Secondo i dati diffusi dalla Banca mondiale (Wb) nel 2017 il prodotto interno lordo indiano ha toccato i 2.597 miliardi di dollari e nel 2018 la crescita economica è stata del 7,4% confermando un trend di crescita, in atto negli ultimi anni, che vede il più popoloso Paese del subcontinente asiatico contendersi i primi posti nella classifica delle migliori economie mondiali. Alla luce di questi dati, infatti, si può dire che l’India ha scavalcato la Francia, il cui Pil nel 2017 si è fermato a 2.582 miliardi e senza accontentarsi di essere la sesta economia al mondo potrebbe superare anche Londra e suoi 2.622 miliardi di Pil aspirando a diventare la quinta potenza economica al mondo, grazie soprattutto a settori trainanti come quello manifatturiero e quello della spesa per i consumi, sempre più diffusi in un Paese che conta circa 1,34 miliardi di persone.
Per gli analisti della World Bank Group nel 2017 l’India è riuscita a superare con successo i contraccolpi negativi di due contestate politiche economiche approvate dal governo di Narendra Modi: la “demonetizzazione”, cioè il bando delle banconote da 500 e 1000 rupie e la “Good and service tax”, cioè la tassazione unica su beni e servizi che in alcuni Stati ha fatto aumentare il prezzo delle merci e quindi la possibilità di aumentare proprio i consumi. Nonostante i due contestati provvedimenti, l’economia indiana non ha smesso di crescere e le previsioni del Fondo monetario internazionale (Imf) prevedono per il 2019 una crescita dell’economia che potrebbe toccare addirittura i 7,9 punti percentuali. Siamo davanti a numeri da record, se si considera che la crescita media a livello mondiale dovrebbe attestarsi al 3,9% e soprattutto che in India il 2019 è iniziato registrando una disoccupazione da record: la più alta da 45 anni a questa parte.
Secondo un’indagine del National Sample Survey Office (Nsso), resa pubblica grazie ad un'inchiesta del quotidiano nazionale Business Standard, in India la disoccupazione è arrivata al 6,1% della forza lavoro coinvolgendo circa 11 milioni di persone. Solo sei anni fa gli inoccupati erano appena il 2,2%, una situazione che non è il miglior spot per il Governo di Modi che sta vivendo un momento molto delicato mentre si avvia verso una delle campagne elettorali più aspre della sua storia in vista delle elezioni nazionali di maggio. I partiti di opposizione, infatti, hanno criticato la decisione del premier Narendra Modi di non diffondere il report in via ufficiale, nel tentativo forse di non compromettere l’esito delle votazioni, scatenando un caso politico, mentre il Governo ha giustificato tale ritardo sostenendo che i dati sono incompleti, perché non prendono in considerazione l’”economia informale”.
Intanto nelle scorse settimane due membri del Nsso hanno deciso di dimettersi come forma di protesta per il ritardo nella pubblicazione del sondaggio che tratteggia un’immagine tutt’altro che incoraggiante dell’economia indiana, da anni presentata solo come in rapida e costante crescita. Secondo le statistiche proprio la “demonetizzazione” e la “Good and service tax” del Governo Modi hanno aggravato la situazione dei disoccupati, tanto che stando all'indagine, condotta tra il luglio 2017 e il giugno 2018, il livello di disoccupati, cioè di coloro che non trovano lavoro e di quelli che hanno smesso di cercalo “è il più alto dal 1972-1973”, di fatto da quando nel Paese si è iniziato a condurre questo tipo di ricerche. Secondo i dati rilanciati anche da Asia News “La grande disponibilità di manodopera è sempre stato il punto di forza dell'India e in passato è stato calcolato che per mantenere in attivo il rapporto occupati-lavoro, ogni anno il mercato indiano avrebbe dovuto assumere circa 12 milioni di giovani”.
Adesso, in un Paese dove le persone al di sotto dei 35 anni rappresentano il 65% degli abitanti, la crescita impetuosa degli ultimi anni corre il rischio di evidenziare le sue storture proprio nel mercato del lavoro proprio mentre l’India sta diventandola la quinta potenza economica mondiale. Secondo lo studio, infatti, i dati sull’occupazione sembrano confermare che la crescita non sempre genera occupazione visto che la forza lavoro è diminuita dal 39,5% del periodo 2011-2012 al 36,9% del 2017-2018. "Ciò significa che meno persone cercano un impiego o che le aziende non riescono ad assorbire la domanda”, soprattutto nella fascia d’età tra i 15 e i 29 anni e nelle aree urbane, dove il problema interessa soprattutto le donne con numeri importanti negli equilibri di genere che confermano come la partecipazione femminile al lavoro sia diminuita drasticamente facendo dell’India il Paese con uno dei tassi più bassi al mondo.
Si tratta di un situazione confermata anche dallo studio Stato dell’India lavorativa condotto nel 2018 dall’Università Premim Azim che aveva calcolato come anche il tasso di disoccupazione tra i laureati è particolarmente elevato, con percentuali tra le più alte degli ultimi vent’anni e i pochi posti di lavoro disponibili sono in settori sempre più “senza regole e diritti” dove le politiche di privatizzazione e l’apertura di tutti i servizi di base al mercato hanno portato ad una situazione dove la precarietà è di casa e i redditi sono sempre più bassi. Contrariamente alle rivendicazioni del Governo Modi, quindi, non sembra più possibile contare sui costanti ingressi nel mondo del lavoro del passato, perché se l’India dovesse veramente fornire ai suoi giovani posti di lavoro sicuri con regole e diritti, allora servirebbe un’inversione delle politiche economiche neo-liberiste e l'attivazione di politiche dove l’occupazione e il giusto reddito dovrebbero essere gli elementi centrali di un nuovo corso ancora molto lontano dal realizzarsi. Almeno per ora.
Alessandro Graziadei
Nessun commento:
Posta un commento