sabato 19 aprile 2025

Il “clima” in Cambogia non fa ben sperare


Secondo l'Indice di rischio climatico per i bambini (Children’s climate risk index, CCRI) per la Cambogia, pubblicato a gennaio dal ministero dell'Ambiente cambogiano in collaborazione con UNICEF Cambogiacirca due milioni di bambini cambogiani vivono in aree ad alto rischio climatico, e sono quindi esposti a inondazioni, siccità, caldo estremo e malattie trasmesse da zanzare o altri vettori. Il CCRI rappresenta oggi uno strumento fondamentale per comprendere le vulnerabilità dei bambini in Cambogia e fornire indicazioni al governo di Phnom Penh su come affrontare il problema. “Il Children's Climate Risk Index per la Cambogia è fondamentale per fornire indicazioni al governo e ai ministeri e alle istituzioni competenti per dare priorità ad azioni focalizzate sul benessere e la protezione dei bambini più vulnerabili”, ha dichiarato il ministro dell'Ambiente cambogiano, Eang Sophalleth. Il lavoro, infatti, non manca. Lo studio evidenzia come un terzo dei 6 milioni di bambini nel Paese sia esposto a siccità, mentre quasi la metà è colpita da caldo estremo, inondazioni e vive in aree in cui i livelli di inquinamento atmosferico sono superiori a quelli indicati nelle linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanitàLe aree più vulnerabili si trovano nelle aree rurali della regione nord-orientale, intorno al lago Tonle Sap e nella pianura centrale. Qui, i bambini affrontano rischi maggiori causati da disagi legati alla nutrizione, l’igiene, le difficoltà di istruzione, il difficile accesso ai servizi sanitari e la massiccia deforestazione che non contribuisce a mitigare il clima.

Le foreste potrebbero essere una e risorsa per mitigare il clima cambogiano, ma in realtà sono da sempre sfruttate, anche con la complicità dei governi cambogiani. In dicembre, per esempio, il ministero dell’Ambiente aveva annunciato una gara d’appalto per la raccolta di prodotti forestali ricavati dalla bonifica del bacino per il progetto idroelettrico Stung Tatai Leu, nel distretto di Thma Bang, nella provincia di Koh Kong. Si tratta di un’area dove il governo cambogiano, in partnership con aziende cinesi, sta costruendo diverse dighe per aumentare la produzione di energia pulita, ma dove da tempo si registrano pratiche di disboscamento esteso ed illegale. Secondo il bando emesso dal ministero, nel distretto di Thma Bang è disponibile un volume di legname del valore di oltre 1,4 milioni di dollari, ma in realtà secondo un’inchiesta del sito Mongabay, gran parte del legname ricavato dal disboscamento dell’area è già stato commerciato illegalmente dal 2023 con complicità governative, visto che “Il legname prelevato senza autorizzazioni viene trasportato alla prigione provinciale di Koh Kong, dove i detenuti lo lavorano e, insieme ai funzionari del carcere, intascano parte dei profitti”. Secondo i recenti dati del Global Forest Watch, l’area su cui sorgerà la diga ha perso in 20 anni 18.755 acri di foresta primaria, pari al 2,1% della foresta del distretto di Thma Bang. Dall’inizio della costruzione della Stung Tatai Leu, le immagini satellitari hanno identificato quasi 60.000 aree deforestate, quasi tutti incentrati sul sito della nuova diga. Poco distante, nell’area in cui è in costruzione un’altra diga, la Stung Meteuk, e secondo i cronisti del Mongabay “Si registrano da tempo attività di disboscamento abusivo, anche all’interno di aree protette, gestite da Ly Yong Phat, senatore, consigliere dell’ex premier e magnate cambogiano, originario della provincia di Koh Kong ma con legami con la Cina”.

Lo stesso ministro cambogiano dell’Ambiente, Eang Sophalleth, lo scorso anno aveva ordinato il divieto di disboscamento nella regione in cui è in costruzione la diga di Stung Meteuk, ma gli ambientalisti locali, che hanno accolto con favore la misura, hanno espresso scetticismo attorno alla possibilità che le attività di Ly Yong Phat vengano regolamentate e rese trasparenti. Molti temono che l’annuncio delle gare di appalto serva solo come facciata per coprire lo scoop giornalistico e calmare gli animi. Sempre lo scorso dicembre, infatti, un esperto giornalista di inchiesta di lungo corso in Cambogia, il 63enne Chhoeung Chheung, era rimasto vittima di un attentato, mentre stava indagando su di una controversa operazione di disboscamento al limite della legalità in un’area protetta per la fauna selvatica nel nord del Paese. Secondo fonti di polizia (e il racconto della moglie Chiev Chap) rilanciate da Radio Free Asia (Rfa), Chheung è caduto vittima di un’imboscata da parte di sconosciuti, che lo hanno centrato con colpi di proiettile allo stomaco, ferendolo in modo grave. Chheung, che lavora per il sito Cambodia Development News, aveva denunciato in passato la distruzione delle risorse naturali in una foresta comunitaria nell’area protetta. Gli inquirenti hanno provato a derubricare l'accaduto ad una sparatoria scaturita da “disputa personale” che non sarebbe legata al lavoro e all’inchiesta portata avanti dall’esperto giornalista. Una versione che non ha mai convinto i gruppi pro diritti umani e ambientalisti cambogiani. Per In Kongchit, responsabile del gruppo pro diritti umani Licadho“Si è trattato di un tentativo di omicidio. A nome della società civile, chiediamo che le autorità e il governatore della provincia di Siem Reap aiutino a indagare sui motivi dell'agguato, trovino i responsabili e li puniscano secondo la legge”. 

Dal 1994 almeno 15 giornalisti sono stati uccisi nel Paese del Sud-est asiatico, molti avevano attenzionato temi ambientali. Uno di questi riguarda il giornalista Traing Try, che nel 2014 è stato colpito a morte nella provincia nord-orientale di Kratie, mentre viaggiava con un gruppo di colleghi per indagare sul disboscamento illegale nella regione. Due anni prima, il più famoso ambientalista cambogiano  Chut Wutty stava accompagnando due giornalisti di un giornale locale a testimoniare quelle che riteneva attività di disboscamento illegale quando è stato colpito e ucciso dalla polizia militare nella provincia sud-occidentale di Koh Kong. Solo nel 2024 ci sono stati sette casi di molestie nei confronti di 11 diversi giornalisti e sei casi di inchieste giudiziarie pretestuose, con 10 giornalisti convocati per interrogatori, detenuti e puniti dalla polizia, militari e autorità locali. Il “clima” in Cambogia non fa ben sperare e purtroppo neanche la libertà di stampa! 

Alessandro Graziadei





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