L’agricoltura è una delle “vittime” designate del cambiamento climatico visto che l’aumento delle temperature medie porterà inevitabilmente a cattivi raccolti, bassi rendimenti e radicali cambiamenti, dovuti al fatto che nei prossimi decenni certi picchi di temperatura saranno incompatibili con alcune coltivazioni. A farne le spese saranno, tra gli altri, anche i vigneti che con l’aumento delle temperature globali rischiano di veder compromesse le loro produzioni vinicole e con loro la celebre frase di Euripide che nel 400 a.C. ricordava che “Dove non è vino non è amore, né alcun altro diletto hanno i mortali”. Secondo lo studio “Diversity buffers winegrowing regions from climate change losses”, pubblicato a fine gennaio su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) da un team internazionale di ricercatori, infatti, “se la Terra si riscalderà di 2° C rispetto ai livelli preindustriali, il limite massimo stabilito dall’accordo di Parigi, il 56% di tutte le regioni dove si coltiva uva da vino perderanno le caratteristiche climatiche che le rendono idonee a produrre vino”. In uno scenario globale con un riscaldamento di 4° C l’inidoneità salirà all’85%. Che fare? Per il principale autore dello studio, Ignacio Morales-Castilla “Le conseguenze di queste perdite di idoneità climatica potrebbero comportare perdite di produttività o qualità (contenuto di zucchero e acido delle uve), nel qual caso i produttori dovrebbero valutare l’opportunità di adottare misure di adattamento”. Quindi solo puntando alla sostituzione dei vitigni con varietà più resistenti le conseguenze del cambiamento climatico “potranno essere parzialmente reversibili e le perdite agricole potranno essere ridotte”.
Il team di scienziati guidato dal gruppo di studio della Ecología del Cambio Global y Evolución (GloCEE) della spagnola Universidad de Alcalá, ha esaminato come alcuni cambiamenti nelle pratiche agricole potrebbero migliorare il futuro delle colture viticole o almeno contenere gli effetti del cambiamento climatico. Tra le alternative che la viticoltura ha a disposizione per adattarsi al nuovo "clima" ci sono diverse misure di gestione agricola che possono essere implementate a livello locale come l’irrigazione, la micro-aspersione o l’ombreggiamento, ma anche il trasferimento dei vigneti più in alto o a latitudini diverse. Ma per contrastare il danno di questa nuova era climatica, gli scienziati suggeriscono di puntare soprattutto sulla varietà del materiale vegetale. L’aumento della biodiversità delle viti “consentirebbe di aumentare la resilienza di diverse specie coltivate o dei loro parenti selvatici senza apportare cambiamenti nelle regioni agricole”. All’Universidad de Alcalá ricordano che “Fino ad ora, sebbene questa pratica basata sulla variazione genetica intraspecifica all’interno di una coltura abbia attirato molta attenzione, non c’erano prove della sua capacità di mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici”. Adesso il lavoro dei ricercatori spagnoli “quantifica che la diversità delle colture può ridurre le perdite agricole dovute al riscaldamento globale, sebbene la sua efficacia diminuirà considerevolmente se si realizzeranno scenari più caldi”. Di fatto tenendo conto dei precedenti dati sull’impatto in uno scenario di riscaldamento a 2 gradi, la biodiversità delle viti ridurrebbe del 57% le perdite previste, mentre con un aumento della temperatura di 4 gradi la percentuale sarebbe del 32%.
Per verificare in che modo l’agrobiodiversità dei vigneti potrebbe resistere ai cambiamenti climatici, gli scienziati hanno analizzato i dati storici di 11 varietà di uva da vino (Vitis vinifera) tra le quali Cabernet Sauvignon, Chardonnay e Pinot nero, con un’elevata diversità in Europa e hanno messo insieme i dati relativi alla comparsa delle gemme, la fioritura e la maturazione dell'uva, con quelli globali su semina e temperatura dal 1880 al 2013. Le 11 varietà di uva delle quali si è occupato lo studio rappresentano solo l’1% della biodiversità dell’uva da vino, e quindi molte altre varietà potrebbero aumentare la resilienza dei vigneti ai cambiamenti climatici. Ma già a partire da queste 11 selezioni è stato possibile sviluppare alcuni modelli di pianificazione degli scenari di riscaldamento globale che possono consentire agli agricoltori di capire quali sono le varietà migliori da piantare nei prossimi anni. Tuttavia, secondo Morales-Castilla, “La diversità delle colture da sola non è sufficiente per prevenire il declino delle uve da vino nelle regioni più vulnerabili” visto che in futuro “le regioni più calde continueranno a soffrire di più e in alcuni paesi come la Spagna e l’Italia meridionale, una maggiore agro-biodiversità non sarà sufficiente per evitare perdite di quasi il 70%”.
Se quindi i produttori di vino sono fortunati ad avere un'ampia varietà di colture dalle quali attingere in futuro, l’agrobiodiversità da sola non salverà tutti i vigneti e con un riscaldamento globale che supererà quanto previsto dall’Accordo di Parigi alcune regioni vitivinicole scompariranno in ogni caso. “Ecco perché limitare l’aumento della temperatura globale a 2° C o meno è ancora la soluzione più forte” hanno spiegato i ricercatori, secondo i quali sia che si tratti di cambiare i metodi di coltivazione, che di limitare le emissioni di CO2, “È oggi fondamentale il ruolo che le decisioni umane svolgeranno nella costruzione di sistemi agricoli resilienti ai cambiamenti climatici”. Purtroppo a giudicare da quello che la politica è riuscita a fare fino ad oggi, la conclusione degli scienziati sembra essere più una condanna, che una speranza.
Alessandro Graziadei
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