Se è vero che oggi gli oceani nutrono oltre 500 milioni di persone e danno lavoro ad altre 350 milioni è evidente che l’impatto di una pesca senza limiti (più volte raccontata su Unimondo) mette a rischio non solo gli stock ittici, ma anche il futuro di molte popolazioni. Una situazione che negli ultimi decenni è peggiorata per via degli effetti del cambiamento climatico sui mari del mondo, aggiungendo problemi quali asfissia, acidificazione e riscaldamento delle acque al progressivo declino di molte specie di pesci. Eppure esiste una soluzione, e come spesso accade è legata semplicemente al buon senso. Dallo studio “Effective fisheries management instrumental in improving fish stock status” pubblicato a gennaio su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) da un folto team internazionale di ricercatori coordinati dall’Università di Washington e dall’Università di Seattle che da anni lavorano ad un progetto di ricerca che analizza i dati della pesca in tutto il mondo, emerge che “Quasi la metà dei pesci catturati in tutto il mondo proviene da stock che sono scientificamente monitorati e che in media stanno aumentando”. A quanto pare “Una gestione efficace sembra essere la ragione principale per cui questi stock sono rimasti su livelli sostenibili o sono stati ricostruiti con successo”.
Negli ultimi dieci anni il team di ricerca ha creato una rete di collaboratori in quasi tutti i Paesi delle regioni marittime del mondo, raccogliendo dati preziosi sulla gestione della pesca, che oggi includono le stime dello stato di salute di circa 880 stock ittici e informazioni su quasi la metà delle catture ittiche mondiali. Un lavoro che ha permesso agli scienziati di capire dove avviene la pesca eccessiva e quali sono state le strategie messe in campo per tutelare le risorse ittiche. Per uno degli autori dello studio, Ray Hilborn dell’UW School of Aquatic and Fishery Sciences, in base a questo database è possibile sostenere che “Gli stock ittici nel mondo non sono tutti in calo. Stanno aumentando in molti luoghi e sappiamo già come risolvere i problemi del declino dei pesci attraverso un’efficace gestione della pesca”. Hilborn ha spiegato che “La chiave di tutto è capire dove stiamo facendo bene, dove dobbiamo migliorare e quali sono i principali problemi. Dato che la maggior parte dei Paesi sta cercando di fornire un rendimento sostenibile a lungo termine delle proprie attività di pesca, vogliamo sapere dove si sta pescando eccessivamente e dove esiste il potenziale per farlo meglio”.
Per Ana Parma di The Nature Conservancy, però, “Vi sono ancora grandi lacune nei dati e queste lacune sono difficili da colmare. Questo perché le informazioni disponibili sulla pesca minore sono maggiormente disperse, non sono state standardizzate, sono più difficili da raccogliere e in molte regioni la pesca non è monitorata regolarmente”. Di fatto per la maggior parte degli stock ittici dell’Asia meridionale e del Sud-est asiatico non sono ancora disponibili stime scientifiche sulla salute e sullo stato degli stock ittici, un problema rilevante visto che la sola pesca in India, Indonesia e Cina rappresenta dal 30% al 40% delle catture ittiche mondiali. Tuttavia anche qui sembra possibile supporre che “Una gestione più attenta della poca possa portare a stock ittici sani o in miglioramento”. Per esempio le regioni che hanno preso provvedimenti per gestire con attenzione le loro attività di pesca, come l’Alaska, la costa occidentale degli Stati Uniti, la Norvegia, l’Islanda e le Isole Faroe, hanno mostrato un miglioramento del benessere degli stock ittici, al contrario le regioni che hanno applicato una gestione più libera della pesca, come in alcune aree del Mediterraneo e del Nord Africa, i livelli degli gli stock ittici sono diminuiti.
Secondo Christopher Costello dell’Environmental Defense Fund il dato interessante è che “se c’è una gestione e una regolamentazione della pesca è quasi sempre possibile il recupero degli stock ittici. Questo deve dare credibilità ai gestori della pesca e ai governi di tutto il mondo che sono disposti a continuare ad intraprendere azioni forti in questa direzione”. Certo per avere successo la gestione della pesca dovrebbe essere adattata alle caratteristiche delle diverse attività di pesca e alle specifiche esigenze di Paesi e regioni, perché gli approcci che sono stati efficaci in molte attività di pesca industriale su larga scala nei Paesi sviluppati non possono funzionare per attività di pesca su piccola scala, in particolare nelle regioni con risorse economiche e tecniche limitate o sistemi di governance particolarmente deboli. L’obiettivo principale dovrebbe essere quello di ridurre la pressione totale della pesca e incentivare le flotte pescherecce a valutare gli stock ittici sani, per questo “sarà fondamentale progettare il futuro della pesca in modo che i pescatori di tutto il mondo abbiano una partecipazione a lungo termine nella salute dell’oceano”.
I mari e gli oceani ricoprono gran parte del nostro pianeta, alterarne gli equilibri ecosistemici potrebbe provocare danni irreversibili, ma come avrete capito non si tratta solo di un problema di conservazione! Dallo sfruttamento degli oceani dipende la sopravvivenza di buona parte dell’umanità che dipende, direttamente o indirettamente dalle risorse ittiche come fonte di cibo e di reddito e che oggi vive soprattutto in Paesi in via di sviluppo. Per questo, visto che in questi Paesi è difficile trovare alternative vegetariane alla consuetudine alimentare che fa di qualcuno, qualcosa da mangiare, occorre almeno portare avanti una seria regolamentazione dei consumi, anche in Mediterraneo, che da anni è in uno stato di grave crisi. Qui per il Wwf “Decenni di cattiva gestione e intenso sfruttamento hanno pesantemente impoverito le sue risorse marine, fino al punto che oggi più dell’80% degli stock mediterranei monitorati risulta sovra sfruttato”, una situazione che sta diventando un’enorme minaccia anche per quei pescatori artigianali che pescano seguendo le regole.
Alessandro Graziadei
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