domenica 12 aprile 2020

Covid-19: siamo stati noi!

Anche se ne ho già scritto in “L’ecologia delle epidemie” e in “Covid-19: andrà tutto bene solo se” torno a ripetermi. Lo faccio perché l’analisi dei media è ancora quasi esclusivamente concentrata sulle priorità immediate: salvare le persone e le economie dal coronavirus. La nostra risposta a lungo termine a questa emergenza, però, dovrebbe andare oltre la legittima cronaca dei fatti e cominciare ad affrontarne le cause di questa pandemia, che non possono essere liquidate con fatalismo. Questa pandemia non era né imprevista, né inevitabile. Come ha recentemente ricordato Andrew Cunningham, vicedirettore della Zoological Society of London, “L’emergere e la diffusione del Covid-19 non era solo prevedibile, ma era previsto ci sarebbe stata un’insorgenza virale proveniente dalla fauna selvatica che sarebbe stata una minaccia per la salute pubblica”. Il virus della Sars che nel 2002-2003 ha causato più di 800 morti ed è costato più di 80 miliardi di dollari a livello globale avrebbe dovuto darci un indizio chiaro: è emerso dai pipistrelli, è passato alle civette delle palme e ha poi infettato le persone nei mercati di animali vivi della Cina meridionale. Nel 2007, lo studio “Severe Acute Respiratory Syndrome Coronavirus as an Agent of Emerging and Reemerging Infection”, pubblicato su Clinical Microbiology Rewiews da un team di scienziati dell’università di Hong Kong ci ricordava che “La presenza di un grande serbatoio di virus simili alla Sars-CoV nei pipistrelli ferro di cavallo, insieme alla cultura del consumo di mammiferi esotici nella Cina meridionale, è una bomba a orologeria”. Nel 2012, nel saggio narrativo “Spillover”, lo scrittore e divulgatore scientifico David Quammen, coniugando la storia letteraria e l’analisi scientifica delle grandi epidemie si chiedeva se la prossima non potrebbe saltar fuori da “un mercato cittadino della Cina meridionale”. Nel 2015 è stata la volta del celebre Ted di Bill Gates nel quale ricordava come "Nel 2014, il mondo ha evitato un'orribile epidemia globale di Ebola, grazie a migliaia di operatori sanitari altruisti  e, francamente, grazie a molta fortuna. Con il senno di poi, sappiamo che avremmo dovuto fare meglio". Un anno dopo, nel 2016 lo studio dell’United Nations environment programme (Unep) “Emerging issues of environmental concern”, ci ricordava che “Le zoonosi [cioè le malattie trasmesse dagli animali all’uomosono ormai una concreta minaccia per lo sviluppo economico, il benessere animale, la salute umana e l’integrità degli ecosistemi”. Perché? Perché, non solo in Cina, il traffico di fauna selvatica o di sue parti mette in stretto contatto specie diverse, facilita la ricombinazione genetica tra virus e con essa lo “spillover”, ovvero la capacità di infettare nuove specie, compreso l’uomo. Per chiarezza non è colpa di pipistrelli, civette e mammiferi esotici, la colpa è nostra!

Secondo la comunità scientifica è quasi sempre un comportamento umano che provoca le epidemie e in futuro ce ne dobbiamo aspettare sempre di più, se non cambieremo abitudini alimentari. Per il professor Cunningham per esempio “I mercati dove si macellano animali selvatici vivi in ogni parte del mondo sono l’esempio più ovvio. Si ritiene che un mercato in Cina sia stato la fonte del Covid-19. Gli animali vengono trasportati su grandi distanze e vengono stipati insieme in gabbie. Sono stressati, immunodepressi ed espellono qualsiasi agente patogeno che hanno dentro di loro. Un gran numero di persone in un mercato e in stretto contatto con i fluidi corporei di questi animali crea l’emergenza [della malattia]. Se si vuole uno scenario per massimizzare le possibilità di trasmissione, non si potrebbe pensare a un modo migliore di farlo”. “Anche se al momento potremmo non pensarci, probabilmente siamo stati abbastanza fortunati” ha aggiunto Cunningham, visto che rispetto all’attuale Covid-19, altre malattie della fauna selvatica passate all’uomo nello stesso modo hanno avuto tassi di mortalità molto più elevati nelle persone, come il 50% per l’Ebola e il 60% - 75% per il virus Nipah. A quanto pare, quindi, se negli ultimi decenni c’è andata “bene” è stato solo perché a morire erano "pochi" e "distanti" con malattie molto pericolose come la Sars, l’Ebola, l’influenza aviaria, la febbre della valle del Rift, il virus Nipah, il virus del Nilo occidentale o il virus Zika, tutte zoonosi che sono rimaste per lo più confinate nei Paesi in via di sviluppo.

Per la direttrice dell’Unep Inger Andersen l’epidemia di Covid-19 è un chiaro avvertimento: "Nella fauna selvatica esistono malattie molto pericolose e la civiltà umana sta scherzando con il fuoco, visto che è quasi sempre il comportamento umano a causare la diffusione delle zoonosi negli esseri umani”. Se da anni il mondo scientifico sostiene che il cambiamento climatico, la deforestazione, la perdita di biodiversità, l’agricoltura e l’allevamento intensivi, l’aumento della popolazione e l’espansione edilizia fin dentro le aree protette, sono tutte occasioni che ci portano sempre più a contato con una fauna selvatica debilitata e sofferente, il problema più urgente rimane quello dei mercati urbani legali e illegali di animali vivi che diventano il posto ideale dove possono propagarsi le malattie infettive. Il fatto che la Cina abbia vietato temporaneamente i mercati di animali selvatici è un fatto molto positivo, ma per Cunningham “Il divieto dovrebbe essere permanente e questo deve essere fatto a livello globale. Ci sono mercati di selvaggina in gran parte dell’Africa sub-sahariana e anche in molti altri Paesi asiatici. La facilità di viaggiare nel mondo moderno aggrava i pericoli. Al giorno d’oggi, puoi essere un giorno nella foresta pluviale dell’Africa centrale e il giorno successivo nel centro di Londra”. 

Per il  Wwf “È comprovato che il contatto con specie selvatiche come pipistrelli, civette delle palme, scimmie e altri animali (prevalentemente uccelli e mammiferi) possa portare all’insorgere e contribuire alla diffusione di gravi zoonosi. Non a caso le ricorrenti esplosioni di epidemie di Ebola sono spesso collegate al consumo di carne di scimmia contaminata”. Per la ong  “Ogni anno, solo in Perù, vengono cacciate e consumate 28.000 scimmie. In Indonesia oltre a scimmie e altri mammiferi selvatici vengono catturate ed esportate 25 tonnellate di tartarughe”, mentre in tutta l’Africa il “bushmeat” è molto diffuso nelle aree urbane e benestanti, dove la carne selvatica viene preferita per il sapore. Secondo l’United Nations Office on Drugs and Crime, il commercio illegale e il bracconaggio colpisce nel mondo più 7.000 specie, tanto che per il mondo scientifico l’uccisione illegale di animali selvatici a scopo alimentare è considerata fra le prime cause di declino delle popolazioni di specie minacciate. Parliamo di un mercato che a livello mondiale comporta la perdita di biodiversità, aumenta il rischio di pandemie, ma produce un giro di affari globale tra i 7 e i 23 miliardi di dollari l’anno. La crisi del Covid-19 può offrire un’opportunità di cambiamento. Sarà colta? “Pensavo che le cose sarebbero cambiate dopo la Sars, che è stato un grande campanello d’allarme: il più grande impatto economico avuto da qualsiasi malattia emergente fino a quello data. Tutti erano allarmati al riguardo. Ma se ne è andata, grazie alle nostre misure di controllo. Poi c’è stato un grande sospiro di sollievo e siamo tornati al business as usual” ha concluso Cunningham. Ancora una volta l’uomo si trova a dover fronteggiare con colpevole ritardo una pandemia favorita dalle sue stesse azioni che avrà costi enormi sia in termini di vite umane che a livello sociale ed economico."Siamo stati noi a generare l’epidemia di Coronavirus. Potrebbe essere iniziata da un pipistrello in una grotta, ma è stata l’attività umana a scatenarla" ha recentemente scritto Quammen. Forse è tempo di scriverne e parlarne: il “business as usual” di fauna selvatica dovrebbe finire qui!Anche per questo, dopo una campagna di  5 giorni e 200.000 firme, l’Onu ha da poco chiesto la messa al bando dei wet market, dove gli animali vengono venduti vivi e macellati sul posto. È un buon inizio!

Alessandro Graziadei

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