Con quasi 108 miliardi di Euro evasi ogni anno in Italia uno si aspetta una campagna elettorale all’insegna dei rimedi all’evasione fiscale, almeno nella réclame. Invece, pare che il morbillo faccia più paura, nonostante i dati allarmanti che emergono dal breve, ma esplicito focus sul lavoro nel Belpaese di Censis e Confcooperative: “Negato, irregolare, sommerso: il lato oscuro del lavoro”. Presentato a Roma lo scorso 31 gennaio il focus fotografa un’evasione tributaria e contributiva che ha raggiunto quota 107,7 miliardi, quattro volte la manovra approvata dal Governo Gentiloni a fine anno, una cifra resa possibile dai moltissimi lavoratori che a causa degli alti tassi di disoccupazione hanno accettato un lavoro in nero ingrossando le fila di quei 3,3 milioni di lavoratori impiegati in tutte le false imprese dei settori produttivi del Paese o tra i 100 mila occupati delle false cooperative, che ricorrendo al lavoro irregolare riducono il costo del lavoro di oltre il 50% mettendo fuori mercato le aziende che operano nella legalità.
Secondo la Commissione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva, istituita presso il Ministero dell’Economia e della Finanza, considerato l’insieme delle attività economiche, il salario medio orario sostenuto dalle imprese per retribuire un lavoratore regolare dipendente è di 16 euro, mentre il salario pagato dalle aziende per un lavoratore irregolare corrisponde a 8,1 euro, quasi la metà del salario orario lordo. Il cosiddetto monte salariale irregolare nel 2014 ha raggiunto i 28 miliardi di euro, pari al 6,1% del valore complessivo delle retribuzioni lorde. Il risultato è che tutte le realtà che ricorrono al lavoro irregolare mettono oggi una grave ipoteca sul futuro dei lavoratori lasciandoli privi delle coperture previdenziali, assistenziali e sanitarie. Fra le voci più rilevanti dell’evasione si distingue quella relativa all’Iva che sfiora i 36 miliardi di euro e quella da mancato gettito dell’Irpef pari a 35 miliardi di euro, mentre l’Irap fa registrare una mancata contribuzione di 8,5 miliardi e il mancato versamento dei contributi ammonta a 2,5 miliardi per il lavoratore dipendente e 8,2 miliardi per il datore di lavoro.
“Attraverso questo focus - ha spiegato Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative - denunciamo ancora una volta e diciamo basta a chi ottiene vantaggio competitivo attraverso il taglio irregolare del costo del lavoro, che vuol dire diritti negati e lavoratori sfruttati. Se le false cooperative sfruttano oltre 100 mila lavoratori, qui fotografiamo un’area grigia molto più ampia, che interessa le tantissime false imprese di tutti settori produttivi che offrono lavoro irregolare e sommerso”. A conti fatti si può dire che la metà dei disoccupati prodotti dalla crisi sono stati risucchiati nell’illegalità visto che nel periodo 2012-2015, mentre nell’economia regolare venivano cancellati 462.000 posti di lavoro, 260.000 riconducibili a lavoro dipendente e 202.000 nell’ambito del lavoro indipendente, la schiera di chi era occupato illegalmente cresceva di 200.000 unità, arrivando a superare appunto la quota record di 3,3 milioni. Per il focus di Censis e Confcooperative "All’espansione del lavoro non normato ha contribuito in maniera prevalente l’occupazione dipendente che ha segnato un +7,4%, mentre sul fronte dell’occupazione regolare è la componente indipendente che, in termini relativi, ha subito un maggiore ridimensionamento registrando un -3,7%".
Se sul piano territoriale, riguardo all’incidenza del lavoro irregolare sul valore aggiunto regionale, Calabria e Campania registrano le percentuali più alte (rispettivamente il 9,9% e l’8,8%), seguite da Sicilia (8,1%), Puglia (7,6%), Sardegna e Molise (entrambe con il 7,0%). La classifica delle attività a più ampio utilizzo di lavoro sommerso, invece, vede ai primi posti quelle legate all’impiego di personale domestico da parte delle famiglie, con un tasso di irregolarità che sfiora ormai il 60%. A seguire, ma con tassi più che dimezzati, troviamo le attività agricole e il terziario dove permane uno stock di occupati non regolari: “nel primo caso il tasso è del 23,4%, mentre nel secondo caso, e nello specifico delle attività artistiche, di intrattenimento e di altri servizi, risulta di poco inferiore con il 22,7%”. Rimane sempre elevata la quota di irregolari nei settori dell'accoglienza e della ristorazione con il 17,7%, e nelle costruzioni con il 16,1%. Più contenuti rispetto alla media totale delle attività economiche, ma in ogni caso in crescita nel 2015 rispetto al 2012, i valori relativi a trasporti e magazzinaggio con un 10,6% e al commercio con il 10,3% di irregolarità.
Per quanto tutte le forme di nero siano condannabili, a detta di Gardini, “Va fatta una distinzione tra i livelli di irregolarità di una badante e quella di un lavoratore sfruttato nei campi, nei cantieri o nel facchinaggio. Il primo seppur in un contesto di irregolarità, fotografa spesso le difficoltà delle famiglie nell’assistere un anziano, un disabile o un minore. Qui le famiglie evadono per necessità. Le false imprese, invece, per moltiplicare i profitti e mettere fuori gioco le tantissime imprese che competono correttamente sul mercato”. Davanti a questi numeri la politica avrebbe dovuto, almeno in campagna elettorale, condurre una lotta senza quartiere all’evasione, la via forse più sensata per alleggerire la pressione fiscale e garantire "più lavoro (regolare e non nero) per tutti". Ma non è stato così.
Alessandro Graziadei
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