Attualmente in tutto il mondo vivono circa 5.000 diversi popoli indigeni. La sopravvivenza di queste popolazioni è da sempre gravemente minacciata dalla nostra attività economica e dalle malattie, che negli anni abbiamo portato tra questi 450 milioni di individui. Le comunità indigene brasiliane delle quali abbiamo recentemente scritto non sono, quindi, le uniche a dover fare i conti con l'emergenza da Covid-19. Anche nella regione polare della Siberia in Russia la popolazione locale è stata minacciata prima dall’epidemia di antrace del 2016 e adesso dalla pandemia di Covid-19, tanto che in queste settimane l'area sta registrando il numero più alto di infezioni da coronavirus del paese, subito dopo città come Mosca e San Pietroburgo. Come ha ricordato l’Associazione Popoli Minacciati (Apm) la straordinaria ondata di caldo di quattro anni fa, con temperature fino ai 35°C registrate in luglio, ha risvegliato per la prima volta dal 1941 in Siberia il batterio dell’antrace causando un’epidemia che ha provocato alcuni decessi (compreso un ragazzo di 12 anni), decine di contagiati e ha costretto un centinaio di persone alla quarantena. La malattia ha contagiato principalmente i pastori della regione di Yamalo-Nenets (penisola di Yamal in Russia) dopo aver fatto il salto di specie ed essere esplosa prima negli allevamenti di renne, uccidendo oltre duemila esemplari. Come mai? Siamo stati noi, con le nostre inquinanti attività antropiche, a provocare un cambiamento climatico tale da permettere al batterio dell’antrace (bacillus anthracis), presente nel ghiaccio permafrost siberiano, di liberarsi e infettare prima le renne che brucano il terreno e successivamente anche gli esseri umani.
Come ha ricordato l’Apm “Non sappiamo quali altri pericoli per la salute degli animali e dell’uomo si nascondano ancora nel disgelo della tundra, ma sappiamo che popolazioni indigene di tutto il mondo vivono principalmente dell’allevamento nomade, di caccia e raccolta e di orti di sussistenza e dipendono quindi da un ambiente naturale intatto. L’inquinamento e la distruzione ambientale comportano per tutte queste persone la perdita della loro base vitale e in ultima istanza causano la perdita di vite umane e di antiche culture, lingue e tradizioni ed è quindi una perdita per tutta l’umanità”. Le malattie sono una parte importante di questo genocidio indigeno e se il cambiamento climatico ha avuto conseguenze particolarmente gravi principalmente nelle regioni tropicali, dove la diffusione del virus Zika o della malaria sono state sicuramente favorite da un clima sempre più caldo che permette la sopravvivenza delle zanzare anche in zone che finora erano troppo fredde per loro, adesso il boom dello sfruttamento di materie prime nella regione polare da parte della Russia ha portato con se grandi cantieri e molto personale, che cambia spesso e velocemente. Per questo le popolazioni native, quali i Sami, i Nenet, i Komi e gli altri popoli indigeni siberiani stanno pagando a caro prezzo la crescita economica della Russia. Come ha spiegato il direttore dell’Apm Göttingen Ulrich Delius “Dopo la distruzione della loro natura e dell’ambiente, ora la loro salute è a rischio anche per la diffusione del Covid-19 dovuta soprattutto alla mancata interruzione del massiccio sfruttamento delle materie prime da parte della Russia”.
Così mentre in Russia (come in Italia) le aziende continuano a voler far funzionare i cantieri nonostante il crescente numero di malati da Covid-19, l’Apm ha chiesto l’immediata sospensione di tutti i nuovi grandi progetti estrattivi avviati nell’Artico russo. Un appello al quale la società russa per l’estrazione di gas naturale Novatek ha risposto annunciando che continuerà la costruzione di un nuovo stabilimento vicino alla città di Murmansk per la produzione di piattaforme di perforazione per la produzione di gas naturale nell’Oceano Artico. Qui, secondo i dati ufficiali, più di 200 persone impiegate nel principale cantiere dell’opera si sono ammalate di Coronavirus e tra gli 11.000 dipendenti del cantiere i casi di coronavirus sono quasi raddoppiati in pochi giorni. Il numero crescente delle infezioni ha allarmato persino il governo russo che nel fine settimana di Pasqua ha inviato forniture mediche per allestire un ospedale da campo nella regione. Ma il Covid-19 si sta diffondendo anche nella penisola di Yamal dove si trovano altri giacimenti di gas naturale. Qui gli impianti sono gestiti dalla Gazprom e il personale di questa società è considerato responsabile della diffusione e dell’aumento delle infezioni da coronavirus nell’area. “Dopo la morte per coronavirus di un dipendente Gazprom, molti indigeni Nenet si chiedono se le cure mediche di cui dispongono siano sufficienti e se saranno sottoposti a test per individuare possibili infezioni” ha spiegato l’Apm, ricordando che “L’assistenza sanitaria nell’Artico russo è catastrofica e non è pronta per affrontare un numero elevato di persone infette da coronavirus. Per gli indigeni della regione, la pandemia potrebbe diventare un disastro”.
Già alla fine di marzo 2020 nella Repubblica di Komi, a nord degli Urali, non appena il numero degli infettati è aumentato di un centinaio di persone in un giorno e molti casi di Covid-19 sono comparsi soprattutto negli ospedali, le autorità sanitarie hanno dato l’allarme. Anche se a Mosca hanno reagito immediatamente e in solo pochi giorni il governatore della regione, in carica da 15 anni, è stato sostituito dal vice ministro della Sanità russo Vladimir Uiba, che sta riorganizzando il sistema sanitario di Komi, il contagio da Covid-19 tra la popolazione indigena siberiana è difficilmente evitabile. Il numero dei positivi potrebbe diventare ancora più critico in questa settimana e il fatto che il sistema sanitario della regione polare si stia preparando solo adesso alla lotta contro l’epidemia non lascia ben sperare. Così. dopo il cambiamento climatico e l’estrattivismo, anche i virus sembrano sempre più la cifra delle "pandemie" siberiane.
Alessandro Graziadei
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