Il lupo, protetto sia dalla Convenzione di Berna che dalla Direttiva Habitat dell’Unione europea, sappiamo sarà in futuro meno protetto. È stata questa la conseguenza arrivata dal cambio di status della specie da "strettamente protetta" a "protetta" decisa in sede europea lo scorso dicembre. La decisione degli Stati membri dell'Unione presa alla riunione del Coreper con il via libera al declassamento dello status di protezione del lupo, approvata la scorsa settimana anche dagli Ambasciatori degli stati dell'Unione, potrebbe già da quest'anno mettere a rischio decenni di sforzi di conservazione ed è una significativa battuta d’arresto per quello che è stato uno dei più importanti successi europei in materia di conservazione della fauna selvatica: ossia il ritorno del lupo dopo un periodo in cui la specie ha rischiato l’estinzione. Su questo contestato abbassamento di status di protezione del lupo si deve però ancora pronunciare la Corte di giustizia dell’Unione, in seguito al ricorso presentato da cinque associazioni animaliste europee, alle quali altre 17 associazioni si sono unite con un atto di intervento. Ad inizio aprile, inoltre, un’analisi indipendente ha esaminato il rapporto scientifico utilizzato dalla Commissione europea come base per giustificare il declassamento del lupo europeo evidenziando come la decisione presa in sede europea “Non sia supportata da alcuna base scientifica per giustificare l’indebolimento della protezione del lupo, rendendo così la proposta della Commissione infondata e in contrasto con la scienza”.
A seguito di questa scoperta, un gruppo di 34 Ong europee ha inviato una lettera alla Presidenza polacca dell’Unione evidenziando questa evidente mancanza di fondamenti scientifici e chiedendo di posticipare il voto del Parlamento europeo sulla questione fino alla risoluzione del ricorso presentato alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in merito al declassamento del lupo. Le associazioni hanno inoltre trasmesso alla Presidenza polacca una lettera indirizzata alla Commissione europea, in cui chiedono di essere coinvolte nel processo di consultazione sulla modifica della Direttiva Habitat dell’Unione. L'analisi condotta dal Dr. Mark Fisher, ricercatore, Università di Leeds nel Regno Unito e dal Dr. Ettore Randi, professore Aggiunto, Dipartimento di Bioscienze, Università di Aalborg, in Danimarca conclude che “Dati incerti e obsoleti non dovrebbero essere utilizzati per promuovere il declassamento della protezione della popolazione di lupi europei […] in nessun punto del rapporto Blanco viene raccomandata una revisione dello status di protezione del lupo”. Come ricorda LNDC Animal Protection, dall’annuncio dell’intenzione della Commissione di ridurre la protezione del lupo, in paesi come Italia e Spagna si è registrata un’impennata di episodi di uccisioni illegali. “La mancanza di chiarezza - sostengono gli attivisti - ha portato molte persone a credere che l’Unione stesse autorizzando l’abbattimento libero dei lupi. Questi episodi stanno ora ponendo seri rischi per la sicurezza delle persone, oltre a causare la morte ingiustificata di lupi, che si aggiungono alle migliaia già uccisi illegalmente ogni anno con armi da fuoco, veleno o vittime di incidenti stradali, per i quali non è stata ancora adottata alcuna soluzione”.
In Italia esiste una regolamentazione in merito realizzata sulla base del censimento Ispra effettuato nel 2021, che ha stimato in circa 3.300 i lupi del Belpaese. Quest’anno le Regioni e le Province potranno chiedere l’abbattimento di non più di 160 lupi nel caso di esemplari “confidenti”, pericolosi o dannosi per le aziende zootecniche. Si tratterebbe di una quota definita dall'Ispra “estremamente prudenziale” e che prevede che il Trentino nel 2025 potrà abbattere al massimo 3-5 esemplari, l’Alto Adige 1-2, il Piemonte 10-17, l’Emilia Romagna 9-15, la Toscana 13-22. Questa decisione presa ad inizio 2025 rappresenta la prima vera pianificazione di un numero di abbattimenti ritenuti “sostenibili”, proprio per cercare di contenere, oltre al bracconaggio, anche l'ipotesi di una serie di abbattimenti fuori controllo che potrebbero essere disposti dalle varie amministrazioni locali messe sotto pressione dalle proteste di cittadini, agricoltori, allevatori e dalle lobby dei cacciatori. Un'ipotesi non così irrealistica, visto che lo scorso marzo un emendamento della Lega al “ddl montagna”, in virtù del declassamento europeo del lupo da “strettamente protetta” a “protetta”, ha messo nero su bianco la discrezionalità nazionale nella gestione delle popolazioni locali di lupi. Non è di fatto una apertura della caccia indiscriminata e non è ancora l’abbandono di una politica rigorosa di tutela della specie, visto che le indicazioni europee prevedono l’obbligo per gli Stati di “mantenere uno stato favorevole di conservazione della specie", ma è per molte associazioni ambientaliste “un pericoloso inizio della fine”. La fine di un trend positivo per i grandi carnivori in Europa che negli ultimi sei anni ha portato la maggior parte delle popolazioni di lupi, orsi, linci, sciacalli e ghiottoni ad essere stabile o in aumento come ha certificato un report realizzato per l’Unione Europea dal Large Carnivore Initiative for Europe (LCIE), gruppo specialistico dell'Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN) che si occupa della conservazione e gestione dei grandi carnivori in Europa. Un dato positivo e non preoccupante assicurano gli scienziati per i quali “Studiare gli andamenti numerici e distributivi di una popolazione animale è fondamentale per capire l'evoluzione e lo stato di salute di una popolazione e di conseguenza per indirizzare le scelte gestionali e di conservazione. Lo è per qualsiasi specie, e nel caso dei grandi predatori è cruciale per ricondurre il discorso, che è spesso fortemente polarizzato e basato su dati poco oggettivi”.
Tutto risolto quindi? Non proprio. Le paure e i problemi che il lupo, l'orso e gli altri grandi carnivori suscitano (razionali o irrazionali che siano), sono fenomeni sociali che non possono essere trascurati e come tali vanno ascoltati, accolti e possibilmente ricondotti a piani di realtà grazie a chi, come le associazioni dei report sopra citati, hanno competenze maggiori rispetto a tutti quelli che sul comportamento dei selvatici si sono limitati alla lettura o all’ascolto solo della celebre favola Cappuccetto Rosso dei fratelli Grimm. Forse la convivenza con il selvatico è oggi più un problema culturale che reale, visto che non siamo nel contesto culturale del Canada dove in molte aree antropizzate si convive con lupi, grizzly e puma e nelle fiabe ascoltate da bambini, a cominciare proprio da Cappuccetto Rosso, è la paura il senso ultimo della funzione narrativa del lupo nella nostra cultura. Ed è forse questa l'unico “senso” che viene richiamato quando si parla di grandi carnivori, quando il lupo, l'orso o il selvatico di turno diventa reale, quando le nostre “paure culturali” si trasformano in avvistamenti e fatti di cronaca, dando vita a reazioni allarmistiche e a mobilitazioni, per quanto simboliche, come i referendum consultivi senza alcuna valenza legale, organizzati in molte valli del Trentino. Dopo la val di Sole, la val di Non e l'altopiano della Paganella, infatti, anche la valle dei Laghi si è espressa in marzo con una consultazione popolare sulla presenza di orsi e lupi, ma anche in questa occasione l'affluenza è stata molto bassa. Probabilmente una convivenza gestibile è possibile a cominciare da una più adeguata informazione (in Trentino per esempio gli uffici della Provincia organizza da alcuni anni in collaborazione con i Comuni, incontri sul territorio impegnando il Servizio Foreste e Servizio Faunistico) e una migliore prevenzione visto che, sembra incredibile, ma molti dei territori montani e premontani, almeno in Trentino, non dispongono neanche di elementari bidoni delle immondizie anti-orsi.
Che fare? Dei punti di vista, almeno riguardo agli orsi in Trentino, ha provato a darli il bel documentario “Pericolosamente vicini” che nel 2024 ha raccolto le voci di chi orsi si occupa per lavoro e di chi con l'orso deve farci i conti, perché l'animale è spesso molto interessato al suo di lavoro: allevatori e apicoltori su tutti. Se un'unica soluzione forse non c'è, io ne ho trovata una personale, mi rendo conto sia più filosofica che pratica. Premetto che chi scrive conoscere il problema. Corro in montagna proprio come faceva un incolpevole Andrea Papi nel 2023, quando venne ucciso dall'orsa JJ4 e questo dramma, come per fortuna molti altri con me, non ci ha lasciati indifferenti. Fuori dalla porta di casa mia, in un bosco a 600 metri di altitudine sulle pendici del Monte Bondone in provincia di Trento, almeno per diversi mesi all'anno, orsi e lupi sono ormai una presenza quasi quotidiana. Lo capisco dal puntuale lavoro di segnalazione della forestale, dalle fototrappole, dalle tracce, dai resti freschi delle fatte, dall'irrequietezza del mio cane in certe mattine che ci portano fuori casa troppo presto. Eppure gli avvistamenti personali sono stati pochissimi. Seguendo i consigli degli esperti, tenendo le immondizie mai a portata di fiuto, evitando barbecure, facendo rumore durante le mie corse e i miei spostamenti, anche con un cane colpevolmente non sempre al guinzaglio (ma quasi sempre a vista) negli ultimi tre anni per due volte ho intravisto un lupo, che in entrambe le occasioni è immediatamente scappato. Per fortuna non ho mai incontrato l'orso. Forse faccio troppo baccano, forse sono stato fortunato, in ogni caso ho ormai accettato l'idea che non posso più condividere il territorio con i grandi carnivori facendo finta che non ci siano e ho imparato a darmi di limiti, ad avere il senso della misura mettendo in discussione in modo radicale lo stile di vita che fino ad oggi la nostra cultura del dominio e della dismisura non mi ha mai insegnato a negoziare.
Come ha ricordato il giornalista appassionato di montagna Serafino Ripamonti in un articolo di qualche anno fa: “Accettare queste presenze vuole dire proprio accettare l’esistenza di significativi ed immediati rischi per l’incolumità pubblica, significa perdere in sicurezza e rinunciare al controllo. Vuol dire anche complicare ancora di più la vita, certo già non facile, di contadini e allevatori. In cambio di cosa? Credo della consapevolezza, anzi dell’esperienza vivente, di non essere in sostanza padroni e dominatori di un bel nulla e forse di un diverso rapporto con il mondo e con le altre incarnazioni della vita che ci accompagnano nel nostro viaggio su questo pianeta. È una piccola cosa evanescente, ma forse può essere un’opportunità: il granello di sabbia gettato nella Macchina, che grippa l’inesorabile ingranaggio del nostro autodistruttivo delirio di onnipotenza”. Una sana cultura del limite insomma, che in nome della biodiversità potrebbe incominciare ad accompagnare anche le paure evocate da Cappuccetto Rosso.
Alessandro Graziadei
Nessun commento:
Posta un commento