impegni internazionali. La delegazione europea potrà recarsi alla prossima COP a testa alta”. Se fino al 2030 gli Stati membri daranno priorità ai siti della Rete Natura 2000, progressivamente gli Stati membri si adopereranno per prevenire il deterioramento significativo delle zone che hanno raggiunto un buono stato grazie al ripristino e quelle che ospitano gli habitat terrestri e marini elencati nel regolamento con alcune particolari attenzioni. Quali?
Il regolamento per la prima volta tutela gli insetti. Negli ultimi decenni, infatti, l'abbondanza e la diversità degli insetti impollinatori selvatici in Europa si sono drasticamente ridotte. Per far fronte a tale situazione, il regolamento introduce obblighi specifici che impongono misure intese a invertire il declino delle popolazioni di impollinatori al più tardi entro il 2030. Gli Stati membri metteranno in atto misure volte a migliorare almeno due dei seguenti tre indicatori: “popolazione di farfalle comuni, stock di carbonio organico nei terreni minerali coltivati e percentuale di superficie agricola con elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità”. Fra le principali misure del nuovo regolamento rientrano anche l'aumento della popolazione di uccelli in habitat forestale e la garanzia che non vi siano perdite nette di spazi verdi urbani e di copertura arborea urbana fino alla fine del 2030. Gli Stati membri dovranno anche occuparsi di foreste mettendo in atto misure volte a ripristinare le torbiere drenate e a contribuire a piantare almeno tre miliardi di alberi supplementari entro il 2030 in tutta l'Unione. Infine, al fine di convertire almeno 25.000 km di fiumi arginati in fiumi a scorrimento libero entro il 2030, gli Stati membri adotteranno misure per rimuovere le barriere artificiali delle acque superficiali. Per realizzare questa rivoluzione verde adesso tocca gli Stati membri elaborare in anticipo i piani nazionali di ripristino con le modalità con cui intendono conseguire gli obiettivi, monitorare i progressi compiuti e riferire in proposito, sulla base di indicatori di biodiversità comuni.
Basterà? Ricordiamoci che già il 22 giugno 2022 la Commissione europea ha proposto un regolamento sulla tutela della natura nell'ambito della strategia dell'Unione europea sulla biodiversità per il 2030 come parte del Green Deal europeo. È cosa nota, infatti, che ad oggi oltre l'80% degli habitat europei sia in cattivo stato e che gli sforzi profusi in passato per proteggere e preservare la natura non siano bastati a invertire questa preoccupante tendenza. Questo è il motivo principale per cui il regolamento prevede, per la prima volta in assoluto, l'adozione di misure volte non solo a preservare la natura, ma anche a ripristinarla. Riuscirci dovrebbe essere un imperativo morale oltre che ecologico, ma non sempre in materia di sostenibilità la politica si è dimostrata all'altezza.
Alessandro Graziadei
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