domenica 19 aprile 2020

Chernobyl e la “pandemia” nucleare

Mentre il mondo è ancora alle prese con la pandemia da Covid-19 va a fuoco la foresta intorno a Chernobyl dove sorge la centrale che il 26 aprile del 1986 è stata la protagonista del peggior disastro nucleare civile della storia prima di quello di Fukuschima nel 2011. L’allarme era stato lanciato già il 27 marzo scorso da Greenpeace Russia: “incendi di torbiere sono in corso un po’ in tutta la Russia europea, con focolai nelle regioni centrali di Jaroslavl, Tver, Mosca, Smolensk, Bryansk, Vladimir, Ivanovo e a nord-ovest del paese nelle regioni di Leningrado, Pskov, Novgorod, Kaliningrad, Vologda”.  Una situazione critica soprattutto perché, secondo il capo del servizio statale di ispezione ecologica dell’Ucraina, Yegor Firsov, una delle aree più colpite dagli incendi è la foresta intorno alla zona interdetta di Chernobyl dove le radiazioni registrate da Firsov il 5 aprile erano al di sopra del normale con livelli di radioattività di 2.3 microsievert, quando la norma sarebbe 0.14 microsievert. Il 4 aprile i vigili del fuoco ucraini hanno dichiarato di essere riusciti a fermare uno degli incendi in un’area di circa 5 ettari, ma un secondo incendio ha continuato a bruciare nei giorni successivi, estendendosi su un’area di quasi 100 ettari. Secondo Firsov, “I vigili del fuoco ci hanno messo giorni per spegnere l’incendio che ha avuto origine nella zona della centrale di Chernobyl. La situazione è stata molto difficile”.  Tuttavia, anche se in questi giorni è arrivata finalmente la pioggia, non tutti gli incendi sono stati domati e secondo le analisi delle immagini satellitari fatte dagli esperti di Greenpeace Russia negli scorsi giorni un incendio è riuscito a superare il fiume Pripyat, la cui larghezza in quel punto è di circa 200 metri e "La distanza dal sarcofago della centrale nucleare di Chernobyl dal fronte più vicino di questo incendio è ora di circa un chilometro".

Il 6 aprile, Charles Digges dell’ong norvegese/russa Bellona scriveva che “Un totale di 124 vigili del fuoco, due aerei e un elicottero stanno ancora combattendo contro l'incendio principale e hanno effettuato 42 lanci d’’acqua dagli aerei”. Anche se il Governo ucraino ha ammesso che l’aumento delle radiazioni in alcune aree ha portato a “difficoltà” nella lotta contro l’incendio, ha voluto precisare che “le persone nell’area non erano esposte ad alcun pericolo”. Secondo i rilevamenti fatti dal Centro scientifico e tecnico per la sicurezza nucleare e radioattiva di Kiev, infatti, “l’incendio nella zona di esclusione obbligatoria a Vídselennâ non ha influenzato la situazione delle radiazioni a Kiev”, dove non si sarebbero registrati valori che superano le soglie di allerta, “Quindi non dovete aver paura di aprire le finestre ed areare i locali durante la quarantena da Covid-19”. Cosa forse diversa sarà l’influenza delle radiazioni su quelle persone che vivono poco oltre il raggio di 30 chilometri dalla centrale nucleare o addirittura nell’area di esclusione, dove centinaia, forse migliaia di disperati risiedono nonostante per gli esperti la zona dovrebbe rimanere disabitata almeno per altri 24.000 anni. 

Legambiente, che ha una lunga storia di solidarietà con le popolazioni ucraine, bielorusse e russe più colpite dal fallout radioattivo di Chernobyl, ha ricordato come “le autorità ucraine hanno provato a rassicurare la popolazione, nonostante nella primissima fase avessero reso note le difficoltà nel gestire gli incendi”. Per non ripetere gli errori del passato, oltre a sollecitare le istituzioni locali ad attivarsi per rendere pubblici tutti i dati, Legambiente chiede “che vengano immediatamente messi in sicurezza i cittadini che abitano nei pressi della zona ancora oggi fortemente contaminata”. L’ong in questi anni non ha mai fermato la macchina della solidarietà e con il progetto Rugiada “ha consentito a centinaia di bambini di poter soggiornare in una struttura decontaminata in cui sottoporsi ad esami clinici e alimentarsi in maniera sana. Il centro offre inoltre sia un supporto di tipo medico che pedagogico, essenziale in aree dove questi tipi di servizi restano concentrati nei grandi centri urbani, a scapito di chi vive nelle campagne”. Oggi, oltre all’emergenza Covid-19, anche la “pandemia radioattiva” mai debellata e riattivata con questi focolai è un monito "a non abbassare la guardia e continuare a sostenere le battaglie di associazioni e cittadini in prima linea a favore delle popolazioni che vivono nelle zone contaminate a seguito dell’esplosione della centrale nucleare di Chernobyl" ha concluso l'ong.

Intanto, nel video realizzato da Firsov, che mostra il display di un contatore con valori di radioattività 16 volte superiori alla media, il funzionario ucraino se la prende con i contadini, che nella zona di esclusione non dovrebbero starci e che dalla primavera all’autunno provocano spesso incendi dolosi per ripulire i campi. Per Firsov questa abitudine pericolosa deve essere fermata: “Alla prima riunione del Parlamento, i deputati dovrebbero innalzare in modo significativo le sanzioni per chi appicca un incendio doloso all’erba. Per la mancanza della mascherina anti Covid-19 ora puoi essere punito con una multa di 17.000 Uah, ma per un incendio doloso che può togliere la vita di qualcuno (come di recente a Berdychiv), la sanzione è una miseria. Non può più andare avanti così. Le sanzioni per gli incendi dovrebbero essere aumentate di 50-100 volte, altrimenti, gli incendi su vasta scala continueranno ad avvenire ogni volta dalla primavera all’autunno”. In effetti questi incendi si verificano ciclicamente nella zona di esclusione di Chernobyl e ogni volta sono seguiti da dichiarazioni rassicuranti delle autorità per la salute umana di chi vive nei pressi anche della ex centrale nucleare.

Il tema della sicurezza è sensibile anche per il turismo. Sì, perché negli ultimi anni la zona del disastro e la città fantasma di Pripyat, dove vivevano i lavoratori della centrale nucleare e le loro famiglie, sono diventate prima il set della serie Chernobyl della HBO, poi una popolare destinazione del "turismo della catastrofe" con tour operator che hanno registrato più di 100.000 visitatori all’anno, almeno fino alla recente pandemia di coronavirus. Le autorità ucraine si sono sempre impegnate a garantire la sicurezza della visita e insistono sul fatto che la dose massima di esposizione alle radiazioni nell’uomo durante la visita è di 0,1 millisievert, mille volte inferiore a quella che la Commissione Internazionale per la Protezione Radiologica (Icrp), considera dannosa per la salute. I bambini, le donne incinte e le donne che allattano non possono chiaramente entrare nella centrale nucleare e tutti i visitatori devono compilare diversi moduli che gli impegnano ad accettare una dozzina di rigorose norme di sicurezza. Durante tutta la visita ci sono punti di controllo con rilevatori di radiazioni e i visitatori devono indossare abbigliamento protettivo da capo a piedi, compresi un casco e una maschera che impedisce alle persone di inalare particelle radioattive. Tutto era estremamente controllato, almeno fino a questi ultimi incendi e al Covid-19, che probabilmente ridimensioneranno la recente espansione turistica sulla quale aveva puntato anche il Governo ucraino, con alcuni decreti fatti a posta per incentivare i tour nella “zona rossa”, focolaio dell'ancora attuale “pandemia” nucleare a 34 anni di distanza dall'esplosione del reattore nucleare di Chernobyl.

Alessandro Graziadei

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