Secondo le Nazioni Unite oltre un milione di uiguri (su una popolazione di quasi 10 milioni) sono detenuti in modo arbitrario nello Xinjiang, regione che la locale popolazione chiama “Turkestan orientale”. Pechino ha sempre negato tali accuse, sostenendo che queste persone sono ospitate in centri di educazione e assistenza professionale per combattere il terrorismo, il separatismo e l’estremismo islamico, ma molti attivisti per i diritti umani li descrivono come veri e propri campi di concentramento che mirano a distruggere l’identità culturale dell’etnia uigura a favore di quella han, maggioritaria nel Paese. Le drammatiche testimonianze di quanto sta accadendo nello Xinjiang non mancano, ma secondo il sociologo uiguro dell’università Haci Bayram Veli di Ankara Abdürreşit Celil Karluk, “La condizione del popolo uiguro è ben più tragica di quanto finora descritto dai media internazionali” soprattutto perché “la leadership di Pechino è riuscita a paralizzare l’azione della comunità internazionale grazie alle minacce e alla corruzione”. Questo professore uiguro, che per meriti accademici ha recentemente ottenuto la cittadinanza turca, non ha notizie dirette della sua famiglia dal 2017: “Le autorità cinesi perseguitano la mia famiglia per chiudermi la bocca, ma io non ho mai ceduto. Non posso rimanere silente davanti alle atrocità compiute dal regime nel Turkestan orientale”.
Il professor Karluk ha iniziato a far sentire la propria voce proprio nel 2017, quando tra la diaspora degli uiguri hanno cominciato a circolare notizie sull’imprigionamento e la tortura di migliaia di persone nel Turkestan orientale. La sua denuncia delle torture e delle persecuzioni subite dal popolo uiguro ha colpito una parte dell'opinione pubblica turca, ricevendo sostegno anche dal mondo accademico locale. In questi ultimi mesi poi, Karluk ha ingaggiato una vera e propria battaglia su Twitter con le autorità cinesi, che hanno provato a smontare le sue accuse, fino a quando l’ambasciata di Pechino ad Ankara ha dovuto rilasciare informazioni sulla condizione della sua famiglia, confermando in parte le sue preoccupazioni. “Sono riuscito a scoprire che alcuni dei miei parenti sono stati arrestati”, ha spiegato l’accademico uiguro. L’ambasciata cinese sostiene che suo fratello più giovane è stato condannato a 11 anni di prigione per attività terroristiche e un suo nipote a 15 anni con la medesima accusa. “I diplomatici cinesi ad Ankara affermano che mia cognata e i due figli vivono in tranquillità a Kashgar. Ma anche lei è stata internata in un campo, e i miei nipoti sono rimasti senza cure famigliari in una località sconosciuta per diverso tempo”. Secondo l’ambasciata, la madre di Karluk soffre di Alzheimer ed è accudita da una familiare. Quanto a un altro suo fratello i diplomatici cinesi dicono che ha avuto una emorragia cerebrale nel 2017, e al momento è paralizzato. “Essi non hanno specificato però che il suo stato di salute è dovuto alle torture e agli esperimenti medici a cui è stato sottoposto in un campo di prigionia” ha commento di Karluk.
Per il professor Karluk la sua è una storia emblematica: “I leader locali del Partito, specialmente nello Xinjiang e nel Tibet, adottano spesso misure repressive per compiacere i superiori e ottenere avanzamenti di carriera. […]. Ma lo scopo del Partito non è quello di massacrare o sradicare gli uiguri solo perché sono musulmani, più semplicemente la filosofia han, il gruppo etnico maggioritario in Cina, non accetta la diversità e la coesistenza tra differenti culture. C’è un vecchio detto confuciano: Chi è escluso dal mio clan è un traditore. Nella tradizione confuciana la differenza è una minaccia. Il pensiero del Partito Comunista Cinese più autoritario di quello confuciano, vede negli uiguri un pericolo perché essi sono una nazione diversa, pronta a costruire un proprio Stato moderno, con il proprio sistema culturale di riferimento". In Cina anche gli hui sono di credo musulmano, ma il Partito non li considera pericolosi perché hanno aderito ai principi confuciani e hanno accettato la loro "sinizzazione”. Il caso della famiglia di Abdürreşit Celil Karluk non è isolato. È di pochi giorni fa la notizia che il giornalista uiguro Qurban Mamut, di cui non si avevano notizie da tre anni, si trova in stato di detenzione. Non è chiaro se si trovi in prigione o in un campo di rieducazione. Era scomparso nel novembre 2017, alcuni mesi dopo aver visitato il figlio negli Stati Uniti. Per il figlio, Bahram Qurban, che ha lanciato l’allarme per la scomparsa del padre nell’ottobre 2018 dopo aver saputo da familiari e conoscenti che Mamut era stato internato in qualche campo nello Xinjiang, l'arresto del genitore è dovuto al fatto che “le autorità del Partito Comunista Cinese spesso perseguitano i familiari degli uiguri che vivono all’estero per esercitare una forma di controllo nei loro confronti”.
Ma questi prigionieri politici non sono solo reclusi, ma spesso anche sfruttati. In una ricerca pubblicata lo scorso marzo dall’Australian Strategic Policy Institute (Aspi) è emerso che più di 80mila internati uiguri sono impiegati in fabbriche anche fuori dello Xinjiang come parte del programma governativo di “rieducazione” e “assistenza professionale”. Per i ricercatori australiani questi cittadini cinesi sono sottoposti a “lavori forzati” e sfruttati da 83 grandi marchi internazionali, tra cui Apple, Samsung, Microsoft, Google, Mitsubishi, Siemens, Sony, Nike, Adidas e Lacoste, oltre a Huawei, il gigante cinese delle telecomunicazioni. Il processo di “sinicizzazione” forzato che il regime cinese vuole imporre alle tradizioni culturali delle minoranze dello Xinjiang, pare quindi riuscire a far sparire gli oppositori, sequestrare le famiglie di intellettuali ed attivisti residenti all’estero, paralizzare l’azione della comunità internazionale e dare anche un contributo "schiavista" allo sviluppo economico cinese. Fino ad oggi lo ha fatto, purtroppo, con "ottimi" risultati!
Alessandro Graziadei
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