domenica 28 ottobre 2012

Trivelle d’Italia, l’Italia s’è desta?


Vi ricordate l’incidente alla piattaforma Deepwater Horizon nel Golfo del Messico? Bene, l’articolo 35 del decreto “Cresci Italia, diventato legge il 23 marzo 2012, fa ripartire tutti i procedimenti di estrazione di petrolio nei mari italiani che erano stati bloccati nel giugno di due anni fa dal decreto legge n.128/2010, approvato dopo l’incidente della Horizon ed espone al rischio trivellazione una nuova ed ampia superficie di una delle nostre più grandi risorse della penisola: il mare. Ha denunciare la pericolosità del decreto sono, da alcune settimane, le tre principali ong ambientaliste italiane: Greenpeace, Legambiente e Wwf allarmate perché “quell’articolo minaccia una superficie marina più grande della Sicilia aprendo delle istanze di prospezione e di ricerca in mare nella fascia di interdizione delle 12 miglia che metteranno a rischio le aree protette e le zone litoranee di pregio”.
Il rischio paesaggistico, ambientale e non solo era stato già denunciato chiaramente il 9 ottobre 2012 dal giornalista Pietro Dommarco nel corso del convegno “Trivelle d’Italia” (che ha preso il nome dal suo libro uscito a giugno 2012 per Altreconomia) organizzato sempre da Wwf, Legambiente e Greenpeace nella sala conferenza del Palazzo Bologna presso il Senato della Repubblica di Roma. Per Dommarco “Solo fotografando le comunità del nostro Paese già interessate da queste attività di trivellazione è possibile conoscere i risvolti legati al consumo del territorio, impatti ambientali, incidenza sanitaria e ricadute economiche. Quattro direttive lungo le quali si sviluppa un contesto normativo da rivedere, che sembra essere totalmente sbilanciato verso le compagnie petrolifere, perché sostanzialmente fondato su impianti giuridici iniqui o deboli. Basti pensare, ad esempio, alle irrisorie compensazioni ambientali - ha precisato Dommarco - e alla bassa franchigia, ovvero quel limite minimo di quantità di greggio e di gas estratti al di sotto del quale gli operatori non versano royalties allo Stato”.
L’Italia è, infatti, una sorta di paradiso fiscale per i petrolieri nonostante nel decreto “Cresci Italia” ci sia stato l’incremento delle royalties dal 7 al 10% per il gas e del 4% al 7% per il petrolio. Percentuali ridicole visto che i Paesi “sviluppati” applicano royalty che vanno dal 20% all’80% del valore degli idrocarburi estratti. “Estrarre idrocarburi nel nostro Paese è ancora vantaggioso solo perché esistono meccanismi che riducono a nulla il rischio d’impresa, mettendo però ad alto rischio l’ambienteha spiegato Giorgio Zampetti, responsabile scientifico Legambiente. Ad esempio, le prime 20 mila tonnellate di petrolio prodotte annualmente in terraferma, come le prime 50 mila tonnellate di petrolio estratte in mare, i primi 25 milioni di metri cubi di gas in terra e i primi 80 milioni di metri cubi in mare sono esenti dal pagamento di aliquote allo Stato. “Ma non è finita qui. Le aliquote [royalties] sul prodotto estratto sono di gran lunga le più basse al mondo e sulle 59 società operanti in Italia nel 2010 solo 5 le pagavano” ha concluso Zapmetti
A quanto pare una combinazione di esenzioni, di aliquote sul prodotto e di canoni di concessione bassissimi e una serie di agevolazioni e incentivi ha reso la nostra Penisola e le sue acque oggetto di una ricerca sovradimensionata di oro nero. Eppure i quantitativi di petrolio in gioco sono davvero risibili. Allo stato attuale per le indagini di Greenpeace “la produzione italiana di petrolio equivale allo 0,1% del prodotto globale e il nostro Paese è al 49esimo posto tra i produttori di oro nero”. Secondo le ultime stime del ministero dello Sviluppo economico, inoltre, ci sarebbero nei nostri fondali marini circa 10,3 milioni di tonnellate di petrolio di riserve certe sufficienti a coprire il fabbisogno nazionale per sole 7 settimane. Non solo: anche attingendo al petrolio presente nel sottosuolo, concentrato soprattutto in Basilicata, il totale delle riserve certe nel nostro Paese verrebbe consumato in appena 13 mesi.
Il gioco vale la candela? Per gli ambientalisti non proprio: “Favorire in questo modo le attività estrattive in Italia, creando un vantaggio competitivo artificioso scarsamente conciliabile con le regole della concorrenza e il principio di precauzione comunitaria, è una follia visto che i pozzi (pochi e di scarsa qualità) e le piattaforme off-shore sono localizzate spesso vicino a coste e specchi d’acqua marina di alto pregio ambientale” ha commentato Greenpeace.
A preoccupare sono soprattutto i limiti costieri, troppo permissivi e quasi impercettibili dopo la “sanatoria” contenuta del Decreto Sviluppo. Per il Wwf “La fascia off-limits delle 12 miglia per le trivellazioni parte ora dalle linee di costa, cioè dalla battigia e non come era stabilito precedentemente dalle linee di base, le linee che includono golfi e insenature. Nella sostanza si mettono così a rischio ampissime porzioni delle acque territoriali, anche all’interno delle fasce d’interdizione introdotte nel giugno 2010 a tutela delle aree protette”. Il decreto potrebbe così dare il via libera ad almeno 70 piattaforme di estrazione di petrolio che si sommerebbero alle 9 già attive nel mare italiano per un totale di 29.700 kmq di mare compreso tra Adriatico centro meridionale, mar Ionio e golfo di Oristano. Una delle prime linee della vertenza contro le trivellazioni è il Canale di Sicilia, dove i permessi di ricerca già concessi sono 11 e 18 le nuove richieste in via di valutazione. Al momento i permessi per l’estrazione di idrocarburi già concessi sono tre, per un totale di quattro piattaforme attive al largo delle coste siciliane. Ma le compagnie petrolifere sembrano particolarmente interessate anche all’area del Canale di Malta dove sono già attivi 2 permessi di ricerca. 

Per il Wwf la scelta di trivellare l’Italia, contenuta nell’ultima Strategia Energetica Nazionale del Governo (Sen) e presentata il 16 ottobre, non è l’unica possibile e neanche quella più opportuna. “Una strategia, per definizione, deve coprire un arco temporale lungo e poi determinare delle tappe intermedie a breve e medio termine. Il documento del Governo, al contrario, ha un raggio d’azione di appena 7 anni, - ha detto Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del Wwf Italia - punta su petrolio e carbone ed è debole nei confronti di rinnovabili ed efficienza energetica rispetto all’orizzonte europeo”. 

Per questo Greenpeace, Legambiente e Wwf chiedono urgentemente al ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera di condividere con la società civile (come accade per i Sen di molti Paesi europei) una scelta più coraggiosa e lungimirante: abbondare definitivamente le fonti fossili e scommettere su una strategia energetica nazionale che punti su efficienza e rinnovabili sostenuta anche dai senatori Francesco Ferrante, Roberto Della Seta, Antonio D’Alì e Daniela Mazzuconi, tutti firmatari di un disegno di legge per abrogare l’articolo 35.
Alessandro Graziadei

Nessun commento:

Posta un commento