C’è un legame tra quello che accade in Asia, Africa, America Latina e le nostre abitudini e scelte alimentari? A questa e ad altre domande, per il quarto anno consecutivo, tenterà di rispondere il festival cinematografico di cibo, giustizia sociale e videodiversità Tutti nello stesso piatto pronto a riempire le sale di Trento dal 6 al 24 novembre 2012. Lo scorso anno la rassegna ha registrato la partecipazione di oltre 3.700 spettatori adulti e 2.000 ragazzi delle scuole primarie e secondarie, coinvolti nel programma didattico Schermi & Lavagne attraverso cartoni animati, film e documentari opportunamente selezionati per il loro valore artistico ed educativo.
Organizzato da Mandacarù, una cooperativa senza fini di lucro che ha come obiettivo la promozione di un’economia solidale attraverso il commercio equo con il Sud del mondo, e da Altromercato, il brand guida a livello nazionale ed internazionale nella promozione e nella realizzazione di iniziative di economia solidale, quest’anno il festival ha messo le telecamere a servizio di due nuovi e attualissimi temi: il landgrabbing e i diritti dei popoli indigeni introdotti il 6 novembre da Stefano Liberti, giornalista, scrittore e documentarista. Temi di drammatica attualità se pensiamo che secondo l’International Land Coalition ogni 4 giorni un’area di terra più grande dell’intera città di Roma viene venduta ad investitori stranieri che tra il 2000 e il 2010 hanno acquisito a livello globale “203 milioni di ettari di terreno, 106 dei quali in paesi in via di sviluppo” e dove i popoli indigeni sono sempre più esposti alla fame, alla violenza e alla minaccia di una povertà crescente ed estrema. Solo una piccolissima parte di queste terre sottratte con la forza e l’inganno è usata per nutrire le persone di questi Paesi o per produrre cibo da vendere nei mercati locali.
Per Beatrice De Blasi, creatrice e direttrice artistica del festival oltre che foto e video reporter appassionata, “la scelta è stata doverosa: il tema dei diritti dei popoli e a monte del landgrabbing è ormai un argomento fondamentale quando si parla di cibo e delle scelte speculative non solo di multinazionali e Governi a caccia di terre, ma anche delle Nazioni Unite e della Banca Mondiale”. Oxfam da alcune settimane ha attivato una petizione per chiedere alla Banca Mondiale di sospendere i suoi investimenti e proteggere i paesi impoveriti dall’accaparramento di terre, ed anche “se c’è ancora poco per quanto riguarda la documentazione visiva sull’argomento, pensiamo che il contributo del festival sia importante per capire e diffondere la proporzione di un problema che è sempre più ampio e del quale sentiremo parlare a lungo”, ha precisato De Blasi.
Così, a pochi giorni dall’appuntamento torinese del Salone del Gusto - Terra Madre, il festival trentino offre un’altra importante occasione di riflessione e incontro sul cibo, questa volta attraverso il linguaggio del cinema per raccontare al grande pubblico non solo il funzionamento delle produzioni agroalimentari, ma anche quello delle filiere del commercio equo con le loro virtuose ripercussioni sull’ambiente e sulla società. Una risorsa ed un antidoto, il commercio equo, soprattutto davanti ad un’agricoltura mondiale tornata alla ribalta dei media nazionali e internazionali per il rialzo esponenziale del prezzo delle materie prime agricole e del conseguente aumento del costo dei generi alimentari. Opinionisti ed economisti si sono interrogati sulle molteplici cause di questo aumento dei prezzi, sollevando riflessioni che il festival tenterà di mettere a fuoco con il Il prezzo delle sementi e The Last Farmer, 2 delle 33 attese proiezioni tra lungometraggi e cortometraggi.
In merito all’artificiale prezzo dei beni alimentari molto è stato fatto da alcune campagne come quella Sulla Fame non si Speculache, con l’appoggio del Comune di Milano e la regione Lombardia, chiede di creare nuove regole che evitino la speculazione finanziaria in corso attraverso i titoli derivati e i futures sui beni alimentari. Tuttavia si può fare molto anche andando al cinema. “In una fase storica in cui assistiamo all’aumento dei prezzi di tutti i prodotti di base, anche nei paesi occidentali, conoscere e comprendere le politiche alimentari mondiali significa confrontarsi con i temi della globalizzazione e della giustizia sociale, ma significa soprattutto capire quali strategie produttori e consumatori possono mettere in atto per proteggere la propria salute, il proprio ambiente e i propri diritti” ha concluso De Blasi. Anche per questo per la prima volta il festival “ha posto la sua attenzione sull’industria della carne e le conseguenze drammatiche che produce, sia sui lavoratori (con l’anteprima italiana Carne, Osso), che sulla sostenibilità ambientale (con LoveMEATTender) .
Ma il “film dell’alimentazione” non può prescindere da una sempre più attuale dicotomia. Così, mentre sceglieremo tra il ricco programma le pellicole che meglio si incastrano nei nostri interessi o colpevoli disinteressi, non potremmo non pensare che circa un miliardo di persone nel mondo è denutrito e un altro miliardo è obeso. Quasi la metà della popolazione mondiale vive quotidianamente il problema di un’alimentazione insufficiente. L’altra metà soffre dei problemi tipici legati ad un’alimentazione sovrabbondante e alle disfunzioni che ne derivano: diabete, eccesso di peso, problemi cardiocircolatori. Questo stato di cose è l’inevitabile corollario di un sistema che consente solo a un ristretto gruppo di multinazionali di trarre profitto dall’intera catena alimentare mondiale, condizionando gusti, scelte e mercati verso ciò che Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, considera quanto di più distante dal “buono, pulito e giusto” che dovremmo cercare di portare sulle nostre tavole.
Come ogni anno l’obiettivo del festival è ambizioso: “Far vedere ed incontrare un cinema diverso, che può aiutare a scoprire il punto di contatto tra i singoli individui e il mondo attraverso una selezione di titoli che cambierà il nostro modo di guardare al cibo che abbiamo nel piatto. Il mostrare, il documentare, il raccontare il processo di produzione che sta dietro il cibo è, oggi più che mai, un atto culturale”. Cambiare si può, anche andando al cinema, magari prendendo spunto dall’Islanda che per uscire dalla crisi ha avviato un nuovo sistema di produrre e consumare cibo più legato alle risorse geotermiche locali e meno all’importazione, come ben ci racconterà il 23 novembre l’anteprima italiana Future of Hope!
Alessandro Graziadei
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